Marcello Veneziani, Libero 14/4/2009, 14 aprile 2009
VI CAPISCO, CARI DEPUTATI SIETE DAVVERO ALL’INDICE
Non ce ne siamo accorti, ma nel nostro Paese c’è stata una grande riforma parlamentare: siamo diventati una democrazia digitale. Il nome vi illuderà di vivere in un Paese tecnologicamente all’avanguardia rispetto a tutte le democrazie parlamentari del pianeta. Il ruolo del parlamentare in Italia, non più eletto dai cittadini né più espressione del territorio, è ridotto all’uso del dito. Pigiando il dito esercita la sua missione di rappresentante del popolo sovrano. E l’unica premura delle istituzioni è chiedersi se prendere o meno le impronte digitali del suddetto parlamentare per evitare deplorevoli sconfinamenti di banco. Col dito, col dito organismo garantito. Come le vallette della Rai e le fatine delle fiabe, ai parlamentari è richiesto solo l’uso del dito e nient’altro. E il referendum, così temuto e così amato, non modifica affatto la democrazia digitale né il sistema elettorale, tantomeno il sovrannumero e le indennità. Quando Berlusconi chiede di far votare solo i capigruppo porta alle conseguenze estreme ma coerenti questa perdita di ruolo dell’Onorevole. Gli restano solo tanti soldi...
Mestiere da ebeti
’Il mestiere di deputato a farlo con coscienza, è un mestiere da rendere ebete l’uomo più svegliato, a capo di tre anni”. Questo caustico giudizio di Petruccelli della Gattina, deputato lucano del Regio Parlamento italiano a Palazzo Carignano, è l’epigrafe più impietosa a un secolo e mezzo di antiparlamentarismo. Dà ragione a fior di elitisti, come Mosca, Pareto e Michels, a critici verso la democrazia come Carl Schmitt e prima di lui Donoso Cortes; a fior di movimenti radicali e rivoluzionari, incluso il fascismo. Mussolini fu persino più moderato di Petruccelli definendo il Parlamento ”un’aula sorda e grigia” anziché una fabbrica di ebeti; e dà ragione a chi di recente ha definito inutili gran parte dei nostri parlamentari ridotti solo a ”pianisti” di bottoni.
L’ironico ritratto di Petruccelli della classe politica italiana all’indomani dell’Unità d’Italia, dimostra che l’antipolitica è nata insieme alla politica, una specie di gemellaggio che ricorda quello di Romolo e Remo, alla fondazione della città. Anzi, il libro di Petruccelli, ”I moribondi di Palazzo Carignano” - che un generoso editore lucano, Porfidi, sta ripubblicando - è il primo saggio contro la casta, scritto da uno che vi era dentro, anche se più defilato anzi isolato, al punto da definirsi ”Il solo repubblicano” presente in Parlamento.
L’assenteismo, la riduzione del parlamentare a burattino, i clan e i privilegi, traspaiono già in un Parlamento ancora torinese, in cui tuttavia era ancora forte l’impronta etica e la dignità personale.
Curiosa anche la composizione del parlamento descritta da Petruccelli: oltre un centinaio di nobili, da principi in giù, e ben 117 cavalieri, che insieme ai commendatori erano allora il partito di maggioranza relativa in parlamento (oggi di Cavaliere ne abbiamo uno ma vale per trecento). Curiosa anche la presenza in Parlamento di dieci preti, di ”6 o 7 milionari”, e tra le curiosità, ”un bey nell’impero ottomano”, e perfino ”due prodittatori e due dittatori”.
La statistica riferita da Petruccelli diventa poi grottesca quando passa a valutarli dal punto di vista fisico: ”Abbiamo inoltre sei balbuzienti, cinque sordi, tre zoppi, un gobbo, degli uomini ad occhiali, un gran numero di calvi - quasi tutti” perchè allora non si usava il trapianto... E concludeva ”Non un solo muto! Ciò che è una sventura”. Ma parlamento, lo dice la parola stessa, è incompatibile con il mutismo...
Petruccelli descrive anche una malattia attualissima: l’attrazione fatale verso il centro, soprattutto per quel che riguarda i meridionali, i napoletani in testa. Si parla pure di federalismo e di regioni con Minghetti, esponente della destra storica; ma il savio parlamento dell’epoca, napoleonico e centralista, non volle saperne. Meglio i prefetti che i governatori delle regioni.
Passando dal faceto al serio, si rivelò purtroppo verissima la profezia di Petruccelli, quando dice che la perdita di Cavour ”nelle circostanze attuali, sarebbe per l’Italia una sventura irreparabile”. Così fu, quando, poco dopo, Cavour morì.
Impietoso invece il giudizio su un conterraneo illustre, Francesco De Sanctis, grande letterato ma a quel che scrive Petruccelli della Gattina, pessimo parlamentare. Anche se di lui resta memorabile la testimonianza del suo viaggio elettorale in Irpinia, sua terra natìa, Petruccelli lo descrive come un pessimo politico e oratore. L’unico suo discorso alla Camera dice, fu ”infelicissimo e pretenzioso. E l’ultima volta che parlò, fece pietà. Si smarrì, si perdè il filo dell’orazione mandata a memoria, bevve acqua zuccherata ad annegarvisi... fu lagrimevole”. Per concludere che ”De Sanctis sa di politica quanto gli uscieri della Camera”.
Antichi e moderni
Curioso anche l’arcipelago della sinistra, descritta da Petruccelli, con una miriade di gruppettini e gruppettari, un vero caos, sui cui torreggia la figura di Garibaldi. Descritto perfidamente anche Francesco Crispi, pieno di sé e della sua Sicilia, di cui accarezza l’idea autonomista benchè garibaldino. Gli fa simpatia invece la franchezza di Nino Bixio sbarcato in parlamento dopo l’impresa dei Mille. Dure le pagine dedicate alle consorterie napoletane, che considerano la cosa pubblica come affare di famiglia, anche se tra loro c’erano rispettabili figure come Bonghi, Imbriani e Spaventa.
Insomma un Parlamento così antico da sembrare ancora in carica, abitato da moribondi ancora troppo vivi nei loro eredi e cloni. L’unica differenza è che all’epoca i deputati almeno si sfogavano con i discorsi alati; oggi che fanno tutto i capigruppo, e sono spariti i notabili, ai parlamentari è rimasto solo il dito. Il parlamento all’indice...