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 2009  aprile 15 Mercoledì calendario

QUELLE LATRINE ESPLOSIVE MAEDIZIONE DEI MARI


Non c’è un modo educato per dirlo e, se ci fosse, ammazzerebbe la notizia. Il fatto nudo e crudo è che molti velieri fra il Cinque e il Settecento sono esplosi con un super-peto, scatenato dalle esalazioni degli escrementi ammucchiatisi in pozzi neri o in latrine abusive ricavate sottocoperta, che favorivano pericolosi accumuli di metano, fino alla tragedia. Non è una barzelletta. Lo dice dopo 20 anni di studi approfonditi un ingegnere e storico britannico della marineria, Richard Enser. La sua tesi è troppo rivoluzionaria, perché venga accettata da tutti senza proteste, e infatti altri storici propendono per spiegazioni più tradizionali a certe misteriose esplosioni, per esempio il trattamento incauto delle polveri da sparo nella santabarbara. Però il teorema di Enser sembra rendere meglio ragione di certi episodi enigmatici.
Per esempio la fine a cui andò incontro la nave da guerra inglese «Hms London» in un mattino di marzo del 1665. Trecento morti - morti ingloriosamente, e forse anche più ingloriosamente di quanto si pensasse finora. Il poderoso vascello aveva appena lasciato il molo di Chatham, stava scendendo il corso del Tamigi e si apprestava a una sosta per prendere a bordo il capitano, quando saltò in aria facendo una strage. Samuel Pepys, uno scrittore e politico che faceva una passeggiata e fu testimone della tragedia, specifica che si salvarono solo «24 uomini e una donna», in massima parte non membri dell’equipaggio, ma ospiti che si trovavano a bordo a vario titolo per la breve navigazione fluviale e che sarebbero sbarcati prima che la nave prendesse il mare. Furono le strutture più solide del castello di prua, dove si trovavano queste 25 persone, a proteggerle; quella sezione del veliero restò quasi intatta e neanche affondò, continuando a emergere dalle acqua basse del Tamigi, quando il resto del vascello era ormai sparito alla vista, nel fumo dello scoppio e nella corrente del fiume. Per 300 marinai non ci fu scampo.
A lungo circolarono sulle altre navi britanniche voci malevole riguardo alla singolare presenza a bordo di quell’unica donna, che per di più era sopravvissuta, lei, e della sfortuna che aveva portato...
Macché donne che portano sfortuna, dice lo storico Enser, macché imprudenza nel maneggiare la polvere da sparo: il problema, prosaico quanto si vuole, è che diversi marinai della «London», quando si trovavano in porto, avevano la cattiva abitudine di liberarsi le viscere in angoli bui sottocoperta, pensando di non fare un gran male. E invece, di male quei marinai ne facevano molto, se gli angolini, oltre che bui, erano anche chiusi e favorivano l’accumulo del metano esplosivo derivato dalla fermentazione degli escrementi. Poi bastava una scintilla, la fiamma di una candela, la carbonella di una pipa, ed ecco il disastro. Per la «London» e per tanti altri velieri.
Enser ha raccolto le prove di un’anomalia statistica: le esplosioni misteriose dei vascelli erano più frequenti in porto o al momento di salpare, e meno frequenti in mare aperto. Se gli scoppi fossero stati originati da incaute manovre nelle santabarbare, questa discrepanza sarebbe inspiegabile, a meno di ipotizzare che l’imprudenza con le materie esplosive fosse maggiore all’àncora che in navigazione (ma perché mai?). Invece l’ipotesi delle latrine occulte e abusive spiega l’anomalia statistica nelle tragedie: in mare aperto, dice Enser, i marinai si liberavano l’intestino appoggiandosi direttamente al parapetto della nave, ma quand’erano in porto non lo facevano, per un ovvio senso di decenza e discrezione.
Enser cita ad esempio un altro caso, diverso ma rivelatore, databile 1695, cioè 30 anni dopo lo scoppio del «London». Il veliero britannico «Lennox» non scoppiò, ma ebbe un serissimo guaio con il gas. Mentre la nave si trovava alla fonda, sempre a Chatham, i marinai avevano usato per i loro bisogni una specie di pozzo che tagliava in verticale i ponti (in teoria era destinato a tutt’altro). Uno degli ufficiali ebbe la sfortunaccia di caderci dentro e, siccome non ne usciva più, due marinai vennero calati per soccorrerlo. Non solo l’ufficiale, una volta rivista la luce del sole, risultò più morto che vivo, ma anche i due marinai avevano quasi perso i sensi «per la puzza», riferisce il diario di bordo, buttandola sul ridere. In realtà, in quello che viene riportato Enser legge i sintomi dell’avvelenamento da metano, di cui la sentina doveva essere ammorbata.
La «Lennox» ebbe la fortuna di salpare senza esplodere. E l’equipaggio non seppe mai quanto fosse andato vicino alla nemesi tragicomica che toccò a molti altri velieri.