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 2009  aprile 16 Giovedì calendario

IL LUCIDO SUICIDIO DI ROBERTA TATAFIORE IN UN DIARIO GLI ULTIMI TRE MESI DI SILENZIO


L’avevano cercata, in que­sti mesi. Ma lei non si faceva trovare. Una sola volta, aveva risposto al tele­fono: per parlare, discutere ancora, ar­rabbiarsi. Su Eluana Englaro e la sua morte, «una vittoria del padre per sua figlia, sancita dai tribunali, si rovesce­rà in una sconfitta per tutti, sancita dal Parlamento». Aveva rotto il silen­zio per scrivere, su www.donnealtri.it curato dalla sua amica di sempre Leti­zia Paolozzi, che «nella nostra solitu­dine di morenti saremo creature do­lenti e bisognose aggrappate alla vita e timorose della morte e coscienti o non coscienti delegheremo allo Stato la nostra esecuzione».

Roberta Tatafiore, 65 anni, sociolo­ga, femminista storica, scrittrice, grande combattente dei diritti, atten­ta indagatrice del mondo della prosti­tuzione e del sesso e della violenza, ha posto fine alla sua vita avvelenan­dosi nella notte di mercoledì 8 aprile, da sola in una stanza di albergo a due passi da casa sua, all’Esquilino. Non voleva che nessuno sapesse, prima, che nessuno la fermasse: è stata una addetta al servizio pulizia al piano, il 9 mattina, a trovarla, ancora in vita. Poi la corsa all’ospedale San Giovanni e un calvario inutile di quattro giorni. «La mia scelta è stata davvero scel­ta, pensata e preparata, accompagna­ta da un diario che ha dato luce ai miei ultimi giorni», ha scritto in una lettera al suo amico Daniele Scalise, al quale ha fatto recapitare l’altro ieri il suo diario di questi tre mesi in cui si è preparata, ha letto, studiato, medita­to sulla sua fine. Forse diventerà un libro.

Spiega nel testo come ha scelto il dove, il come e il quando, ma non il perché, se non per dire che è una scel­ta di libertà. stata una preparazione minuziosa la sua, come quella di tutti i suoi studi e i suoi saggi. Dai tempi in cui era inviata di Noidonne, poi del manifesto, per poi passare «dall’altra parte», al Giornale, a Libero, al Foglio e, infine, al Secolo d’Italia dove la di­rettrice Flavia Perina l’aveva chiama­ta un anno e mezzo fa a confrontarsi nella rubrica «Thelma and Louise» con Isabella Rauti. «Cercavo una don­na controcorrente, e ho messo a con­fronto una libertaria come lei e una più tradizionale come la Rauti. Sono stati fuochi d’artificio, ma mai sconta­ti », racconta la Perina, che oggi si in­terroga sull’ultimo incontro con lei. «Era Natale, è venuta a salutare con i pacchetti e le buste sotto braccio. Mi ha detto che voleva interrompere per due o tre mesi. Sarebbe andata al­l’estero per un lavoro importante, vo­leva fare una full immersion». In quel­l’occasione si mise a raccontare di sé, della sua famiglia, dei suoi Natali, del padre. All’estero, più precisamente in Svizzera, aveva spiegato poche setti­mane dopo a Letizia Paolozzi, Franca Chiaromonte, Laura Gallucci e Danie­le Scalise in una delle loro serate ritua­li: «Vado via tre mesi». E della Svizze­ra ha scritto negli ultimi fogli della sua vita: dell’associazione Dignitas che aiuta a morire «ma che sicura­mente non le avrebbe dato una ma­no, sapendo che la sua era una scelta consapevole, libera e non dettata dal­la malattia o da qualche infermità», racconta Scalise.

«No, non ci siamo accorti di nulla», ripete oggi Franca Chiaromonte. Alla ricerca di quegli indizi, che lei però non ha sparso. Di Roberta Tatafiore re­stano oltre al diario alcuni libri che hanno segnato la storia del femmini­smo in Italia: De bello fallico, Sesso al lavoro, Uomini di piacere. In un pezzo per il Foglio due anni fa aveva scritto come si immaginava dopo la morte: «Nel firmamento in cui svolacchio non ci sono larve nere bensì praterie celesti punteggiate di fiori di loto».