Roberto Bagnoli, Corriere della sera 16/4/2009, 16 aprile 2009
DECOLLA LA RIFORMA DEI CONTRATTI
La Confindustria di Emma Marcegaglia firma con la Cisl, la Uil e l’Ugl l’intesa sul nuovo modello contrattuale che manda in pensione quello nato il 23 luglio del 1993. Ma l’accordo è monco. Il leader della Cgil Guglielmo Epifani ha confermato il suo netto dissenso e ha consegnato personalmente alla Marcegaglia una lunga lettera nella quale spiega le ragioni del no da parte del «sindacato più rappresentativo». Quella più forte riguarda il nuovo calcolo della copertura dei salari dal costo della vita. Secondo Epifani le retribuzioni future verranno penalizzate soprattutto rispetto a una probabile ripresa dell’inflazione.
Il numero uno degli imprenditori ha espresso il proprio «dispiacere» per il no della Cgil ricordando però «di aver fatto il possibile» per evitarlo. La Marcegaglia, nel commentare l’epilogo di questa lunga vicenda, si è auspicata che ora nei «contratti di categoria prevalga da parte di tutti il senso di responsabilità ». E si è detta convinta «che quello fatto è un buon accordo che va nella direzione europea, esattamente come stanno facendo altri Paesi». «Abbiamo introdotto regole precise per cui i contratti - ha concluso la Marcegaglia non devono essere momenti di conflitto o di Far West, la Cgil, magari, potrebbe ripensarci, speriamo». Soddisfatto uno dei registi del nuovo schema contrattuale, Raffaele Bonanni, leader della Cisl: « il primo accordo interconfederale dopo 15 anni, non potevamo perdere altro tempo ». Per il segretario generale della Uil Luigi Angeletti «si può andare avanti anche senza la Cgil, non possiamo aspettare, sarebbe un grave danno per i lavoratori e il sindacato ». Angeletti non teme un inasprimento dei conflitti visto che «Cisl e Uil sono maggioranza dappertutto».
L’intesa, raggiunta dopo dieci mesi di trattative e quasi cinque anni di schermaglie, è racchiusa in un documento di una dozzina di pagine al quale ieri è stato aggiunto il regolamento per la nascita di un Comitato paritetico (21 persone, 7 per ogni sigla) con il compito di riunirsi quattro volte l’anno per monitorare il rodaggio delle nuove regole.
In estrema sintesi l’accordo del 15 aprile prevede un modello unico sia per il settore privato che per il pubblico; una durata triennale sia per la parte economica che normativa ma «avrà carattere sperimentale per un periodo di quattro anni». Ci sarà inoltre un nuovo indice per il calcolo dell’inflazione: va in pensione quella programmata dal governo, sostituita da un calcolo basato sull’indice armonizzato europeo (Ipca) depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati. Dovrebbe essere l’Isae (del Tesoro) a stabilire il tasso anno per anno.
Altro capitolo fondamentale riguarda il potenziamento del secondo livello di contrattazione, quello fatto in azienda o sul territorio, che godrà stabilmente di forti incentivi fiscali e contributivi già varati dal governo. Secondo Confindustria e secondo i sindacati che hanno aderito solo in questo modo si potrà raggiungere l’obiettivo di aumentare sia i salari che la produttività.
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L’intesa
Durata triennale: un nuovo indice dei prezzi con cui calcolare gli aumenti salariali, incentivi alla produttività e sostegno al secondo livello: sono questi alcuni punti chiave della riforma del modello contrattuale concordata da imprese e sindacati, tranne la Cgil.
Due livelli: un contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria e un secondo livello di contrattazione aziendale o alternativamente territoriale. L’obiettivo è quello della crescita fondata sull’aumento della produttività.
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L’intesa del ”93
La firma con Ciampi
La trattativa sul costo del lavoro nel 1993: da sinistra il ministro del lavoro Gino Giugni e il presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi. Per i sindacati erano presenti Sergio D’Antoni (Cisl), Bruno Trentin (Cgil) e Pietro Larizza (Uil)