Jacopo Iacoboni, La stampa 15/4/2009, 15 aprile 2009
SHOOTING SILVIO" FILM ANTI PREMIER E PDL CONTRO SKY
Quando uscì nelle sale Shooting Silvio il regista, Berardo Carboni, disse «considerarlo un film che incita alla violenza sarebbe come ritenere Platoon un inno alla guerra». Dove il guaio non era tanto fare un film intitolato «Shooting Silvio» quanto considerare se stessi come Oliver Stone.
Perché bisogna poi essere per lo meno Oliver Stone, o se non altro Nanni Moretti, per parlare di presidenti e di Caimani senza scivolare nel luogo comune, colpa non meno grave dell’istigazione che ieri i parlamentari del Pdl hanno voluto vedere in questo «Shooting Silvio», dopo la decisione di Sky di proiettarlo la sera del giorno di Pasquetta. Il canale cinema di Rupert Murdoch ha accolto nel suo palinsesto questo film, a suo tempo distribuito anche nelle sale, e molti onorevoli del centrodestra si sono variamente risentiti. «Caduta di stile» (Piero Testoni), «inno alla violenza e incitamento implicito ad azioni efferate» (Beatrice Lorenzin), «cosa di pessimo gusto» (il vicepresidente dei senatori Francesco Casoli), «dopo Annozero ora Shooting Silvio» (Nunzia De Girolamo). Il Pd ha risposto evocando la censura cinematografica, «ormai la vogliono» (Vincenzo Vita). Ci si è aggiunta Sky, che s’è dissociata da sé, dice che il film era in un pacchetto che obbligava la tv ad acquisire tutte le pellicole italiane che avessero fatto più di ventimila spettatori... Insomma, loro ci hanno provato a non prendere «Shooting Silvio», ma non era consentito.
Ora, varrebbe sempre la pena, oltre titolo e polemiche, di provare a capire se e quanto siano giustificati, se cioè il film sia o meno apologia della violenza o magari e semplicemente un brutto film. Nel filone dei film su un premier, solo per stare in Italia, si sono costruite cose di nicchia e furbette, ma anche opere - comunque la pensiate - interessanti come Il Caimano di Moretti o il Viva Zapatero di Sabina Guzzanti. Shooting Silvio, a naso, pareva altra roba. Tra gli attori Alessandro Haber, un’apparizione anche per Marco Travaglio, tra gli autori uno del gruppo di Blob, è girato da un giovane regista, Berardo Carboni, un abruzzese che al momento dell’uscita disse «il film è anche una provocazione, perché shooting vuol dire sia filmare che sparare, ma la storia non dà affatto la sensazione di condividere le azioni del sequestratore. sì un modo per attirare l’attenzione, ma anche per affrontare il problema-Berlusconi in quanto fenomeno mediatico». La storia è quella di uno scrittore fallito che, non riuscendo a criticare Berlusconi col suo libro, ne vagheggia l’uccisione. Poco importa che il protagonista sia uno con cui non vien voglia di identificarsi affatto; o che il regista oggi dica «non lo rifarei» (ed elogi il premier per l’Abruzzo, «quello che ha fatto è encomiabile, è sbagliato dire che non doveva andare all’Aquila»). Oppure che esista un vasto filone che l’ha preceduto e seguito. Talora, con altra virulenza.
L’Italia di questi anni ha visto uscire titoli come Ho ammazzato Berlusconi (di Daniele Giometto e Gian Luca Rossi, tratto da un romanzo di Andrea Salieri), o Chi ha ucciso Silvio Berlusconi (di Giuseppe Caruso), o come La verità bugiarda di Raul Montanari, che narra l’omicidio del Cavaliere in piazza Duomo a Milano. Di sicuro, qualunque cosa fossero, almeno una: la testimonianza che Silvio, prima ancora di occupare il palazzo, ci aveva occupato le teste.
C’è, in Shooting Silvio, una citazione di Giorgio Gaber che dice «quello che mi preoccupa non è il Berlusconi in sé, ma è il Berlusconi in me». Quando si dice effetto boomerang di un film.