Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  aprile 16 Giovedì calendario

IL NETWORK NEI PUGILI PELLEROSSA

La prateria degli scenari mozzafiato, fantastici per la fotografia, non è un bel posto per vivere. Almeno nelle riserve indiane. Non ci sono muri, tanto non servono. I pronipoti di Toro Seduto restano «chiusi fuori» rispetto alla società americana. Lungo il corso del fiume Missouri, nel cuore del Sud Dakota, ci sono riserve delle nazioni Crow, Creek e Sioux perdute in un nulla di freddo, suoli duri e vite grame. In quel finisterre un anno fa Ray Hawk ha fondato la prima «scuderia» di pugili pellerossa d’America, la Native American Warriors Pro-Boxing Network.
La finalità è nel nome stesso: si tratta di trovare ai pugili indiani la via del professionismo. Per sottrarli all’inedia, all’alcool, alle anfetamine, al diabete, al suicidio. Per dare loro una prospettiva economica. I casinò delle riserve organizzano da tempo riunioni di boxe. Ma quanto a professionisti nativi, se ne vedono pochi. Non che i programmi sportivi lanciati dai consigli tribali non includano la boxe; ma sono programmi di educazione motoria e gioco. Non preparano una carriera sul ring, e nessun promoter sano di mente andrebbe a cercare il talento di un pugile nelle riserve. La diffidenza nei confronti del professionismo può essere pur nata dal nobile principio di proteggere la gioventù indigena, se non fosse che - nell’idea di Ray Hawk - il pugilato deve diventare un’opportunità di emancipazione economica e sociale per i giovani indiani e questo vale in modo particolare per quelli delle praterie che vegetano e si spengono nelle aree più depauperate d’America.
Fort Thompson con le sue 1375 anime è secondo il censimento del 2000 il comune più povero degli Stati Uniti con reddito procapite, quell’anno, di 4030 dollari e oltre il 60 per cento della popolazione al di sotto della soglia di povertà. Qui è tornato a vivere nel 2002, nella sua comunità nativa, Ray Hawk dopo gli anni passati a lavorare in fabbrica a Chicago. L’ennesima rissa di strada lo convinse pure a smettere di bere, si è convertito al cristianesimo e ha preso ad arrangiarsi una nuova vita nella riserva dove vive in un camper. Ha tirato su con le sue mani una palestra di pugilato da un vecchio negozio di liquori, che alterna con la sala comunitaria della riserva crow-creek quando il gelo porta la temperatura sotto lo zero. Se gli indiani non riescono a far crescere pugili, non significa che non siano guerrieri: Ray si è fatto le ossa nel «Thoug Man», il circuito (e show) dilettantistico che, con le regole del pugilato, offre all’uomo comune la possibilità di battersi sul ring e racimolare un po’ di dollari. Il movente boxistico di Ray erano i soldi. Non facile.
Nei primi anni ’70 il manager indigeno ha scontato quattro anni di prigione. Dopo esser tornato nella riserva è stato raggiunto dal figlio Shawn, reduce da guai nell’Illinois, che oggi è la punta di diamante della sua organizzazione. Il sioux è passato pro nel 2004, ha un record di 18-0-1 con 16 k.o. ed è stato campione americano. Tre mesi fa era sul punto di una sfida mondiale per la corona Ibf dei massimi leggeri contro il polacco Tomasz Adamek. Gli hanno preferito un pugile più «urbano», Jonathon Banks, uscito duramente sconfitto per k.o. tecnico all’ottava ripresa nel match del 27 febbraio a Newark.
La strada per rompere il cerchio dell’esclusione - che sia razziale, sociale, economica o mediatica - è dura. Ma è sempre meglio del passato di Shawn che ha avuto problemi con la giustizia e con l’alcool e ora può allenarsi a Las Vegas. Aspettando la sua occasione, deve prendere a pugni anche il pensiero ossessivo «You’re from the rez», «Vieni dalla riserva: non concluderai mai niente di buono». Chissà se gli è venuto in mente negli ultimi combattimenti tutti vinti per k.o. alle prime riprese: Dennis McKinney al quarto round; Bo Skipper al primo; Joshua Green al secondo; Jim Franklin al terzo sul quadrato del «4 Bears Casino & Lodge» nel Nord Dakota che ospita spesso The Sioux Warrior, come è soprannominato Shawn sulla scena della boxe.
Poco a poco, il manager indigeno ha visto prendere forma il suo progetto. Una dozzina di pugili native american combattono nel circuito dei casinò. Molti dilettanti, ma il seme è gettato. Solo per andarli a visionare, quando le tribù glieli segnalano, Ray deve fare diverse ore di macchina. A dispetto della tradizione, non è contrario a prendere le ragazze. Su un piano di parità con gli uomini, perché anche per le indigene il pugilato può essere un mezzo per sconfiggere la stessa alienazione dei maschi, aggravata da subalternità e abusi domestici. Nella riserva sioux di Standing Rock c’è un monumento a Toro Seduto: una sua discendente diretta è una delle atlete del network indigeno. Cheryl Ziegler, 19 anni, era spinta dalla necessità di mantenere la figlia Brooklyn, nata quando ne aveva 17. Il padre di Cheryl sta scontando una lunga pena detentiva. La disciplina del ring l’ha aiutata a tornare sui banchi di scuola all’istituto superiore della riserva di Lower Brule, che ogni anno diploma 10-12 ragazze del territorio sioux.
L’abbandono scolastico è altissimo già alle scuole inferiori. Anche Cheryl è passata per il «Tough Man» - vera wild card di tutti i nativi - che le fruttava qualche centinaio di dollari per ciascun match vinto. Come esordiente, i primi match da professionista su quattro riprese possono offrirle borse attorno agli 800 dollari. Nelle riserve della prateria c’è desolazione, oblio e miseria. Cheryl ha deciso di andare a vivere lontano da Lower Brule a fare la boxeur per dare un futuro diverso alla piccola: destino Pierre, capitale del Sud Dakota, assieme a Brooklyn. Gli insegnanti di scuola sono scettici. una sfida troppo grande per lei. She’s from the rez. «A volte i sogni si avverano - ha detto però Silas Blaine, soprintendente delle scuole tribali crow-creek - come Obama».