Pietrangelo Buttafuoco, Panorama, 16 aprile 2009, 16 aprile 2009
PIETRANGELO BUTTAFUOCO PER PANORAMA 16 APRILE 2009
Le mille piccole cose la cui presenza si rivela solo nell’assenza sono appunto un ricordo sotto il provvisorio, ma solido telo della tenda: il calduccio, la poltrona, il giornale, il notiziario, il bidet, la scarpa comoda, il sapone, il buon bicchiere di quello buono. E le mutande pulite. Le dolci abitudini, alla cui rinuncia non si è più preparati, sono l’insormontabile. difficilmente valicabile, è il guaio che si aggiunge al lutto, allo spavento, adesso che la vita ha messo in conto di risolversela a mani nude.
Nude sono le mani di donne e uomini radunati nell’accampamento di dolore, arti in cerca di protesi rassicuranti: un volante per guidare l’automobile anche solo per passare il tempo, un telefono anche solo per dire due scemenze, il telecomando Sky, infine, ”giusto adesso”, dice in apoteosi d’ironia Michele Di Nardo da Paganica, ”che siamo protagonisti 24 ore al giorno”.
Il benessere diffuso ha reso sterili gli anticorpi di difesa contro il niente e il poco che tocca a chi, non avendo più casa, si trova sotto il nudo cielo che, a far dispetto, sputa la sua stupida pioggia. Quando alle 11.30 di martedì la terra si scheggia con una scossa proprio boia, c’è un canazzo buttato all’angolo della tendopoli di Coppitto che quasi se la scava la fossa e c’infila il muso. I cani, si sa, fiutano la malaventura e se la cavano. Sono gli umani che difettano nel regolare i conti col fato. E tutte queste mani nude sono ciò che siamo stati nella notte dei tempi: preda di incendi, tempeste, guere, cataclismi appunto, distruzione e selezione.
Muore un bimbo e l’altro no. Senza ragione alcuna. Crolla una casa e l’altra no, magari il giorno dopo. Si dice tabula rasa, o meglio: ”livella”. Fabio Tricarico, reporter televisivo, svelto d’occhio, ci indica la scena che sta facendo ingoiare la telecamera, il suo bloc-notes digitale. Questa l’immagine: le giostrine dei nomadi rom. Sono come dimenticate al fianco destro della tendopoli di Coppito. Appunto: come distinguere adesso tra gli uni e gli altri, fra una sventura e l’altra, tra un fotogramma che sembra Gaza e invece è Onna, tra un italiano che sembra un moldavo, un macedone, uno zingaro, un clandestino, un ultimo della terra sulla nuda terra?
Mani nude affamate di vita quotidiana sono quelle emerse dopo la prima notte trascorsa in tenda. La farmacia di corso Federico II, all’Aquila, è stata riaperta e subito chiusa. Una signora della Protezione civile sta dettando l’elenco dei beni di prima necessità. Abbassa il tono di voce quando, con velocità circospetta, dice ”carta igienica”. Un collega annuisce. Ne serve tanta. A Onna è quasi scoppiata una rivolta per la mancanza di servizi igienici.
Tutte queste mani nude alle prese con il niente e con il poco sentono svegliare dentro la pelle il selvaggio che sa di dover ruggire per avere una coperta, un cubo di latte condensato, un pezzo di brodo solido, la carta igienica. Se non è un mondo simile a un ospedale, quello degli sfollati è piuttosto qualcosa di simile a un campo di sperimentazione buono per un etologo bastardo che si diverte a fare scienza riportando tutte le sue cavie a una dimensione animale.
Uomini e donne cui il benessere diffuso ha fatto dono del superfluo bramano adesso coperte, giacche mimetiche, teli impermeabili e spazio. Quello spazio vitale che è millimetri tra branda e branda, dove ognuno rastrella la possibile replica di ciò che fu una casa.
Antonella, una giovane donna di San Demetrio, avrà rimboccato almento otto volte la coperta sulla branda. Un’infinità di volte, invece, ha contato e catalogato il proprio bagaglio. Lucia di Villa Sant’Angelo mi ha detto che odia a tal punto il pigiama da aver fatto voto di non volerne più. In verità lo indossa ancora, sono passate 48 ore da quando se n’è scappata di casa a piedi nudi e dal pigiama non sembra staccarsi neppure quando le viene offerto di scegliere qualcosa da un mucchio di vestiario. Piuttosto si mette coperte addosso. Conseguenze del trauma, direbbe l’etologo che ci vuole tutti animali in un mondo boia. Nel frattempo Lucia infratta tutto il mucchietto nuovo sotto il letto.
Ci vorrebbe un reportage tutto su quello che sta sotto le brande. Ne verrebbe fuori la mappatura della misericordia. In tempo di soli cinque minuti tutti hanno chiara la geografia del quartiere in ogni zona dell’accampamento.
Perfino il linguaggio è già saputo e ognuno sa che cosa vuole dire unità meccanica: ”Vuol dire che quando si muovono le pale e le scavatrici è chiaro che sotto i muri caduti non c’è più la gente viva” spiega un ragazzino di almeno 13 anni. ”Altrimenti si scava con le mani” aggiunge una donna in età, probabilmente la nonna, esperta di salvataggio. ”Bertolaso” prosegue la signora, che con gesto continuo piega l’asola della vestaglia, ”ha spiegato che anche il solo movimento di una tegola può provocare la morte”. Sotto una branda scorgo una nuda e solitaria tegola.
La visione delle brande è visione di ordine, ma niente e poco sono il pane e il companatico e tanto basta. Le brande sono il territorio del guadagno, la zona di caccia. E tutto lo spazio è campo di bracconeria. Non suoni blasfemo in tanto dolore, ma alle porte dell’afrore ferino del chiuso e del rinchiuso di così straziante disperazione bussa un erotismo inaudito. l’idea della sopravvivenza. il fiuto della salvezza che cerca la strada sua facendosi largo a bracciate tra la terra boia e il lutto. Sono i nostri codici genetici che allertano la vita alla preservazione della specie.
Pigiami lerci e mani nude sono l’avanguardia di un’esplosione di vita ed è per questo che i poveri sono in vantaggio. Partono dall’assenza delle mille piccole cose che fanno l’abitudine del benessere diffuso. In un dolore così grande si ribaltano i ruoli sociali. Pastori, manovali, braccianti, immigrati e ragazzi assumono, naturaliter, i ruoli di un’élite spontanea fatta di vigore e forza. L’agilità di movimento prevale sulla stanca e cinica autorità intellettuale. I professionisti e gli agiati cedono il passo ed è il carisma immediato di chi sa risolvere i problemi che fa la differenza e la legge. Non si distinguono gli affamati di ieri e quelli messi a digiuno oggi.
Nude sono le mani, ma c’è anche l’istinto di Dio tra queste pietre. La prima alba di Onna è sembrata una replica di Gaza. Il paesino, come del resto i tanti altri luoghi abitati da molti immigrati, accoglievano musulmani. S’è udita la chiamata e, in cinque, si sono genuflessi in direzione sud-est e si sono fatti venire le lacrime agli occhi pregando Allah.
Anche la mano di Dio è nuda. A Castelnuovo, infine, dove la chiesa di San Silvestro non c’è più, giusto fra le sacre rovine è stato visto aggirarsi, come un disperato, un giovanotto. Non c’è più possibilità che possa trovarsi anima viva tra i detriti della chiesa, eppure quella figura dolente è stata vista e poi tenuta lontana dalle unità cinofile.
Qualcuno avrà magari sospettato uno sciacallo in cerca d’ori e preziosi sotto le mentite spoglie di un devoto, ma sincero s’è rivelato quando finalmente ha spiegato cosa stava cercando tra le rovine di San Silvestro: ”Le ostie, le particole di Nostro Signore Gesù. Come non pensare di portare in salvo il Cristo?”.