varie, 16 aprile 2009
Roberta Tatafiore, 65 anni. Originaria della Calabria ma trapiantata a Roma, «bella e allegra», «fatta per la libertà», femminista storica, scrittrice, attenta indagatrice del mondo della prostituzione, del sesso e della violenza, un tempo inviata di Noidonne, poi del manifesto, quindi passata «dall’altra parte», al Giornale, a Libero, al Foglio, infine al Secolo d’Italia, a Natale si presentò in redazione «con i pacchetti e le buste sotto braccio» e disse alla direttrice Flavia Perina che voleva «interrompere per due o tre mesi»: «Vado in Svizzera per un lavoro importante»
Roberta Tatafiore, 65 anni. Originaria della Calabria ma trapiantata a Roma, «bella e allegra», «fatta per la libertà», femminista storica, scrittrice, attenta indagatrice del mondo della prostituzione, del sesso e della violenza, un tempo inviata di Noidonne, poi del manifesto, quindi passata «dall’altra parte», al Giornale, a Libero, al Foglio, infine al Secolo d’Italia, a Natale si presentò in redazione «con i pacchetti e le buste sotto braccio» e disse alla direttrice Flavia Perina che voleva «interrompere per due o tre mesi»: «Vado in Svizzera per un lavoro importante». In questo periodo, in cui rispondeva al telefono frettolosamente, scrisse un solo articolo, sul sito Donnealtri, in cui ragionava sul caso Englaro «a corpo freddo (di Eluana) e a mente raggelata (la mia)»: «Il padre di Eluana è riuscito sì a liberare sua figlia da una vita-nonvita… ma a un prezzo molto alto: avremo la legge peggiore che esiste al mondo sulle volontà di fine vita…». Il resto del tempo lo dedicò alla scrittura di un diario in cui racconta la sua decisione di morire («State sereni. La mia è stata una scelta a lungo riflettuta, preparata»), come s’è organizzata, che libri ha letto, come ci si prepara al suicidio, come ha scelto il dove, il come e il quando, ma non il perché, se non per dire che la sua è una scelta di libertà. Quindi spedì il memoriale di una cinquantina di pagine a quattro amici, fece un salto nella sua casa all’Esquilino per l’ultimo saluto alla gatta, e prese una stanza in un albergo lì vicino dove mandò giù alcune pillole che l’avvelenarono. Due anni fa, in un pezzo per il Foglio, aveva scritto come si immaginava dopo la morte: «Nel firmamento in cui svolacchio non ci sono larve nere bensì praterie celesti punteggiate di fiori di loto». Nottata di mercoledì 8 aprile in un albergo di Roma.