Vittorio Emanuele Parsi, La stampa 15/4/2009, 15 aprile 2009
CARAIBI DUEMILA
Come ai tempi in cui i vascelli di Sua Maestà davano la caccia a pirati e bucanieri tra le coste del New England e quelle dei Caraibi, così la Us Navy pare aver iniziato la propria guerra contro i pirati che infestano il Corno d’Africa. Apparentemente la sproporzione delle forze non dovrebbe lasciar dubbi sull’esito della lotta: la Marina americana vale, da sola, quanto le 16 flotte inseguitrici messe insieme, una proporzione incredibile, se si pensa che quando Britannia governava le onde, il Primo Lord del Mare si accontentava di un rapporto decisamente meno favorevole. Paradossalmente, è proprio la gigantesca potenza della flotta statunitense a costringere Washington a una reazione dura ed esemplare, tanto più in tempi di tagli di budget come gli attuali, durante i quali sarebbe difficile per gli ammiragli del Pentagono giustificare ai contribuenti l’imponente spesa per portaerei, caccia e aviazione imbarcata, qualora un pugno di straccioni del mare potesse continuare impunemente ad abbordare navi commerciali a stelle e strisce. Eppure, Washington è conscia che proprio il successo dell’operazione cha ha condotto alla liberazione del capitano Phillips, potrebbe portare a una radicalizzazione del conflitto.
Quella che rischia di divampare tra i bucanieri e gli Stati Uniti potrebbe assumere i contorni di una guerra asimmetrica della peggior specie. Il pericolo è quello che, a fronte di una decisa militarizzazione dello scontro, i pirati optino per una altrettanto netta politicizzazione della natura della loro lotta e della loro stessa identità. Al momento, per quanto sia dato sapere, queste formazioni sono sostanzialmente paragonabili a poco più che gang criminali organizzate. Anche sfruttando la condizione di anarchia che dall’inizio degli Anni 90 caratterizza la Somalia, e in virtù dell’indotto economico generato dai sequestri, esse stanno però ampliando il proprio seguito presso la popolazione. In parte si spacciano come dei novelli Robin Hood, in parte sono essi stessi sensibili ai messaggi più radicali della predicazione jihadista, che chiude volentieri un occhio sulle attività criminali dei suoi potenziali accoliti, quando queste sono principalmente rivolte contro l’Occidente. E i governi occidentali hanno imparato sulle montagne afghane quanto sia pericolosa una simile miscela e come sia difficile rendere attraente una «onesta miseria», quando il partecipare all’economia criminale assicura a tanti poveracci quantomeno la sopravvivenza.
Somalia, icona degli «Stati falliti»
La Somalia, insieme all’Afghanistan, fu una delle icone dei cosiddetti «Stati falliti», che si moltiplicarono negli Anni Novanta, quando conclusasi la Guerra Fredda venne meno anche la sua straordinaria capacità di strutturare il sistema internazionale, saturandolo, e impedendo che esso potesse conoscere «spazi vuoti». Non per caso, il crollo del regime di Siad Barre, cliente a fasi alterne di sovietici e americani, fu praticamente simultaneo a quello del Muro di Berlino. Proprio nelle vie di Mogadiscio si infranse l’illusione che, tramontata l’epoca dei blocchi e in nome di una ritrovata unità d’intenti, fosse possibile restaurare l’ordine, almeno quel tanto necessario a distribuire aiuti umanitari. Oggi, l’Oceano Indiano di fronte alla Somalia è davvero simile ai Caraibi di metà Settecento. E, come allora, solo l’affermarsi di un qualche potere nell’entroterra e sulle coste può rendere quelle acque insicure per la pirateria. La quale non scomparirà, visto che i profitti sono straordinariamente alti se paragonati agli investimenti necessari per questa attività (che certo è rischiosa, ma che è concretamente svolta da chi non ha nulla da perdere, a parte una vita di stenti e senza prospettive), e potrebbe assumere proporzioni più «accettabili», simili a quelle che si registrano nello Stretto di Malacca.
Puntare sulle autorità locali
Negli Anni Novanta gli americani provarono a restaurare un potere centrale vagamente efficace a Mogadiscio. Ci hanno riprovato le Corti islamiche qualche anno fa e poi ancora gli americani, attraverso l’invasione etiope. Nulla di fatto. Forse sarebbe ora di accantonare l’idea che, almeno a breve, sia possibile restaurare un’autorità centrale effettiva in Somalia, e cercare piuttosto di favorire, o non ostacolare, il consolidamento di «autorità locali di governo», con le quali tentare poi la via di accordi basati su incentivi e punizioni così da rendere più dura la vita ai pirati.