Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  aprile 19 Domenica calendario

GIANCARLO BOSETTI

I vizi della democrazia sono talmente numerosi ed evidenti che il fatto che se ne parli è un indicatore tipico: ci troviamo in democrazia. La battuta di Churchill («il peggior sistema politico ad eccezione di tutti gli altri») allude proprio a questa convivenza con l´insoddisfazione e rende genialmente l´idea: si tratta di un sistema del quale è fisiologico lamentarsi, quasi sempre, salvo che nel momento più festoso, le elezioni, quando, che si vinca o che si perda, si ha la possibilità di cambiare il governo pacificamente, con il voto, e, con il cambio, di rinnovare le speranze.
Dopo le elezioni riprende il brusio dei lamenti. In realtà molto più di un brusio: i vizi della democrazia sono così seri, persistenti, crescenti, da avere alimentato tante diverse specialità disciplinari. Un festival delle scienze umane e degli studi politici intorno alla democrazia, come quello di Torino, è una rassegna di questi vizi e delle terapie che vi sono applicate.
La ricerca politica progredisce in una varietà di direzioni, da fare invidia alla medicina, e si applica a trovare diagnosi, correttivi e nuove terapie. Ci sono sempre quelle che Norberto Bobbio chiamava le "promesse mancate" della democrazia - le tendenze oligarchiche che contraddicono il principio di uguaglianza e svuotano la trasparenza dei poteri e delle decisioni, imbrogliando le carte davanti a un elettorato male informato o indifferente - e ci sono i guasti che corrodono i sistemi democratici sul piano economico: le concentrazioni, i monopoli, le disuguaglianze; sul piano della comunicazione: cattiva qualità e poco pluralismo dell´informazione; sul piano della competenza critica dell´opinione pubblica: il populismo; sul piano della vitalità dell´associazionismo organizzato: il collasso dei partiti, il declino della socialità e della solidarietà; sul piano della perdita di sovranità da parte degli stati nazionali: i poteri economici transnazionali. E così via lamentandosi.
Due direzioni di lavoro si stanno manifestando con particolare vivacità nel pensiero politico degli ultimi anni. Una riguarda la qualità e competenza dell´opinione pubblica e si chiama "democrazia deliberativa". Dal termine inglese "to deliberate", che vuol dire "discutere e ponderare attentamente i pro e i contro di una scelta prima di decidere", essa significa in sostanza "democrazia della discussione informata"; è un modo rigoroso ed esigente di descrivere quello che la "partecipazione" dei cittadini alla vita democratica può diventare, se si opera per migliorarla e accrescerla, invece di abbandonare l´opinione alle tendenze del sistema dei media che la trattano come parco buoi per il mercato per la pubblicità.
Il problema non è, naturalmente, la pubblicità, ma il fatto che l´informazione sul mondo, la società e la politica, nei momenti di maggiore ascolto, è condizionata dalla pubblicità come se fosse intrattenimento, né più né meno dell´Isola dei famosi. Questo ha provocato, in quasi tutto il mondo occidentale, una degradazione dell´informazione televisiva, specie dei telegiornali dell´ora di punta, l´ora di cena. Nati per informare il cittadino del XX secolo, lo stanno danneggiando. Il web promette alternative, contropoteri, un´informazione orizzontale invece che verticale, ma il cammino è ancora lungo, l´esito incerto. Nel frattempo continua il predominio della televisione commerciale, in tutto il mondo: le televisioni pubbliche non riescono a bilanciare la tendenza, sono subalterne alle commerciali, con l´eccezione della Bbc. Questi malanni della "deliberazione" hanno i loro bravi analisti in America: James Fishkin, Bruce Ackermann, Lance Bennett e John Gastil. Quest´ultimo proporrà di sottoporre a un addestramento nella discussione tutti gli organismi che devono prendere decisioni, dalle giurie popolari ai consigli comunali, dalle associazioni politiche fino al Parlamento. Si suggerisce per esempio un "briefing" con qualcuno di questi specialisti prima delle prossime risse tra "assassini" e "torturatori di stato" a proposito del testamento biologico.
Una seconda direzione di lavoro riguarda il problema della coniugazione degli ordinamenti democratici nei diversi contesti culturali e il trattamento delle differenze culturali all´interno di uno stato democratico liberale: si tratta dell´arduo tema del pluralismo, più facile da proclamare che da mettere in pratica, specialmente quando si affacciano - come accade sempre più spesso - questioni che implicano giudizi morali e coinvolgono diversità ideologiche, religiose, culturali. Temi come la "visibilità dei luoghi di culto" o la "democrazia degli altri" non erano all´ordine del giorno fino a poco fa. La risposta della "neutralità" dello stato liberale rispetto alla varietà delle culture non è automatica, non basta e non sempre funziona. La democrazia si trasforma in tanti modi e il pensiero democratico progredisce, non fa solo storia delle idee passate. Tra le istituzioni dello Stato e lo spirito di un popolo corrono rapporti complessi e sostanziosi. La fine di consolidate situazioni, stabili e omogenee quali erano "naturali" in Europa, rimescola i giochi e complica la vita allo stato liberale: nel cantiere della democrazia i lavori ricominciano tutti i giorni.