Ida Dominijanni, il Manifesto 14/4/2009, 14 aprile 2009
IL PREMIER DENTISTA
Dopo averci fatto vedere Berlusconi caritatevole nel dì di Pasqua, Berlusconi sorridente nella tendopoli, Berlusconi che dichiara chiusa l’emergenza e finito lo sciame sismico, Berlusconi orgoglioso di essere italiano, Berlusconi che guarda positivamente al futuro e se la magistratura vuol trovare il pelo nell’uovo del passato faccia pure, Berlusconi che si fa dare un ufficio dalla guardia di finanza per poter stare con gli sfollati tutti i giorni, Berlusconi - Berlusconi - che rampogna i politici che vanno all’Aquila «a fare passerelle mediatiche», Berlusconi che cancella Annozero dalla lista dell’informazione tollerabile, il Tg 1 delle 20 di della santa Pasqua è passato direttamente ai miracoli di San Silvio raccontando con dovizia di riprese la storiella dell’anziana signora che fra le lacrime si lamenta col premier di aver perso perfino la dentiera, et voilat: poche ore e il premier le fornisce una dentiera nuova di zecca, zoom sul montaggio della protesi, commozione della signora e lode al benefattore con annesso sorriso ritrovato. E dobbiamo pure ringraziarlo, il Tg1, per averci risparmiato l’altra scenetta, di cui invece riferiscono le agenzie, con San Silvio che invece della dentiera promette due bei tailleur scuri ad altre due anziane signore, facendosi promettere in cambio che per la sua prossima visita si faranno trovare con la messa in piega fatta di fresco. Pasqua grassa, ovoni di cioccolato con sorprese da tempi d’oro, altro che crisi: una dentiera in questo, un tailleur in quello, promesse di case e villette a breve in tutti gli altri. In compenso San Silvio si accontenta di un regalino solo simbolico, l’innocente fantasia di farsi rianimare, un giorno di là da venire, da una giovane dottoressa coi capelli rossi che ha la fortuna di trovarsi lì a lavorare nell’ospedale da campo.
E’ inutile gridare alla strumentalità, al cinismo e all’uso calcolato dei buoni sentimenti davanti alle telecamere compiacenti della tv del dolore: Berlusconi «fa» così perché «è» così. Calcoli elettorali o no, il punto è che gli viene naturale. Gli viene naturale mettersi il maglione al posto della giacca, stare col popolo e non col palazzo ai funerali, regalare dentiere e tailleur, pensare positivo e mettere dalla parte dei disfattisti magistrati e giornalisti che denunciano il negativo. Da questo punto di vista il terremoto non è stata solo l’occasione da prendere al volo per rifarsi la faccia dopo averla persa al G20 di Londra: è stata l’apoteosi della sua vocazione antipolitica, del suo antico presentarsi come un politico per caso, in prestito al palazzo ma cresciuto fuori del palazzo, e come un premier per necessità, che per vocazione resta un imprenditore che s’è fatto da solo che a ciascuno dice di farsi da solo, o nella fattispecie di rifarsi, anche sotto una tenda. Quindici anni non sono bastati per disciplinare il cavaliere col galateo istituzionale, né a Londra né a Roma: di fronte a qualunque emergenza, l’identità dell’uomo si sdoppia e si raddoppia, da una parte il premier dall’altra l’uomo del popolo, da una parte il politico dall’altra l’antipolitico, e la seconda soccorre la prima. Con successo, se sono veri gli ultimi numeri di Mannheimer (Corsera di domenica) che danno al Pdl il 43 % di consensi elettorali certi e un 10% in più di voti ulteriormente conquistabili. Del resto, quindici anni non sono bastati neanche per disinnescare la miccia antipolitica dalla società italiana e riabilitare qualcosa che meriti il nome di politica.
Che può fare, una sinistra più agonizzante che malconcia, di fronte a un populismo così spontaneo e naturale? Intanto non snobbare il problema, né mimare la risposta. Si potrebbe cominciare col ripensare la parola «populismo», smettendo di liquidarla, come tutti siamo abituati a fare, come un sottoprodotto politico necessariamente di destra o tendente a destra, e ripassare in rassegna le grandi strategie politiche progressiste e rivoluzionarie dal punto di vista del messaggio popolare, se non populista, che sono state in grado di esprimere. Ernesto Laclau, filosofo argentino e massimo studioso del tema («La ragione populista», Laterza) sostiene che il discrimine fra destra e sinistra non passa fra populismo e antipopulismo, passa per una lotta d’egemonia fra i significanti, i messaggi, le narrazioni su cui si incardina la mobilitazione del popolo. Quelli del populismo berlusconiano li stiamo vedendo: dentiere, tailleur, ottimismo, velo d’ignoranza sulle cause e le colpe. Possibile che non ci sia niente di più efficace da mettere sul tavolo di una battaglia per l’egemonia? A cominciare dalla parola responsabilità, opportunamente pronunciata dal presidente della Repubblica e dai pochi media «intollerabili» che ancora resistono.