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 2009  aprile 16 Giovedì calendario

Luciano Gallino, Con i soldi degli altri, Einaudi, 2009, 195 euro, 17 euro. Investitori istituzionali

Luciano Gallino, Con i soldi degli altri, Einaudi, 2009, 195 euro, 17 euro. Investitori istituzionali. Società di intermediazione finanziaria che raccolgono soldi dei risparmiatori per farli fruttare a loro beneficio investendoli in imprese prevalentemente quotate in borsa. Sono così definiti i fondi pensione, i fondi comuni (o aperti, accessibili a tutti i risparmiatori), le compagnie di assicurazione, le banche d’affari, le fondazioni (per esempio le prime cinque università americane, Harvard, Yale, Stanford, Princeton, Texas, con un capitale di 100 miliardi di dollari), gli hedge funds (fondi di copertura rischio, accolgono un numero ridotto di sottoscrittori, richiedono quote d’ingresso nell’ordine di milioni di euro e hanno vocazione speculativa), private equity funds (acquistano imprese private non quotate allo scopo di ristrutturarle e rivenderle in borsa), i fondi sovrani costituiti a fini speculativi e previdenziali dai governi. Intrecci. Fondi pensione che acquistano quote di fondi comuni, di hedge funds e private equity, o entrano direttamente nel capitale di imprese private. Hedge funds e private equity che comprano quote di fondi comuni, e viceversa. Fondi comuni controllati da banche nel 2002: il 70 per cento in Francia, il 64 per cento in Germania, l’81 per cento in Italia, il 93 per cento in Spagna. Legge Glass-Steagall. Firmata il 12 novembre 1999 negli Usa dal presidente democratico William J. Clinton durante il suo secondo mandato, ha abolito la separazione tra banche commerciali (o di deposito), e banche d’affari (imposta nel 1933 per impedire alle prime le attività speculative, tra le cause principali del crollo del ”29). Fondi di fondi. Il loro capitale è costituito unicamente da quote di altri fondi. Trilione. Misura di grandezza equivalente, nell’uso italiano, a 1000 miliardi. Borse. Titoli scambiati giornalmente sulle borse mondiali dagli investitori istituzionali: l’80 per cento (il 30/50 per cento dai fondi speculativi). Nella zona euro i capitali gestiti dai soli fondi comuni tra il 1992 e il 2001 sono saliti da 0,8 trilioni a 3,6 trilioni, con un tasso medio di crescita del 18 per cento. Concentrazioni. Metà dei fondi comuni d’investimento (33.600 su 66.350), ha sede legale in quattro paesi: Lussemburgo, Stati Uniti, Francia, Corea del Sud. Il 45,8 per cento del capitale è nel portafoglio dei fondi statunitensi, il 10 per cento in Lussemburgo, il 7,5 in Francia, in 4,6 in Australia (in Italia hanno sede 924 fondi, con un capitale di 420 miliardi). Concentrazioni 2. Nel 2006 i primi dieci enti finanziari del mondo avevano in portafoglio più della metà del capitale della totalità dei fondi comuni, oltre 13 trilioni di dollari su 26. I 25 maggiori fondi comuni Usa rappresentano numericamente appena lo 0,04 per cento dei 66 mila fondi esistenti nel mondo, ma hanno in portafoglio 1,4 trilioni di dollari, l’8 per cento del capitale di tutti i fondi comuni. Il 90 per cento del capitale dei fondi americani, 10,8 trilioni di dollari, fa capo a 86 gruppi o famiglie di fondi. Il maggiore, Fidelity, con 1,25 trilioni di dollari in portafoglio, controlla circa 300 fondi. Piccoli risparmiatori. Totale dei capitali gestiti da investitori istituzionali a fine 2007: 53 trilioni di dollari (per un Pil mondiale di 54 trilioni), per l’80 per cento di proprietà di piccoli risparmiatori. Fondi pensione. I 30 mila esistenti gestiscono 17,5 trilioni di dollari (i lavoratori hanno nei fondi pensione un patrimonio che ammonta a oltre un terzo del capitale azionario e obbligazionario delle imprese). Nel 2007 i primi 300, l’1 per cento del totale, avevano in portafoglio 12 trilioni di dollari, il 60 per cento del totale del capitale dei fondi pensione. Hedge funds. I maggiori sono concentrati negli Usa e nel Regno Unito. I primi 50 per capitale amministrato, tutti anglosassoni, gestiscono un capitale di un trilione di dollari. Quelli europei, duemila, al 2007, gestiscono meno della metà del loro capitale. Dirigenti. Gli investitori istituzionali detengono la metà del capitale azionario esistente nel mondo. Stima totale di direttori e manager degli investitori istituzionali che di conseguenza lo gestiscono: tra le 60 e le 120 mila persone in tutto il mondo (dirigenti assunti dagli azionisti a governare le maggiori corporation: 3 milioni). CD. La tendenza dei fondi pensione di trasferire il rischio sui sottoscrittori, attraverso il passaggio su larga scala dei piani pensionistici a beneficio definito, BD (il futuro pensionato sa che potrà contare su un trattamento commisurato a durata di periodo lavorativo e retribuzione), a piani a contributo definito, CD (il futuro pensionato è certo del contributo mensile da versare, ma non del trattamento futuro, condizionato dall’andamento delle borse, tasso inflazione, aumento maggiore e minore del Pil, efficacia delle strategie finanziarie). CD 2. Tra il 1997 e il 2006, nei sette paesi dove maggiore è lo sviluppo dei fondi pensione (Usa, Canada, Svizzera, Giappone, Olanda, Regno Unito, Australia), la quota di capitale attribuita ai piani del tipo Cd è passata dal 34 al 42 per cento. Nel Regno Unito dal 4 al 33 per cento, in Australia dal 73 al 91 per cento. In Italia tutti i fondi pensione istituiti dopo il 1993, operano esclusivamente sulla base di piani CD. GM. Occupati dalla General Motors al 2008: 85 mila. Ex dipendenti che fanno capo ai suoi fondi pensione: un milione. Nel 1962 la GM aveva 460 mila dipendenti, 40 mila pensionati. Rendimenti. Quattro quinti degli scambi giornalieri delle borse mondiali sono eseguiti da investitori istituzionali. Nel periodo 1983-2003 il valore medio delle azioni scambiate in Usa è salito del 13 per cento l’anno, il ricavo medio dei fondi comuni è stato del 10,3 per cento. Il rendimento personale dell’investitore che ne ha acquistato quote, il 7,9 per cento (5,1 punti percentuali in meno di quanto avrebbe ottenuto comprando semplicemente un paniere di azioni rappresentativo di tutto il mercato). Vigilanza. Tra i motivi per cui le banche centrali sono condizionate nell’esercizio del loro compito di vigilanza, il fatto che il loro capitale sia detenuto da banche private. Per esempio il capitale della Banca d’Italia è in mano a una cinquantina di banche e compagnie di assicurazione. Aria fina. ”Dall’aria fina” è detto il denaro creato da una banca quando concede un prestito, ossia dal nulla (gli economisti parlano anche di processo moltiplicatore del credito o di espansione dei depositi). Es.: la Banca A concede prestito a signor Verdi, che così paga ditta Bianchi, che deposita denaro in banca B, che a sua volta usa denaro per concedere altro prestito (prestito iniziale di 1000 euro immette nell’economia fino a 10 mila euro). Il rischio è il tracollo dell’economia se aumenta il numero di coloro che non ripagano il debito. Crescita. Confronto tra andamento del Pil e tasso di creazione di denaro nei due decenni precedenti la crisi 2007-2008: l’economia Usa cresceva del 3/4 per cento l’anno e quella Ue del 2/3 per cento, il tasso annuo di creazione del denaro si è aggirato mediamente sul 14 e 10 per cento. Il Fed (Federal Reserve System), nel 2001-2006 ha immesso nell’economia americana due trilioni di dollari, un altro trilione e mezzo tra il 2008 e i primi mesi del 2009. Derivati. Titoli di scambio o contratti a termine, con valore legato all’andamento sui mercati d’una qualsiasi entità numerica sottostante. Esistono da un paio di secoli (la forma più tradizionale i c.d. futuri). Prototipo il contratto stipulato un tempo dagli agricoltori coi mercanti di granaglie, mesi prima del raccolto, per assicurarsi di spuntare a suo tempo un determinato prezzo (il mercante si impegnava a pagare il prezzo convenuto a prescindere dall’andamento del mercato). Se al momento del raccolto il prezzo di mercato del grano o del mais era più basso di quello indicato nel contratto, ci guadagnava l’agricoltore, se più alto il mercante. Degenerazioni. A partire dagli anni Settanta del Novecento sono aumentate le entità materiali e immateriali che possono fungere da riferimento ”sottostante” a un contratto derivato. Valore nominale dei derivati scambiati a giugno 2008: 80 trilioni di dollari nelle borse, 684 trilioni al banco, cioè al di fuori delle borse (in tutto per un valore pari a 14 volte il Pil del mondo). Derivati del credito. Rappresentano una forma di assicurazione contro il rischio che un debito non venga saldato. Da un rapporto del Congresso degli Stati Uniti: «Un derivato del credito è un contratto finanziario in forza del quale il venditore riceve periodicamente un compenso in cambio dell’impegno a fare eventuali pagamenti al compratore se una specifica entità di riferimento non fa fronte ai suoi obblighi concordati». La forma più comune sono i credit default swaps (Cds), contratti che assicurano un soggetto contro il rischio d’insolvenza d’una controparte o contro la mancata riscossione di un credito alla data di scadenza (in pratica si trasformano i prestiti in titoli commerciabili). Equivalenze. Definizione dei derivati data nel 2003 da Warren Buffet, uomo della finanza: «Gli equivalenti finanziari delle armi di distruzione di massa». Trasformazioni. Valore nominale dei Cds in circolazione negli Usa al marzo 2008: 16,4 trilioni di dollari (oltre 3 trilioni più del Pil). A comprare protezione mediante i Cds erano in prevalenza banche (il 59 per cento del mercato), fondi speculativi e compagnie di assicurazione. Riserva. A fronte dei crediti concessi le banche dovrebbero accantonare una quota minima di capitale a riserva, per far fronte a situazioni d’insolvenza (come impone l’accordo interbancario Basilea I del 1988). Riserva pari all’8 per cento di ciascun credito concesso a un’impresa (8 euro in cassa per ogni 100 dati in prestito), una frazione minore se concesso ad altri soggetti. L’accantonamento riduce la liquidità, soprattutto per i crediti ipotecari, difficilmente smobilizzabili. Per esempio l’ammontare di un mutuo ventennale resta bloccato in bilancio finché non è interamente ripagato, rendendo indisponibile il capitale per altre operazioni. Flussi. Operazioni compiute dalle banche per procurarsi nuovi flussi di liquidità: conferire ai crediti la qualità di titoli commerciabili, come tali rivendibili (titolarizzazione, in Italia cartolarizzazione); creare le Obse (bank-sponsored off-balance sheet entities), società di scopo istituite dalla banca sponsor, per trasferire fuori bilancio i crediti, al fine di non accrescere il capitale da accantonare quale riserva. Cdo. Collateralized debt obligations, obbligazioni che hanno per collaterale un debito. Ogni obbligazione viene composta raggruppando in un unico titolo un centinaio di altri titoli appoggiati (garantiti) da un attivo, gli asset backed securities o Abs. A loro volta gli attivi cui è appoggiato ciascun Abs sono costituiti da migliaia di debiti individuali o frazioni di essi (in prevalenza mutui ipotecari, debiti contratti per acquistare l’auto, debiti derivati dall’uso di carte di credito, per pagare tasse universitarie, ecc. Una Cdo contiene un centinaio di Abs, ciascuno dei quali può contenere migliaia di titoli di debito, frazionati in trances che corrispondono a diversi livelli di rischio: senior (rischio minimo di insolvenza), mezzanine (rischio medio), junior (rischio massimo). Le trances a maggior rischio offrono i rendimenti maggiori. Italia. Attraverso società sponsorizzate, nel novembre 2008 UniCredit ha cartolarizzato 23 miliardi di euro di mutui fondiari, ai primi di gennaio 2009 Intesa Sanpaolo per un importo di 13 miliardi (vero che, avendo le banche italiane concesso mutui residenziali con maggior cautela di quelle americane, le Cdo italiane sono più affidabili). Nulla. La gran massa di denaro creato così dal nulla è tornato nel nulla negli Usa in seguito alla riduzione del prezzo delle entità sottostanti (in primo luogo il prezzo delle abitazioni), e al fallimento dei modelli matematici che avrebbero dovuto garantire la gestione del rischio (con conseguenti perdite dei sottoscrittori dei fondi comuni o pensione che hanno investito in Cdo). Soltanto in Usa, le riserve di fondi pensione, compagnie di assicurazione e banche hanno perso in quindici mesi, tra giugno 2007 e settembre 2008, 2 trilioni di dollari. Roe. Return on equity, rendimento dei fondi propri. Gli investitori istituzionali impongono alle società in cui investono un rendimento dei propri investimenti del 15 per cento (impossibile, considerato il tasso di crescita del Pil del 2 per cento l’anno, e i tassi d’interesse del 3-4%). Non potendo attraverso la produzione di mezzi e servizi, le imprese hanno garantito il Roe con espedienti come il buyback, riacquisto di azioni proprie (aumentando la domanda di azioni proprie circolanti in borsa ne fanno aumentare il valore). Nel 2006 le imprese britanniche hanno investito in acquisto di azioni proprie 69 miliardi di euro (anziché in processi produttivi, ricerca e sviluppo). Stock options. Meccanismo che spinge i manager ad anteporre la massimizzazione del valore per gli azionisti a qualsiasi altro criterio di gestione: le stock options. Al manager sono assegnate azioni per un certo valore nominale, lui può acquistarle e rivenderle entro un certo termine (lo farà quando aumentano di valore per incassare la plusvalenza, su cui paga un’imposta del 12,5 % a fronte di una tassazione sui redditi da lavoro dipendente con aliquote dal 23 al 45%). Nel 2000 nelle prime duecento corporation americane per fatturato il compenso medio pro capite dei presidenti/amministratori delegati ammontava a 11,3 milioni di dollari (pari a 375 volte il salario medio dei dipendenti), di cui il 60% dall’esercizio delle stock options. Divisioni. A partire dagli anni Ottanta le imprese manifatturiere, diventato più conveniente creare denaro per mezzo di denaro anziché per mezzo di merci, hanno creato divisioni specializzate in attività finanziarie, offrendo servizi finanziari simili a quelli di una banca, a famiglie e imprese. Per esempio la General Electric (GE), colosso mondiale della produzione di motori e turbine, offriva un piano finanziario per cure odontoiatriche. GMAC. Nel 2004 la divisione finanziaria della General Motors (GMAC General Motors Acceptance Corporation), ha generato da sola l’80 per cento del reddito totale della GM. IFRS. L’entrata in vigore, il I gennaio 2005, delle IFRS, ”norme per la rendicontazione finanziaria”, in sostituzione delle precedenti ”norme per la contabilità” («Nel mutamento della denominazione è insito che ciò che importa al fondo non è il modo con cui si costruisce il bilancio, bensì il modo in cui l’informazione viene confezionata per essere trasmessa agli azionisti»). In base alle IFRS (redatte da un gruppo privato di esperti anglosassoni, l’International Accounting Standards Board), tutte le componenti dell’impresa vengono iscritte sulla base del flusso di cassa, per rappresentare quello che l’impresa vale nell’immediato sul mercato, non quello che produce, qual è il suo fatturato, quante persone occupa, prospettive a lungo periodo. Es: uno stabilimento costato un milione di euro nel 2007 secondo le vecchie norme veniva iscritto in bilancio nel 2009 quale attivo del valore di 0,8 milioni (cioè il 10 per cento in meno per deprezzamento causa vetustà). Secondo le nuove norme viene iscritto a bilancio sulla base del flusso di cassa che può generare, dopo averlo attualizzato (cioè scontato, perché i soldi incassati domani valgono meno di quelli incassati oggi). Somme. «Il riferimento al valore di mercato per gli attivi di impresa fa apparire quest’ultima non solamente come una merce (quasi) come le altre, ma come una somma di elementi staccabili a piacere, vendibili ”a lotti separati”, senza che la loro organizzazione sia considerata come una fonte di valore a sé» (M. Capron (a cura di), Les normes comptables internationales, instruments du capitalisme financier). Coincidenze. «L’esperienza non dimostra affatto in modo chiaro che la politica d’investimento più conveniente dal punto di vista sociale coincida con quella che offre i maggiori profitti» (J.M. Keynes, teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, 1936). ISR. Investimento socialmente responsabile, così definito quando l’attore tiene conto in anticipo del genere di prodotti e servizi offerti dall’impresa in cui investe, sia delle possibili conseguenze sulle condizioni di lavoro e sui rapporti con la comunità in cui l’impresa è insediata. Iniziativa Finanza. Avviata nel 2003 dalle Nazioni Unite, scopo promuovere pratiche d’investimento più responsabili in nome di una finanza sostenibile (attenta ai problemi delle sostenibilità ambientale, economica e sociale). PRI. Principi dell’investimento responsabile, presentati a Boston nel 2006 dai rappresentanti dei venti investitori maggiori del mondo. Tra il 2006 e il 2007 duecento investitori, gestori di un portafoglio del valore complessivo di 10 trilioni di dollari, decidono di adottarli, impegnandosi a vario titolo di promuovere i temi ambientali, sociali e altri connessi al governo delle imprese (acronimo ASG). PE. Principî dell’Equatore, enucleati da rappresentanti di alcune banche e dirigenti della Banca mondiale nel 2002, presentati nella sede delle Nazioni Unite nel 2004, a Washington. Le istituzioni finanziarie che li adottano si impegnano a concedere prestiti a condizione che il progetto sia compatibile con numerosi aspetti sociali e ambientali (elencati in un’appendice). Nel 2007 hanno aderito una sessantina di istituzioni finanziarie, tra cui Abn Amro, Bank of America, Citigroup, Crèdit Suisse, Dresdner Bank, Intesa Sanpaolo, Société Générale HNWI. Acronimo inglese per ”individui ad alto valore netto”. Detengono almeno un milione di dollari a testa in attivi finanziari. Nel 2007 erano 10,1 milioni (3,3 milioni in Nord America, 3,1 milioni in Europa, 2,8 nell’Asia sud-orientale, 0,9 milioni in paesi emergenti dell’America latina, Medio Oriente e Africa). Poveri. Lavoratori che non guadagnano abbastanza per garantire a sé e ai propri familiari un reddito superiore alla linea della povertà (fissata in 2 dollari al giorno): 1,3 miliardi per un totale di 3 miliardi di persone povere (stima dell’Oil, Organizzazione Internazionale del lavoro). Sicurezza. Morti ogni anno a causa del lavoro: 2,2 milioni (1,75 milioni per malattie contratte causa esposizione a sostanze nocive, gli altri per infortuni sul lavoro). Decessi previsti entro il 2035 a causa dell’esposizione all’amianto nell’Europa occidentale: 500 mila (l’Ue ha vietato il suo impiego nel 1998). Slums. Oltre un miliardo di persone (un sesto dell’umanità), vive in slums, aree urbane - centro storico o periferia -, dove si concentrano edifici degradati, baracche di cartone e lamiera, spazi derivati nelle discariche. Persone le cui abitazioni sono prive di servizi igienico-sanitari: 2,6 miliardi (se il riferimento fosse lo standard dell’occidente sviluppato, 4 miliardi). Acqua. Persone che vivono a più di un chilometro da una qualsiasi fonte d’acqua: 1,1 miliardi (consumano 5 litri di acqua non sicura ciascuno al giorno, contro i 300 litri di acqua potabile nell’Europa Occidentale, 575 negli States). Fame. Persone che soffrono la fame: un miliardo. Sono aumentati di cento milioni tra il 2007 e il 2008 a causa dell’aumento del prezzo di alimenti base, come il mais (+ 72% in dodici mesi), grano (+ 68%), riso (+ 80%), soia (+80%). Tra le conseguenze la morte di 25 mila bambini ogni giorno a causa di malattie innocue per bambini ben nutriti. Diseguaglianze. Stima della disuguaglianza di reddito tra il 20% della popolazione più benestante e il 20% più povero: 90 a 1 (se si considerano i 20 paesi più ricchi e i 20 più poveri, 120 a 1). I venti uomini più ricchi del mondo posseggono una ricchezza complessiva pari a quella del miliardo più povero.