Domenico Quirico, La stampa 16/4/2009, 16 aprile 2009
TUTTI GLI AFFARI DI TORTUGA SPA
I pirati sono sempre stati personaggi sfuggenti: appaiono all’improvviso, attaccano, saccheggiano e svaniscono nel nulla. Non tengono giornali di bordo, evitano di scrivere libri di memorie, non rilasciano interviste. Sarà per questo che gli americani non hanno capito niente. Li ossessiona l’idea che i corsari del Puntland siano l’emanazione marittima di al Qaeda impegnata nella malefica impresa di turbare la libertà dei mari. La Tortuga somala, invece, è una società per azioni, assai severa e rigorosa. Piacerebbe alle aspirazioni quattrinaie di certi «pirati» di Wall Street.
Come ogni impresa capitalistica mobilita investimenti, manager (i capi banda) ed esecutori (pirati, personale logistico, fiancheggiatori). Funziona in base a un rigido rapporto tra costi, rischi e ricavi. Dopo un paio d’anni di forsennata baraonda si può dire che la pirateria è in netto attivo. Il Puntland è una savana arsiccia che sembra un deserto senza confine, spiagge desolate su cui arrivano buffate di scirocco come lingue di fuoco, popolato fino a ieri da genti che dentro gli occhi avevano un brutto luccichio di fame e disperazione. Ora è una Tortuga di ricchi, di gente di successo, di eroi popolari. La pirateria ha sanato piaghe antiche. Si può trovare di tutto, dai pick up ultimo modello ai satellitari, si spende, ci si allarma per l’inflazione galoppante. Ma questi sono pirati giudiziosi, niente taverne dei sette peccati dove i tesori evaporano, siamo in terra di Islam: con il bottino si costruisce la casa (a due piani, il massimo dello chic).
All’inizio di tutto ci sono gli investitori. In vent’anni di guerra, di carestie, di fanatismi ci sono somali che sono diventati ricchi. Erano una volta i signori del mercato di Mogadiscio, importatori, mediatori, maneggevoli fornitori della dittatura prima e dei signori della guerra poi, aduggiati dal sospetto di trafficare con il lecito e soprattutto con l’illecito. E poiché dai tempi del dittatore Siad Barre i confini tra i due termini si sono estinti. I capitali, dunque, sono lì, pronti. Il mare di fronte alla Somalia è una delle vene del commercio mondiale, sfilano ogni anno davanti agli occhi di pescatori miserabili migliaia di navi costosissime e disarmate, piene di ogni ben di Dio. Soprattutto nessuna polizia, nessun guardacoste nessun tribunale che possa dare a caccia ai responsabili e condannarli. Ecco la Tortuga bell’e pronta.
Il gruppo di investitori si riunisce e decide di finanziare un nuovo assalto. Il capitale di rischio è modesto: uno stipendio a pirati, gregari e incaricati della logistica, l’affitto delle barche con potenti motori per l’abbordaggio, una nave vedetta, un conto in banca in Kenya dove dovrà essere depositato il denaro del riscatto. Di armi non c’è bisogno: in Somalia tutti quelli che aspirano al diritto di vivere dispongono almeno di un kalashnikov. La manodopera arriva insomma già attrezzata. Benvenuti alla Tortuga Spa.
A Hobyo, che è un po’ la capitale della nuova filibusta islamica, la voce che è aperto un nuovo contratto circola in fretta. Nei villaggi di pescatori si formano code di aspiranti pirati, i selezionatori passano scegliendo i più esperti. L’ingaggio è pagato subito: appuntamento al porto per l’operazione. Gli investitori si affidano poi a un capitano. C’è l’imbarazzo della scelta, come per gli allenatori di calcio: i più bravi hanno tariffe elevate, guadagnano 400 mila dollari l’anno.
Nel Putland alcuni sono leggendari: una fedina penale con un elenco di trenta, quaranta prede. Vacilla il record imbattuto di Jean Bart detto l’Olonese, un francese che ai bei tempi nel Caribe mise le unghie su ottanta navi. Prima di finire divorato da indiani cannibali. I cantastorie e le strisce dei fumetti raccontano, plasmando molte anime giovanili, le imprese di questi uomini solitari e misteriosi, con un passato crudele e uno spirito indomito: assalti a petroliere alte come grattacieli, beffe giocate a inutili navi da guerra. Come tutte le donne sanno e alcuni uomini non riusciranno mai a capire, gli eroi più interessanti sono personaggi imperfetti. E’ il capitano che in azione ha il comando assoluto, sceglie la preda, dove portare la nave catturata. Gli «investitori» invece si occupano della parte economica: trattative per il rilascio di equipaggio e imbarcazione, modalità di pagamento, incasso. Una petroliera o un mercantile carico di aiuti umanitari può rendere due milioni di dollari. Poi si divide in letizia. E arrivederci al prossimo business.