Radice, Corriere della sera 16/4/2009, 16 aprile 2009
WAL MART: SARA’ A «U» LA GEOMETRIA DELLA CRISI
«Questa non è una recessione a ’V’. C’è ancora molto stress, l’uscita dalla crisi non sarà rapida». Mike Duke, amministratore delegato di Wal Mart, s’è unito ieri al coro di economisti e capi d’azienda che da tempo ipotizzano una depressione economica a ’U’. Le parole del leader del maggior gruppo mondiale di grande distribuzione, un colosso da un milione di dipendenti, non hanno avuto grande effetto sul titolo in Borsa (che ha guadagnato lo 0,33%), nè sul listino (il Dow Jones ha chiuso a più 1,38%) ma hanno comunque riportato al centro dell’attenzione le diverse forme che una recessione può assumere. Secondo il capo di Wal Mart, cioè di un manager che più di qualunque altro conosce gli umori dei consumatori, bisogna dire addio alle ultime illusioni di una caduta dell’economia seguita da una rapida ripresa. E per capire cosa significa una recessione a ’V’ conviene ricordare la fine della bolla speculativa della cosiddetta new economy all’inizio del millennio, con il collasso delle dot.com. Oppure la gelata seguita alla raffica di scandali legati al boom delle aziende internet e agli attacchi terroristici dell’ 11 settembre, che portarono l’economia americana in piena recessione. Durò sei mesi, dal marzo al novembre 2001. Una crisi a ’V’, appunto. Quella suggerita da Duke (ma ampiamente stimata dall’Fmi come dall’Ocse e da altre istituzioni multilaterali) è invece una correzione a ’U’. Vale a dire che la parte bassa della curva si protrarrà molto più a lungo. Esempio perfetto: la crisi petrolifera d’inizio anni ”70, quando la guerra dello Yom Kippur quadruplicò i prezzi del petrolio e andò a saldarsi con le crescenti spese del governo Usa per finanziare l’ultima fase della guerra del Vietnam, portando l’economia americana alla stagflazione. In tutto, la fase recessiva andò avanti per due anni, fino al 1975.
E due anni, dal 1980 al 1982, durò anche la fase di crescita sottozero (in America ma anche in altri paesi occidentali) innescata dalla rivoluzione khomeinista nell’Iran del 1979. Anche in quell’occasione la miccia fu accesa dal decollo dei prezzi petroliferi e dalla conseguente impennata dell’inflazione nei paesi consumatori. Ma a mandare in rosso l’economia Usa contribuì in modo decisivo l’atteggiamento della Federal Reserve, guidata allora da Paul Volcker (oggi consigliere economico di Barack Obama), che proprio per combattere la spirale dei prezzi intervenne con decisione sui tassi d’interesse e sulla liquidità disponibile per il sistema.
Ma se con una ’U’ tutti (o quasi) gli economisti sono convinti che dovremo fare i conti, il vero incubo che si cerca di esorcizzare (e i piani di stimolo economico varati da molti paesi vanno in questo senso) è quello di una recessione a ’L’. Come dire: economia a precipizio, senza risalita in tempi prevedibili. I due esempi che la storia recente si porta addosso fanno entrambi paura. Una classica ’L’ è quella del Giappone negli anni ”90, che si è trascinata per oltre un decennio e che per certi aspetti non è ancora archiviata. L’altra ’L’ è la recessione più famosa (e temuta): la Grande Depressione che da 1929, con il crollo di Wall Street seguito dal collasso delle banche e poi dalla chiusura delle aziende e da milioni di disoccupati, è andata avanti fino al 1939.