Francesca Paci, La stampa 10/4/2009, 10 aprile 2009
L’UOMO DEL TITANIC CHE NON MORIVA MAI
Fosse un santo, sarebbe senza dubbio il patrono dei naufraghi. Ma l’ufficiale inglese Charles Lightoller, l’ultimo a saltare giù dal Titanic a picco, non voleva sentir parlare di miracoli. «Conosco il mare, faccio solo il mio dovere», scriveva alla moglie Sylvia nelle lettere che, insieme ai diari e alle fotografie, andranno all’asta il prossimo 18 aprile, radiografia di un eroe quasi salgariano che non smise di soccorrere chi annaspava in balia dei flutti neppure all’alba della pensione. Protagonista della tragica crociera nell’Atlantico che segna l’epilogo l’Ottocento, Lightoller evacuò altre due navi affondate durante la prima guerra mondiale e salvò l’equipaggio di una terza cozzata contro un sottomarino tedesco prima di attraversare la Manica, ormai sessantaseienne, per trarre in salvo 139 soldati britannici intrappolati sulla spiaggia di Dunkerque dall’assedio germanico. Lo schizzo del Titanic che si inabissa, dono di un sopravvissuto, è la punta di diamante della collezione che dovrebbe rendere circa 10 mila sterline (11 mila euro) e, secondo il curatore Andrew Aldrifge della Henry Aldridge and Son, l’icona d’un mitico Regno Unito corsaro ma anche gentiluomo, balsamo prezioso per il Paese contemporaneo in altalenante crisi d’identità.
La storia di Charles Lightoller si apre e si chiude in mare. Nato nel 1874 a Chorley, cittadina nella contea di Lancashire, aspetta di spegnere la tredicesima candelina e si arruola, apprendista, a bordo della Primrose Hill. A ventun’anni è un marinaio navigato che può vantare due tempeste oceaniche, un ciclone al largo di Calcutta, un incendio sulla Knight of St. Michael e la battaglia vinta contro la malaria durante una spedizione sulla costa dell’Africa occidentale. Le stellette sulla divisa fotografano una carriera rapida, precoce, senza smanie superomiste.
Al Titanic Lightoller arriva all’inizio d’aprile 1912, un paio di settimane prima della fine, con la carica di secondo ufficiale, numero due della nave di linea più lussuosa della Olympic Class. Non c’è film sulla collisione con l’iceberg leggendario che non ricordi il suo ruolo. Dalla pellicola tedesca del 1943 al kolossal interpretato da Leonardo DiCaprio nel 1997, in cui è l’attore Jonathan Phillips a vestire i panni di Lightoller, il grande schermo non ha mai dimenticato l’uomo che, dopo aver stabilito la priorità di donne e bambini, organizzò le scialuppe di salvataggio preoccupandosi dei naufraghi sin dentro l’acqua gelida, incoraggiando i più resistenti e tenendo d’occhio quelli che rischiavano di soccombere in attesa dei soccorsi.
Le lettere testimoniano la gratitudine di chi superò quella impietosa notte stellata e non scordò mai il nome di colui a cui lo doveva, il coraggio e le piccole accortezze, una carezza prima del tuffo nel profondo nero, una parola gentile, uno sguardo rassicurante. Ma ce ne sono altre, molti anni posteriori, che scrivono il seguito della storia fino al capitolo conclusivo sulla spiaggia di Dunkerque, eredità simbolica a una società smemorata che non dovrebbe sottovalutare le risorse della terza età.
Dopo le lodi ufficiali, i riconoscimenti, le fanfare, Lightoller, allora trentottenne, parte di nuovo. Stavolta lo troviamo in divisa, tenente dell’esercito di Sua Maestà impegnato nella Grande Guerra. prima a bordo del transatlantico HMS Oceanic che nel 1914 si arena a Foula, nelle isole Shetland, e poi, tre anni dopo, alla guida del HMS Falcon colato a picco nella nebbia in seguito allo scontro con un motopeschereccio. A detta dei commilitoni, Charles Lightoller replica la prestazione del Titanic in entrambe le occasioni che gli valgono ben due Distinguished Service Cross, prestigiose medaglie al coraggio. Sono le ultime fasi di una lunga carriera: il patrono dei naufraghi si ritira in pensione e acquista uno yacht chiamato Sundowner. L’idea è quella di veleggiare con piglio rilassato. Ma nel 1940 non resiste al richiamo dei soldati britannici arenati a Dunkerque e dopo aver attraversato la Manica con un vascello equipaggiato per 21 persone ne prende a bordo 139 e le porta in salvo nel porto di Ramsgate. «Mentre io guardavo le stelle suo marito recuperava militari in difficoltà dovunque fosse possibile, senza la sua esperienza non saremmo mai tornati in patria», scrive un sopravvissuto in una lettera indirizzata al Sylvia Lightoller dopo la scomparsa di Charles, morto d’infarto nel 1952.
«Non si capisce perché non sia ancora stato incluso nella lista ufficiale dei più grandi uomini di mare del secolo», osserva Andrew Aldridge. In quella non ufficiale di chi l’ha conosciuto c’è.