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 2009  aprile 10 Venerdì calendario

SE TUTTE LE CASE FOSSERO ASSICURATE CONTRO IL RISCHIO CALAMITA’


«Tassa sulla jella»: ecco come i critici chiamano l’assicurazione obbligatoria contro le calamità naturali che, come già accade in moltissimi Paesi occidentali, potrebbe essere introdotta anche in Italia. Sono tanti, questi critici. E hanno buone frecce nel loro arco. Eppure una svolta come quella andrebbe al di là dei soldi risparmiati dalla collettività. Potrebbe anche incidere profondamente sul tessuto del nostro Paese.
E, alla lunga, vincere la partita più importante: salvare tantissi­me vite umane.

Immaginiamo già le obiezioni: come si può parlare di soldi men­tre le bare di tanti poveretti uccisi dai crolli in Abruzzo non sono an­cora state consegnate alla terra? Ma proprio questo è il nodo: non si tratta solo di denaro. Di più: al diavolo il denaro, se la questione fosse tutta qui. ovvio che le vite spezzate di quei bambini morti mentre la mamma cercava di pro­teggerli dal crollo del mondo, per citare una sola delle famiglie an­nientate dal sisma, valevano più di mille fantastilioni di triliardi. Ma il punto è: cosa si può fare per salvare altri bambini e altre mam­me domani? All’estero una rispo­sta se la sono data: coinvolgere i cittadini in un rapporto più matu­ro con la propria casa, la comuni­tà, la terra. Anche attraverso, ap­punto, l’assicurazione obbligato­ria. Da imporre sia ai cittadini sia alle compagnie assicuratrici.

Esiste già, con formule diverse e più o meno rigide, negli Stati Uniti, in Francia, Germania, Spa­gna, Belgio, Gran Bretagna, Porto­gallo, Austria, Olanda, Svizzera... Perfino in Romania. In genere la formula è questa: la polizza fatta per tutelare la propria casa da un eventuale incendio va automatica­mente estesa alle calamità natura­li. Con il risultato che, se si scate­nano i venti o i fiumi, le tempeste o i vulcani, lo Stato può concentra­re le sue risorse nei soccorsi di emergenza, nel ripristino delle co­municazioni, nella sistemazione delle infrastrutture pubbliche, nel recupero del patrimonio monu­mentale e culturale. Mentre tutti gli altri danni, «privati», sarebbe­ro coperti dalle assicurazioni pri­vate.

Almeno fino a una certa soglia, che potrebbe essere fissata in cir­ca un miliardo e mezzo di euro. Dopo di che, in caso di catastrofi apocalittiche, quanto manca sa­rebbe comunque garantito dallo Stato. Così da non abbandonare nessuno al suo destino.

Da tante altre parti, senza rinun­ciare alle straordinarie manifesta­zioni di generosità simili a quelle abruzzesi, funziona già così. Spie­ga il «Giornale delle Assicurazio­ni » che secondo una stima di «Swiss Re», uno dei colossi mon­diali che «riassicurano» le assicu­razioni, le compagnie hanno rim­borsato nel 2008 ben 8 miliardi di dollari per il solo uragano Gustav, uno e mezzo per la tempesta Em­ma che ha colpito il Nord Europa, un miliardo e trecento milioni per le tempeste di neve in Cina.

Quanto avrebbe da guadagnare l’Italia, condividendo i rischi pub­blici con le grandi compagnie pri­vate, lo dice la tabella elaborata dal Cineas, il Consorzio universita­rio del Politecnico di Milano che si occupa della cultura del rischio. Nel solo decennio 1994-2004, per tamponare i danni di alluvioni, terremoti e frane più gravi, lo Sta­to ha dovuto faticosamente tirar fuori complessivamente 20.946 milioni di euro. Vale a dire due mi­liardi l’anno. Ai quali va aggiunto un altro miliardo e mezzo com­plessivo per gli interventi (si fa per dire) «minori». Il tutto senza riuscire, se non in piccola parte, a risolvere la questione di fondo: la precarietà strutturale idrogeologi­ca del nostro Paese. Dove, dicono i dati ufficiali del ministero del­l’Ambiente, sono a «rischio eleva­to » l’89% dei comuni umbri, l’87% di quelli lucani, l’86% di quelli mo­lisani, il 71% di quelli liguri e val­dostani, il 68% di quelli abruzzesi, il 44% di quelli lombardi.

In pratica, spiega il presidente del Cineas Adolfo Bertani, «oltre la metà degli italiani vive in aree soggette ad alluvioni, fra­ne, smottamenti, terremo­ti, fenomeni vulcanici.

Per questo, i temi della si­curezza e della gestione del rischio vanno regola­mentati da una legge. E l’Italia è l’unico Paese avanzato che ne è privo». Lo scri­veva in una lettera a Tremonti, tre anni fa, lo stesso Silvio Berlusco­ni: «Non credo sia ancora possibi­le che l’Italia rimanga uno dei po­chi Paesi industriali dove lo Stato si assume l’onere di provvedere a rifondere per intero i danni pro­dotti dalle calamità naturali».

Senza una legge, va da sé, citta­dini e assicurazioni si guardano bene dal firmare polizze contro le calamità naturali. Ovvio. Più anco­ra che nel caso delle polizze vita, che spesso i sani vorrebbero stipu­lare solo dopo aver scoperto di es­sere malati, anche quelli che vor­rebbero assicurarsi contro le inon­dazioni vivono di solito esposti a possibili ondate di piena e quelli che vorrebbero assicurarsi contro le eruzioni vivono di solito sotto un vulcano.

Conseguenza: nessun assicura­tore italiano si sogna, salvo ecce­zioni della direzione generale, di stipulare una sola polizza di que­sto genere.

Di più: l’ipotesi di introdurre l’obbligo dell’assicurazione (sia pure con scontate garanzie per le fasce più deboli) sembra solleva­re diverse perplessità. Buona par­te delle associazioni dei consuma­tori temono sia un sistema per far fare altri affari alle compagnie assicurative. Le compagnie, al contrario, temono che, soprattut­to in un Paese a rischio come il nostro, il gioco non valga la can­dela. Gli stessi costruttori temo­no, come ha scritto il presidente di Confedilizia Corrado Sforza Fo­gliani, che «l’imposizione di un obbligo assicurativo contribui­sca a irrigidire la domanda» e pensano che non siano questi gli anni giusti «per superare la finali­tà solidaristica che ha finora ispi­rato l’approccio con il rischio ca­lamità ». Non bastasse, sarebbero recalcitranti certi politici maneg­gioni: l’«economia della catastro­fe », come insegna la nostra sto­ria, è politicamente un affarone.

Eppure, come ha spiegato Re­nato Brunetta ieri sul Corriere, la polizza obbligatoria si tirerebbe dietro alcune conseguenze vir­tuose che sarebbe un peccato sprecare. Come accade con l’Rc-auto per i guidatori scriteria­ti, per non pagare uno sproposi­to anche i padroni di casa inco­scienti (e automaticamente i loro amministratori comunali), sareb­bero costretti a non tirar più su edifici abusivi non assicurabili, a non costruire più in zone a ri­schio, a rispettare le regole antisi­smiche, a controllare le fonda­menta, a dedicare tempo alla ma­nutenzione. E forse, un po’ alla volta, piangeremmo finalmente meno morti.