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 2009  aprile 16 Giovedì calendario

«AI COLLEZIONISTI DICO: COMPRATE CON GLI OCCHI E NON CON LE ORECCHIE»


«L’arte contem­poranea? viva e vege­ta: la crisi non l’ha affatto penalizzata. An­zi, possiamo parlare di un merca­to molto vivace, che si sta qualifi­cando e riequilibrando su un giu­sto rapporto qualità prezzo».

Non ha dubbi Claudia Gian Ferrari, gallerista milanese che ha donato le sue collezioni a Villa Necchi, a Milano, e al Maxxi di Roma, paladina degli archivi de­gli artisti e figlia del celebre Etto­re, protagonista della cultura ita­liana del Novecento che ebbe l’in­tuizione di istituire l’ufficio ven­dite della Biennale di Venezia.

Dunque la caduta degli déi, la fine dei Damien Hirst, Jeff Koons e Cattelan non è vicina, come profetizzano certe Cas­sandre?

«Purtroppo succede che alcu­ni critici o studiosi che sono stati protagonisti e lucidi interpreti delle stagioni passate, non riesca­no più a confrontarsi con il pre­sente e i nuovi linguaggi e allora, essendone esclusi, ne dichiarino l’insignificanza. Hirst, Koons, Cattelan non sono soltanto delle icone, ma dei punti di riferimen­to della contemporaneità».

La storia del gusto ci inse­gna invece che i valori non so­no eterni: oggi Caravaggio è il massimo, ma fino alla prima metà del Novecento era quasi dimenticato e lo stesso si può dire di tanti altri, da Vermeer a Canova.

«La storia del gusto è la storia dello spirito del tempo: artisti co­me Fontana o Manzoni sono an­cora oggi ridicolizzati da gran parte della società borghese».

Tuttavia il meccanismo del mercato a molti appare droga­to e incomprensibile.

«Vi partecipano sei attori: ca­se d’asta, gallerie, critici, collezio­nisti, musei, artisti. Come in ogni mercato esistono collega­menti e connivenze, però se non c’è l’artista con la A maiuscola, tutto il resto non sta in piedi. Non è vero che l’artista può esse­re costruito dal mercato. Alla ba­se della piramide c’è il gallerista, il cui ruolo fondamentale è sce­gliere, rischiare, investire e pro­muovere: a differenza delle case d’asta che, dopo essere state pro­tagoniste di un rialzo forzato, in questi mesi hanno rivisto le sti­me al ribasso fino al trenta per cento pur di giungere alla vendi­ta, il gallerista non è interessato né alla speculazione né alla sven­dita ».

Alcuni si scandalizzano per­ché il mercato oggi sarebbe do­minato da finanzieri d’assalto che utilizzano l’arte come bene di investimento e visibilità, ma l’arte è sempre stata esibizione di potere.

« vero che nell’ultimo scor­cio di questo secolo ci sono stati collezionisti che hanno compra­to più con le orecchie che con gli occhi. Però la crisi cambierà la si­tuazione; chi ha soldi continuerà a comprare, ma con maggiore passione per l’arte».

I grandi mercanti globali co­me Larry Gagosian fanno bene o male al mercato?

«Né male, né bene: fanno sem­plicemente il mercato».

Allora quali sono le distorsio­ni?

«Quando non si vende più l’opera di qualità, ma solo l’ope­ra purché abbia il nome di un cer­to artista. Le distorsioni sono le liste d’attesa, il tutto venduto in privato prima dell’apertura della mostra, i galleristi che decidono addirittura a quale collezione venderanno le opere arrivando fi­no a negarle a un cliente non ab­bastanza up to date ».

Perché l’Italia resta fuori dal gioco?

«La penalizzazione vera è l’im­possibilità di presentarsi sul mer­cato internazionale con opere di oltre 50 anni, e quindi a rischio di notifica, cioè vincolate al patrimo­nio italiano. Se da una parte que­sto è accettabile fino al Futuri­smo, dall’altra è penalizzante per il resto degli artisti. Se andassi a una fiera a Londra con un Fonta­na del 1955, potrei incorrere nella notifica e a quel punto il prezzo da mille scenderebbe a cinquecen­to. Questo trattiene anche il priva­to o il gallerista dal concedere pre­stiti alle mostre all’estero con il ri­sultato che la circolazione della fa­ma degli artisti italiani viene pena­lizzata. Inoltre manca un progetto culturale che sostenga la visibilità dei nostri giovani artisti».

Come sono i collezionisti ita­liani?

«I migliori del mondo: prepa­rati, interessati a creare un rap­porto con l’artista e il gallerista e disponibili a comprare rinuncian­do ad altri beni. un collezioni­smo diffuso, con una base molto larga».