Francesca Bonazzoli, Corriere della sera 16/4/2009, 16 aprile 2009
«AI COLLEZIONISTI DICO: COMPRATE CON GLI OCCHI E NON CON LE ORECCHIE»
«L’arte contemporanea? viva e vegeta: la crisi non l’ha affatto penalizzata. Anzi, possiamo parlare di un mercato molto vivace, che si sta qualificando e riequilibrando su un giusto rapporto qualità prezzo».
Non ha dubbi Claudia Gian Ferrari, gallerista milanese che ha donato le sue collezioni a Villa Necchi, a Milano, e al Maxxi di Roma, paladina degli archivi degli artisti e figlia del celebre Ettore, protagonista della cultura italiana del Novecento che ebbe l’intuizione di istituire l’ufficio vendite della Biennale di Venezia.
Dunque la caduta degli déi, la fine dei Damien Hirst, Jeff Koons e Cattelan non è vicina, come profetizzano certe Cassandre?
«Purtroppo succede che alcuni critici o studiosi che sono stati protagonisti e lucidi interpreti delle stagioni passate, non riescano più a confrontarsi con il presente e i nuovi linguaggi e allora, essendone esclusi, ne dichiarino l’insignificanza. Hirst, Koons, Cattelan non sono soltanto delle icone, ma dei punti di riferimento della contemporaneità».
La storia del gusto ci insegna invece che i valori non sono eterni: oggi Caravaggio è il massimo, ma fino alla prima metà del Novecento era quasi dimenticato e lo stesso si può dire di tanti altri, da Vermeer a Canova.
«La storia del gusto è la storia dello spirito del tempo: artisti come Fontana o Manzoni sono ancora oggi ridicolizzati da gran parte della società borghese».
Tuttavia il meccanismo del mercato a molti appare drogato e incomprensibile.
«Vi partecipano sei attori: case d’asta, gallerie, critici, collezionisti, musei, artisti. Come in ogni mercato esistono collegamenti e connivenze, però se non c’è l’artista con la A maiuscola, tutto il resto non sta in piedi. Non è vero che l’artista può essere costruito dal mercato. Alla base della piramide c’è il gallerista, il cui ruolo fondamentale è scegliere, rischiare, investire e promuovere: a differenza delle case d’asta che, dopo essere state protagoniste di un rialzo forzato, in questi mesi hanno rivisto le stime al ribasso fino al trenta per cento pur di giungere alla vendita, il gallerista non è interessato né alla speculazione né alla svendita ».
Alcuni si scandalizzano perché il mercato oggi sarebbe dominato da finanzieri d’assalto che utilizzano l’arte come bene di investimento e visibilità, ma l’arte è sempre stata esibizione di potere.
« vero che nell’ultimo scorcio di questo secolo ci sono stati collezionisti che hanno comprato più con le orecchie che con gli occhi. Però la crisi cambierà la situazione; chi ha soldi continuerà a comprare, ma con maggiore passione per l’arte».
I grandi mercanti globali come Larry Gagosian fanno bene o male al mercato?
«Né male, né bene: fanno semplicemente il mercato».
Allora quali sono le distorsioni?
«Quando non si vende più l’opera di qualità, ma solo l’opera purché abbia il nome di un certo artista. Le distorsioni sono le liste d’attesa, il tutto venduto in privato prima dell’apertura della mostra, i galleristi che decidono addirittura a quale collezione venderanno le opere arrivando fino a negarle a un cliente non abbastanza up to date ».
Perché l’Italia resta fuori dal gioco?
«La penalizzazione vera è l’impossibilità di presentarsi sul mercato internazionale con opere di oltre 50 anni, e quindi a rischio di notifica, cioè vincolate al patrimonio italiano. Se da una parte questo è accettabile fino al Futurismo, dall’altra è penalizzante per il resto degli artisti. Se andassi a una fiera a Londra con un Fontana del 1955, potrei incorrere nella notifica e a quel punto il prezzo da mille scenderebbe a cinquecento. Questo trattiene anche il privato o il gallerista dal concedere prestiti alle mostre all’estero con il risultato che la circolazione della fama degli artisti italiani viene penalizzata. Inoltre manca un progetto culturale che sostenga la visibilità dei nostri giovani artisti».
Come sono i collezionisti italiani?
«I migliori del mondo: preparati, interessati a creare un rapporto con l’artista e il gallerista e disponibili a comprare rinunciando ad altri beni. un collezionismo diffuso, con una base molto larga».