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 2009  aprile 17 Venerdì calendario

TROPPE TASSE, IL TEXAS MINACCIA LA SECESSIONE


«Voi andate tutti all´inferno, io vado in Texas» gridò Davy Crockett al Tennessee che non lo aveva eletto deputato e partì per il Forte Alamo dove sarebbe morto, per conquistare agli Stati Uniti quello che oggi gli Stati Uniti potrebbero perdere. Il Texas.
 per ora soltanto una sbruffonata molto texana la risoluzione dell´assemblea legislativa dello stato benedetta dal governatore Rick Perry che minaccia la secessione, un gesto magniloquente per montare dalla terra che ci ha dato due Bush e ci ha portato via un Kennedy la controffensiva dei Repubblicani contro Obama e la Washington «ladrona» dominata dai Democratici. La possibilità che il secondo stato americano per dimensione, dopo l´Alaska, immenso contenitore di campi, petrolio, tecnologie, silos, raffinerie, manzi dalle lunghe corna e uomini dalla testa calda dove l´Italia potrebbe essere contenuta tre volte, cominci una seconda guerra di secessione sono soltanto teoriche. Neppure il governatore Perry, oserebbe invitare all´uso della bandiera a stelle e striscie come carta igienica. Senza rischiare un proiettile in mezzo agli occhi.

Ma sarebbe un errore sottovalutare la capacità dei texani, dei «texians» come si chiamano, di formare il perno politico e umano di una ribellione del Sud e del Sud ovest americano contro il governo federale e i maledetti «democrats» che lo incarnano. Sulla crosta del più grande serbatoio di petrolio del continente a sud del Canada, il Bacino Permiano, punteggiato dalle superchiese dei predicatori di una Bibbia sulfurea, dalle superstrade di Houston soffocata dalle polveri delle massime raffinerie, cammina la gente più armata d´America, un esercito di cittadini che hanno sempre tollerato, mai davvero amato, il controllo del governo centrale. Se non fu un texano di nascita quell´Oswald che sparò a Kennedy, tutti, JFK per primo, e il suo vice texano, Johnson, sapevano che quella visita nello stato della stella solitaria sarebbe stata nel novembre del ï¿?63 un viaggio al fronte.
Questo, che va dalle montagne del nord alte oltre i duemila dove può nevicare, alle coste del Golfo, dove lo stesso giorno si può scoppiare di afa e di uragani, è il «Fort Alamo» della destra più destra, dove «il democratico più di sinistra sarebbe iscritto d´ufficio al partito repubblicano appena attraversasse la frontiera», come diceva James Carville, già cervello elettorale di un altro sudista, Bill Clinton. Qui, Hillary sconfisse facilmente Barack nelle primarie, votata da elettori repubblicani passati all´altro partito per fare lo sgambetto al ragazzo di colore. Qui, dove i bianchi «euro» sono appena il 51% assediato da immigrati messicani legali e dal massimo numero di illegali (due milioni), cento chilometri di distanza sono «vicinato» e il nuovo stadio dei Dallas Cowboys costato un miliardo e mezzo sembra un affare, il terrore della «reconquista» messicana e dei burocrati federales si riscaldano a vicenda.
Il «federalismo» è in Texas una religione vera, costruita sulla diffidente adesione agli Stati Uniti che nel 1845 riservò comunque la possibilità di tornare indipendenti, soli a galleggiare fra il Rio Grande a Sud e le grandi praterie del Nord. Il principio scritto nel decimo emendamento della Costituzione americana, che riserva ai singoli stati tutti i diritti e i privilegi non espressamente concessi all´Unione, è preso sul serio e invocato oggi proprio dal governatore, che Bush lasciò in eredità volando a Washington nel 2001. «Noi siamo gente diversa, che pensa e agisce in maniera diversa» spiega Rick Perry, che fra un anno tenterà la storia impresa di farsi rieleggere per la terza volta. «Non provate a pestarci la coda» Ed è in perfetta sintonia con la storia nazionale il fatto che questa collera anti Obamiana sgorghi dalla fonte che generò gli Stati Uniti, le tasse. Non è aumentata per ora nessuna imposta, ma quando i resti sparsi e confusi del partito Repubblicano hanno deciso di agitarsi contro il governo e indire di «Tea Party», di rivolte del tè come i coloni di Boston contro re Giorgio di Inghilterra, il «Tehjas», oggi Texas, è stato il primo a rispondere. E ad agitare lo spettro della secessione, forte del fatto di essere la settima potenza economica del mondo, dimenticando che senza i soli degli altri, gli investimenti militari, la Nasa, le autostrade costruite dai «federales» non lo sarebbe. Inutile, per ora, convincerli che il Texas ha bisogno degli altri Stati come gli altri Stati hanno bisogno del Texas. Se gli avventurieri eroici arroccati a Fort Alamo fossero stati ragionevoli e realisti, questo sarebbe ancora Messico. E agli Stati Uniti sarebbero stati risparmiati otto anni di governo del texano George Bush il Giovane.