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 2009  aprile 10 Venerdì calendario

COME RINASCE UNA CITTA’


Il 23 dicembre 2008, quattro mesi fa, Michele Botta, sindaco di Menfi, ha dato il grande annuncio. «Finalmente - ha rivelato ai suoi amministrati- siamo riusciti a ottenere la quota 2008 per la ricostruzione post-terremoto. Quattro milioni e 200 mila euro che immediatamente abbiamo provveduto a concedere dando la possibilità ai nostri concittadini di iniziare i lavori già nel 2009». C´è un´involontaria ironia in quel "già". Perché Menfi, 13 mila abitanti in provincia di Agrigento, è uno dei 15 comuni distrutti dal terremoto del Belice, il 15 gennaio 1968: sono trascorsi 41 anni.
Con l´Irpinia, il Belice è uno degli esempi di come non si deve fare. Ed è anche il territorio in cui è stato sperimentato, con scarso successo, il modello della "new town", della città totalmente nuova costruita a una certa distanza da quella distrutta. «Te la do io Brasilia» è l´ironico titolo con cui racconta la vicenda un libro scritto dal giornalista Mario La Ferla. All´estremo opposto della scala delle ricostruzioni sta invece il Friuli: i terremotati di Gemona e Tarcento hanno saputo uscire dall´emergenza in tempi relativamente rapidi. «Il segreto - confessava tre anni fa Franceschino Barazzuti, presidente dell´associazione dei comuni terremotati - è stato quello di decentrare ai comuni le scelte della ricostruzione e di difendere la propria cultura e la propria storia da chi voleva realizzare una sorta di Udine 2».
Quello che è stato definito il "modello Friuli" ha fatto scuola in Umbria, nel 1997. Il principio ispiratore, ricostruire la casa distrutta «dov´era, com´era», è l´esatto opposto della new town. Che i friulani fossero particolarmente attaccati alle loro radici lo si era capito nei giorni immediatamente successivi alla scossa del maggio 1976. Quando insieme alle colonne di auto e roulotte affluiva da ogni parte d´Italia un vero esercito di volontari che avrebbero trascorso l´estate a scavare intorno alle case danneggiate per rinforzarne le fondamenta. A Gemona e Tarcento ci volle poco più di un decennio per tornare alla normalità. E in quel decennio, come aveva voluto Aldo Moro, presidente del consiglio nel maggio ´76, lo Stato delegò alla Regione e questa ai Comuni le scelte urbanistiche per rimettere in piedi i paesi. Vent´anni dopo, la rinascita dell´Umbria sarebbe stata realizzata seguendo gli stessi criteri: oggi, a dodici anni di distanza dal terremoto del settembre 1997, si sta completando la ricostruzione di Nocera, uno dei centri più colpiti, con 9 abitanti su dieci costretti, nell´emergenza, a ripararsi nei campi profughi.
New town o old town, il modello certamente da evitare è quello dell´Irpinia, dove il terremoto è diventato un business al punto che è incerto anche il numero reale dei comuni disastrati: 70 secondo le prime stime, lievitati a centinaia qualche mese dopo. Raramente, nonostante speculazioni e clamorose vicende di corruzione, in Irpinia e Basilicata si sono realizzate città ex novo trasferendo in massa gli abitati. Gran parte dei 150 mila nuovi alloggi sono rimasti all´interno dei territori comunali preesistenti. Ancora oggi, a quasi trent´anni dal disastro del novembre 1980, ci sono famiglie che vivono nei prefabbricati.
Il fascino del nuovo inizio, del reset che tutto azzera per ricostruire dal nulla, del prato verde su cui sorge una nuova città, non ha attirato i friulani che si opposero a Udine 2 e i sindaci umbri dopo il terremoto del ´97. Nel Belice, invece, la nuova Gibellina sorge oggi a 20 chilometri dal paese distrutto nel ´68. Per realizzarla furono chiamati artisti e architetti di fama da ogni parte d´Europa. Con risultati controversi per l´effetto laboratorio che produsse. «Costruire nel Trapanese case che ricordano i quartieri di Copenaghen - disse l´architetto Calogero Di Stefano - non rispetta per niente la cultura e le tradizioni di un popolo». C´è da chiedersi se quel modo di realizzare le new town sia l´unico possibile. Se, insomma, ci siano città costruite dal nulla in grado di rispettare la storia del territorio. E se sia lecito spingere fino alle sue estreme conseguenze urbanistiche l´occasione di trasformazione che sempre tragedie come un terremoto si portano dietro. Trent´anni fa Giuseppe Zamberletti, commissario straordinario in Friuli, il padre della protezione civile italiana, nella battaglia ideologica tra old e new town rifiutava di schierarsi e diceva: «La nuova Lioni, nell´Avellinese, sorge quasi attaccata al vecchio centro storico. La nuova Laviano, invece, è stata piantata in un´area completamente staccata dal paese. Una soluzione non esclude l´altra».