Dagospia, 14/04/2009, 14 aprile 2009
Il metodo antistronze. «Lo stronzo ti vuole morto. La stronza ti vuole vivo, ma infelice» DA DAGOSPIA
Il metodo antistronze. «Lo stronzo ti vuole morto. La stronza ti vuole vivo, ma infelice» DA DAGOSPIA.IT «Esiste un teorema, una vera e propria legge scientifica per capire cos’’è una stronza: data una distanza tra due punti, diciamo A e B, la stronza trova tutti i punti intermedi per andare da A a B nella maniera più contorta, imprevedibile e arzigogolata. So che questo può apparire antieconomico rispetto alla strategia dello stronzo, che invece va dritto per la sua sua strada ed è disposto a passare perfino sui cadaveri per ottenere quello che vuole. Ma la stronza non vuole morti. Una delle mie massime è questa: lo stronzo ti vuole morto. La stronza ti vuole vivo, ma infelice». Danny Samuelson docet. Il luminare nel campo della "stronzaggine", psicologo e psicanalista americano del Mental Research Institute di Palo Alto, in California, è l’autore de «Il metodo antistronze» (aliberticastelvecchi, 208 pp., 13,50). Ma il suo sapido manuale di sopravvivenza contro le esponenti della categoria, tiene a sottolineare l’esperto, «Non è un libro contro le donne, tutt’altro». Professore, sia sincero: nel mare magnum della stronzaggine, dato che lei ne indica cento tipologie più una, qual è la stronza più pericolosa e perché? C’è l’imbarazzo della scelta, direi però che la meta-stronza, l’ultimo tipo, è la specie più rara e pericolosa. La meta-stronza è al di là del bene e del male, conosce tutti i tipi di stronzaggine, maschile e femminile, e li usa come un virtuoso del violino usa le dita e l’archetto. Potrebbe guarire, ma non vuole: perché la stronza, diciamolo una volta per tutte, si piace così com’è. Una volta feci notare a una mia paziente che trovavo un po’ stronzo il fatto che per due anni avesse fatto pedinare i marito, conservando perfino tutti i suoi scontrini e studiando gli estratti conto della carta di credito, col solo fine di strappare un divorzio milionario. La risposta fu lapidaria: «Diamine, dottore, lo so di essere una stronza, ma mi dica: crede che io la paghi per sentirmi dire quello che so già da sola?». Nei ringraziamenti compare un tributo al libro «Istruzioni per rendersi infelici» di Watzlawick. Ci spieghi come quella lettura l’ha illuminata. Paul Watzlawick, guru riconosciuto della scuola di psicologia relazionale di Palo Alto in California, è anche uno dei saggisti più spiritosi che io abbia mai letto. In quel libretto spiegava, con molti esempi tragicomici, che siamo noi in realtà gli artefici del 90 per cento dei nostri guai. E poi Watzlawick è uno dei massimi interpreti del dilemma della madre ebraica. La madre ebraica - ne so qualcosa, visto che io stesso sono un ebreo ashkenazita - è quel tipo di madre che ti regala due maglioni, uno rosso e uno nero. Il giorno dopo tu, tutto contento, ti metti il maglione nero. Lei ti guarda afflitta e fa: «Perché? Il maglione rosso forse non ti è piaciuto?». Questo è un caso esemplare di stronza al quadrato, anzi al cubo: qualunque cosa tu faccia, non va mai bene. C’è sempre un maglione, un "altro" maglione, in agguato. La stronzaggine nel suo manuale assume quasi i contorni di una malattia. contagiosa? Ma, soprattutto, stronze si nasce o si diventa? La stronza è in noi, in tutti noi, dalla nascita, per il semplice fatto che in tutti noi, uomini e donne, come diceva Carl Gustav Jung, c’è una parte di Animus e una parte di Anima. I cinesi chiamano la parte femminile dell’essere umano Ying, e qualla maschile Yang. La stronzaggine al femminile è contagiosa, direi quasi infestante, perché riguarda tutti gli aspetti della vita: lavoro, amicizia, sentimenti. Al lavoro o a letto, lo stronzo è il tuo nemico pubblico, la stronza è la tua nemica intima. Nel suo libro ricorrono spesso riferimenti alle sue esperienze personali. Dica la verità: quante stronze ha incontrato lungo il suo cammino professionale? Ehm, dovrei tacere per riserbo professionale, ma diciamo almeno una decina. Una mia collega non mi invitava mai alle sue conferenze di psicologia relazionale, ma citava in continuazione i miei lavori scientifici. Quando le chiesero il perché, rispose: «Ah sì, utilizzo spesso i lavori di Danny, ma lui è meglio da leggere su carta, che in pubblico». Quando le fecero notare che io, al contrario, sono noto nell’ambiente come un bravo speaker, arrivò la sentenza definitiva: «Mettiamola così, allora: diciamo che io sono meglio, in pubblico, se non c’è Danny Samuelson». Il succo del messaggio è comunque positivo. Lei, infatti, conclude dicendo che «si può essere felici nonostante le stronze». Può spiegarci come? Non mi prenda troppo sul serio, io vengo da una famiglia di ortodossi, abbiamo pure eminenti rabbini, e sono scappato dalle scritture sacre per immergermi nei misteri della mente femminile, ma non ne sono ancora venuto fuori. Dopo dieci anni di studi stronzistici, devo dirle che una strofe della Qabbalah mi sembra meno misteriosa di una stronza. Forse ho scritto così perché sono (felicemente) circondato dal nemico: ho moglie e due bambine, mi capisce? Mia moglie ha chiesto di leggere le bozze attentamente da cima a fondo. Dovevo lasciare almeno a lei un barlume di speranza, altrimenti mi avrebbe tormentato con il test «scopri quanto sei stronza», che si trova peraltro sul mio blog anche in versione italiana.