Giampiero Mughini, La collezione, Einaudi Torino 2009, 15 aprile 2009
«Noi fummo pure gli inquieti del Sud, i giovanotti irsuti che avevano fretta di scappare lontano dall’odore delle sardelle fritte, di conoscere quell’altra Italia che avevamo appena intravisto in libri e in discorsi, la suggestiva Italia del biondo, dopo tanto nero di pietra lava
«Noi fummo pure gli inquieti del Sud, i giovanotti irsuti che avevano fretta di scappare lontano dall’odore delle sardelle fritte, di conoscere quell’altra Italia che avevamo appena intravisto in libri e in discorsi, la suggestiva Italia del biondo, dopo tanto nero di pietra lava. Volevamo liberarci delle cose e dei tipi umani che ci avevano angustiato nell’infanzia: casacche lacere, ciabatte scalcagnate, causidici rabbiosi con le lenti pinza e con la barba di tre giorni, lenzuola stese ad asciugare sulla porta di casa, domestiche zoppe che si chiamavano ”donna Sebastiana” e ”donna Maria”. Un’ossessione per la quale facenno presto a dimenticare il barocco, i giardini d’arancio e il mare d’Ulisse. Era questa - possiamo dire senza rimorso - la nostra ”questione meridionale”, e ci riguardava proprio nel tempo dei grandi meridionalisti; era un problema del gusto, la necessità di uscire da un mondo persecutorio di costrizioni morali, il mondo che resisteva alle forme disinvolte del vivere e difendeva con caparbia gelosia i propri errori e pregiudizi. Disinvoltura: un sogno di giovani bennati, stanchi di bozzettismo e mortificati da balordi rossori a ogni sventolar di gonnella» (Giovanni Centorbi, 1915).