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 2009  aprile 19 Domenica calendario

il successo che arriva a settant´anni non ti cambia la vita, d´accordo. Ma incontrare Andrea Camilleri nella casa romana del quartiere Prati, il portone accanto alla sede della radio, nello stesso salotto da pensionato Rai dove l´ho conosciuto tanti anni fa, al principio dell´avventura, è una bella lezione di vita

il successo che arriva a settant´anni non ti cambia la vita, d´accordo. Ma incontrare Andrea Camilleri nella casa romana del quartiere Prati, il portone accanto alla sede della radio, nello stesso salotto da pensionato Rai dove l´ho conosciuto tanti anni fa, al principio dell´avventura, è una bella lezione di vita. Esattamente come quel giorno lontano, Camilleri si è svegliato alle sei, si è sbarbato e vestito di tutto punto per mettersi a scrivere, dalle sette alle dieci, minuto più, minuto meno. Ora, senza intervista, sarebbe in giro per il quartiere, al bar, a comprare le sigarette, a raccogliere le frasi perdute dalla gente, che poi finiranno in qualche suo romanzo. Dopo pranzo si rimetterà al tavolo di lavoro, per rivedere le pagine, correggere, riscrivere, per altre tre ore. La sera forse andrà a teatro con Rosetta, sua moglie da cinquantatré anni. In mezzo a queste due giornate uguali, scandite dagli stessi riti, sono passati tre lustri, una trentina di romanzi, tradotti in tutto il mondo e venduti in ventuno milioni di copie, record per uno scrittore italiano. nessuno figura nella classifica dei primi dieci romanzi più venduti, ma quelli, da Eco a Saviano, per ora almeno, sono autori di un solo grande successo. Camilleri è una bottega da best seller, una formidabile macchina di scrittura. Di questo si parla. Il patto con Camilleri è di non occuparsi per una volta del battutista di Palazzo Chigi, un´ossessione di molti e anche sua. Ma è più affascinante l´altra ossessione, quella nei confronti della più grande macchina per scrivere della storia della letteratura, Georges Simenon. Camilleri l´ha letto, studiato, conosciuto, ammirato e naturalmente imitato per tutta la vita. Gli ha offerto un omaggio straordinario, e assai gradito da Simenon, curando la più bella traduzione in immagini delle avventure del commissario Maigret mai girata, quella con l´indimenticabile Gino Cervi. Ora Simenon, autore di centinaia di romanzi, aveva una serie infinita di trucchi, accorgimenti, più un monumentale archivio, una Biblioteca di Babele fatta di appunti, mappe, documenti. Mi guardo intorno nella casa, alla ricerca dell´archivio di Camilleri. «Fatica inutile, non esiste un archivio», è la deludente risposta. «Non prendo neppure appunti, niente. Ho buona memoria, tutto qui. Sono ordinato per natura, sono metodico. Ma non ho testa per un archivio. Un´altra cosa, Simenon era andato a scuola da un commissario del Quai des Orfèvres per imparare le tecniche d´indagine, io no. Ho conosciuto commissari di polizia soltanto dopo aver scritto Montalbano. Il fatto è che, a differenza di Simenon, io forse ho l´anima dello sbirro». @_TITOLETTO nero sx:Il mito Simenon Eppure un punto in comune con Simenon dev´esserci da qualche parte, insisto e uno lo trovo, anzi un paio. Gli autori seriali, da Simenon a King, sono come i serial killer, tendono a ripetere all´infinito le condizioni della prima volta. «Questo è vero. Gli orari di scrittura, soltanto al mattino, perché poi dovevo lavorare in Rai, il ritmo della giornata, tutto assomiglia alla prima volta, quando scrissi Il corso delle cose». L´altro punto in comune con Simenon è la lettura dei fatti di cronaca, pagine e pagine da una decina di giornali anche locali, e poi l´immersione nella realtà quotidiana del quartiere, la strada. «Mi piace inzupparmi di realtà. In fondo ho poca fantasia, e poi penso che i fatti reali siano sempre più imprevedibili delle trame degli scrittori». Gogol diceva di non aver fantasia, lo spunto per Le anime morte lo diede Pushkin. Aveva letto la storia di questo truffatore che girava per l´immensa Russia per comprare contadini defunti e ottenere così aiuti di Stato. «Come nasce un romanzo? Non l´ho mai capito. Leggi tanti piccoli fatti, ascolti frasi per strada. Due o tre rimangono in mente, crescono fino a diventare una storia. Ieri sono sceso a comprare le sigarette e ho sentito una ragazza che parlava al telefonino: "Ma come, vuoi fare l´amore con me, quando non abbiamo ancora consultato le carte?". Non è questo un magnifico spunto per una novella?». @_TITOLETTO nero sx:Prima il dialogo Nei romanzi di successo contemporanei sono quasi sparite le lunghe descrizioni dei classici, di persone e ambienti e paesaggi. La stessa faccia di Montalbano è in fondo un mistero. un calcolo, visto che poi quelle i lettori le saltavano tanto volentieri, o che cosa? «Per me no, non è tecnica. la mia formazione teatrale. Mi viene naturale scrivere per prima cosa i dialoghi, il dialogo nudo e crudo. Quando ho stabilito come parla un personaggio, allora desumo com´è vestito, dove vive, in quale ambiente si muove. Ex ore tuo te iudico». Mi pare di capire che non abbia una gran fiducia nelle tecniche, nelle scuole di scrittura. Che cosa racconta ai giovani aspiranti scrittori? «La miglior scuola per imparare a scrivere è ascoltare. E naturalmente leggere gli scrittori che ci piacciono e provare a capire come hanno fatto». Ho notato che la sua biblioteca immensa è tutta sistemata in ordine alfabetico, tranne lo scaffale dietro la scrivania. «Qui tengo i prediletti. Cechov anzitutto, teatro e racconti. Gogol, Le anime morte e i Racconti di Pietroburgo, che sono la perfezione letteraria. Poi Beckett, Faulkner, Sterne, Pirandello, ma assai più le novelle, il teatro è un po´ datato. Tutti questi sono di Leonardo Sciascia, che rileggo in continuazione, qui sta ovviamente Simenon, ed ecco Calvino, un dio della scrittura». Ma torniamo alla lingua. Prima di capire come parlano i personaggi, ci sono voluti trent´anni per capire come avrebbe parlato lui, l´autore. La ricerca di una lingua, la sua lingua, spiega la tardiva vocazione. «Beh, tardiva fino a un certo punto. Ho cominciato a pubblicare, e bene, prima dei vent´anni, su Mercurio. Poesie e racconti. Nel ï¿?47 Ungaretti m´infilò in un´antologia di nuovi poeti. Nel ï¿?48 Contini e Bo m´inserirono in un´altra, accanto a Pasolini, Zanzotto, Turoldo, Danilo Dolci, Maria Corti. Poi, certo, sparisco per mezzo secolo. Mi metto a scrivere una commedia, Silvio D´Amico mi consiglia di fare l´accademia a Roma e qui Orazio Costa dirotta il mio cervello dalla scrittura al teatro. Un lavoro stupendo, che non mi ha lascito mezzo rimpianto letterario. Quando m´è tornata voglia di scrivere, allora sì il problema è che non trovavo una lingua per raccontare». @_TITOLETTO nero sx:Italiano e dialetto Così ha finito per ascoltare sé stesso. Molti scrittori parlano meglio di quanto scrivano, è una vecchia intuizione. «Proprio così. M´era venuta in mente la storia de Il corso delle cose e volevo scrivere. Ma non ci riuscivo. In quel tempo mio padre era malato, passavo le notti con lui e raccontavo il romanzo, alla maniera nostra, in quel misto di dialetto e italiano della piccola borghesia siciliana. Finché non mi venne l´idea: perché non scrivere come raccontavo a mio padre? Lo scrissi in pochissimo tempo e lo consegnai a Niccolò Gallo, grande critico, che mi promise di pubblicarlo entro l´anno. Ma, come direbbe Gadda, subito dopo si rese defunto. Il romanzo aspettò altri dieci anni». Non era facile far passare quella lingua al vaglio degli editor. A proposito, come sono stati i suoi rapporti con gli editor? «In realtà ne ho avuto uno solo, Gallo, che mi fece una montagna di correzioni, tutte preziosissime. Per il resto, ho continuato di testa mia. Tutti naturalmente mi consigliavano di lasciar perdere quella lingua bastarda. Perfino Leonardo Sciascia mi ripeteva: figlio mio, ma come vuoi che ti capiscano i lettori non siciliani? Ma per me era perfetto. Di una tal cosa l´italiano serviva a esprimere il concetto, della stessa il dialetto descriveva il sentimento». @_TITOLETTO nero sx:La gabbia del giallo Ma i romanzi storici, bellissimi, cominciano a vendere con Sellerio. E poi arriva il botto di Montalbano. « nato come un gioco. Per scrivere con metodo avevo bisogno di una gabbia, e quale migliore gabbia esiste del giallo? Il successo fu una cosa imprevista e incredibile. Balzai da cinquemila copie a novecentomila, un delirio, E un ricatto pazzesco. Sono anni che penso di sbarazzarmene, senza riuscirvi. Adesso esce l´ultimo e poi basta». vero che ha accantonato l´idea di far morire Montalbano? «Sì, lo faccio sparire letterariamente. Il fatto è che una decina d´anni fa ci trovammo a Parigi con Manuel Vázquez Montalbán e Jean Claude Izzo e cominciammo a discutere di come far morire i nostri investigatori. Poi accade che Montalbàn e Izzo morirono tutti e due all´improvviso, senza riuscire a compiere il delitto. E io, che sono pur sempre meridionale, ho cambiato idea». Come vive il mondo di Montalbano con quello dei romanzi storici? E soprattutto come si riesce a vivere in mezzo a quella folla di personaggi? Per uno scrittore è già difficile convivere con sette o otto personaggi alla volta. Dopo un po´ diventano persone reali, che si aggirano per casa, dialogano, vivono euforie e depressioni. Camilleri scrive tre romanzi contemporaneamente, quindi si ritrova in duecento metri quadri decine di tipi che pretendono attenzione. «In effetti ogni tanto mi confondo, oppure esco e li lascio soli a vedersela fra di loro. Ma il mondo di Montalbano è un´altra cosa rispetto ai romanzi, è più rilassante, meno impegnativo. Perché quei personaggi sono in realtà maschere fisse, un teatro di pupi. Per il resto, sono abituato alla confusione. Io scrivo in un autentico bordello, con gente che va e che viene, amici, parenti, nipotini che si siedono sulle ginocchia, il rumore della città di sottofondo. Mia moglie mi dice, non sei uno scrittore, sei un corrispondente di guerra. Una volta ho provato a prendere una casa in campagna per concentrarmi e non sono riuscito e scrivere niente. Quando non riesco a sviluppare una storia, di solito non smetto di scrivere. Rispetto sempre l´orario, come un impiegato, e piuttosto che nulla, scrivo lettere a me stesso. Bene, quella volta tornai dalla villeggiatura con un pacco di lettere a me stesso». @_TITOLETTO nero sx:L´arma dell´ironia C´è un ultima curiosità nel fenomeno Camilleri. Non solo è lo scrittore italiano che ha venduto di più ma è anche la smentita più clamorosa al luogo comune per cui i lettori italiani non apprezzano il senso dell´umorismo. Nella lista dei best seller, in genere improntata a una granitica assenza d´ironia, i suoi romanzi spiccano per doti satiriche, con alcuni capolavori del genere, come La presa di Macallè. «Sì, ma non a caso è stato quello che ha avuto un´accoglienza furibonda dalla critica. In Italia la satira è sempre stata considerata un genere minore. una colpa dedicarsi a una letteratura non penitenziale. Per me è fondamentale sorridere ogni tanto, mentre scrivo. Far sorridere i lettori, se posso, lo considero un gran vanto, forse il maggiore».