varie, 14 aprile 2009
Quotazione dell’oro al 13 marzo 2009: 931 dollari l’oncia. Il trader americano Peter Palmedo, che ha fatto fortuna con un fondo d’investimento nei metalli preziosi, tiene incorniciata nel suo ufficio una prima pagina del Financial Times, datata dicembre 1997, che titolava così: ”The death of gold” (la morte dell’oro)
Quotazione dell’oro al 13 marzo 2009: 931 dollari l’oncia. Il trader americano Peter Palmedo, che ha fatto fortuna con un fondo d’investimento nei metalli preziosi, tiene incorniciata nel suo ufficio una prima pagina del Financial Times, datata dicembre 1997, che titolava così: ”The death of gold” (la morte dell’oro). +137,5 per cento: l’aumento del prezzo dell’oro da gennaio 2004 a febbraio 2009. - 31,2 per cento: la discesa dell’indice azionario mondiale nello stesso arco di tempo. Tra i metalli preziosi, a differenza di argento e platino, da quando è cominciata la crisi il valore dell’oro è tendenzialmente in crescita. Si tratta infatti del più classico bene-rifugio. A febbraio ha toccato quota 1.004,5 dollari l’oncia, vicinissimo al record storico di 1.006,75 dollari del marzo 2008. L’American Eagle, coniata dalla zecca federale Usa, è una delle monete d’oro più richieste. Nei primi due mesi del 2009 ne sono state vendute per un totale di 147.500 once, il 176% in più rispetto allo stesso periodo del 2008. Per l’acquisto adesso bisogna prenotare. La zecca sudafricana ha raddoppiato la produzione di Krugerrand (20 mila once a settimana) ma è ancora troppo poco per soddisfare la richiesta. «Oro e libertà economica sono inseparabili. In assenza del sistema aureo, non vi è modo di proteggere i risparmi dall’inflazione. L’oro tutela i diritti della proprietà» (Alan Greenspan, ex governatore della Federal Reserve, nel 1966). Il prezzo dell’oro è fissato dai mercati. Tuttavia dal 1919 la Borsa di Londra stabilisce due volte al giorno un prezzo di riferimento (il cosiddetto fixing dell’oro). L’oro è quotato all’oncia o in grammi. Un’oncia equivale a 31,1035 grammi. Per ottenere un’oncia d’oro bisogna sbriciolare 27 tonnellate di roccia. L’uomo iniziò a estrarre l’oro circa 6000 anni fa nell’Africa settentrionale, in Mesopotamia, nella valle dell’Indo e nel Mediterraneo orientale. Si calcola che da allora siano state estratte circa 135.000 tonnellate d’oro. L’attuale produzione mondiale è di circa 2.400 tonnellate l’anno. Le prime monete d’oro furono coniate verso il 600 avanti Cristo in Lidia (l’attuale Turchia) dal re Creso. Nell’Antico Testamento la parola ”oro” compare 415 volte. Nel 1872, nel Nuovo Galles del Sud (Australia) un tale di nome Holterman trovò la pepita d’oro più grande di tutti i tempi: 272 chili di peso. Arrivava alle ascelle dello scopritore. In Italia si parla di una pepita da un chilo, della quale si sono però perse le tracce, rinvenuta presso Emarese, in Val d’Aosta. «A differenza di ogni altro elemento, quasi tutto l’oro estratto dalle miniere fino a questo momento è ancora in circolazione. Gran parte si trova nei musei, a ornamento delle statue di antiche divinità e dei loro corredi, oppure nelle vetrine delle esposizioni numismatiche; in parte è sulle pagine dei codici miniati o è sepolto nei sotterranei delle banche centrali sotto forma di lingotti; moltissimo si trova intorno alle dita, pendente dalle orecchie o nella bocca degli esseri umani. C’è n’è infine una certa quantità sul fondo degli oceani, nei relitti di navi naufragate» (Peter L. Bernstein, Oro, Longanesi). L’economista Larry Summers, già ministro del Tesoro di Clinton e rettore di Harvard, dopo aver studiato le fluttuazioni dell’oro dal 1730 ai nostri giorni ha coniato una ”legge Summers” che dice più o meno così: la voglia di metallo giallo è inversamente proporzionale ai rendimenti che si possono ottenere dagli investimenti industriali e finanziari. In altre parole: più l’economia reale va giù e le Borse sono in preda al pessimismo, più il lingotto torna di moda. «Bene rifugio per eccellenza, l’oro è richiesto quando l’inflazione imperversa, le tensioni internazionali si acuiscono e, in generale, i risparmiatori sono incerti sulle prospettive future delle monete e dei titoli mobiliari. Quando invece i prezzi restano stabili, i timori di conflitti internazionali si attenuano e le obbligazioni offrono buone possibilità di guadagno, la domanda di metallo giallo crolla» (Umberto Venturini). Gli investimenti finanziari in oro a livello mondiale hanno raggiunto nel 2007 i 63 miliardi di dollari, con una crescita costante dagli 8 miliardi del 2002 (+687% in sei anni) (dati del World Gold Council). La maggior parte delle riserve auree si trova in territorio europeo: le istituzioni monetarie della zona euro (compresa la Banca centrale europea) custodiscono circa il 40% delle riserve mondiali – contro il 26% in mano agli Usa – per un totale di poco superiore alle 11mila tonnellate. Il primo modo di investire in oro è comprare monete: ad esempio la Sterlina oro, che pesa 7,332 grammi. L’acquisto avviene tramite le poche società di intermediazione autorizzate dall’Ufficio italiano cambi, non si pagano né commissioni né imposte e dal 2000, anno in cui è caduto il monopolio, non si paga neanche l’Iva del 20 per cento. Per il risparmiatore il vero problema è rivenderle, ma alcune società, come Confinvest, vendono e acquistano. Le società che lavorano l’oro (banco metalli) comprano il fino contenuto ma non riconoscono la manifattura delle monete, e pagano quindi circa il 10 per cento in meno del valore ufficiale. Secondo modo, i lingotti. I più piccoli pesano 50 grammi, ma si può arrivare fino a 1000. Riportano impressa la purezza, da 0,995 per cento in su, e il peso. Rispetto alle monete costano in media circa il 5 per cento in più, a causa della particolare lavorazione. Si comprano presso le società autorizzate dall’Ufficio italiano cambi. Sono meglio rivendibili se firmati da produttori di livello internazionale. In ogni caso sono meno commercializzabili delle monete per ragioni di peso e costo. Terzo modo, i gioielli. Sconsigliati come puro investimento. La rivalutazione nel tempo dipende dal singolo pezzo: la manifattura, le pietre, la maison, l’artista, la storia dei gioielli e altre caratteristiche. Sono da considerare oggetti da collezionismo e, se si tratta di pezzi importanti e unici, guadagni significativi possono venire dalla vendita all’incanto. Quarto modo, i titoli auriferi. Chi vuole investire in oro può anche puntare, invece che sul prodotto finito, sulle società estrattive, minerarie e del settore. I fondi specializzati in oro selezionano aziende in tutto il mondo. L’investimento in fondi del settore aurifero è adeguato per un profilo di rischio elevato e va inteso nel lungo periodo. Quinto modo, i certificati auriferi. Offrono agli investitori un metodo per possedere l’oro senza consegna materiale. Emessi da singole banche, in particolare in nazioni come Germania e Svizzera, costituiscono per il detentore un titolo di proprietà del metallo mentre la banca conserva fisicamente l’oro per conto del cliente. Il cliente risparmia quindi sul deposito e sulla sicurezza personale, e acquista liquidità in termini di capacità di vendere quote della proprietà (se necessario) con una semplice telefonata alla banca depositaria. In Italia sono 196 gli operatori professionali dell’oro autorizzati dalla Banca d’Italia. Nel 2000 erano 93. «Negli ultimi anni il business dell’oro è stato ottimo per gli americani; molto meno per gli europei. Infatti la quotazione del metallo giallo è in dollari, e il dollaro negli ultimi 5 anni ha perso circa il 40 per cento del suo valore. E così, mentre l’investitore americano si frega felice le mani perché il suo capitale è cresciuto del 14 per cento all’anno, l’investitore europeo si deve accontentare del 9 per cento annuo (e fra il 1999 ed il 2004 ha portato a casa molto meno di un Buono del Tesoro poliennale). Non è tutto oro quel che luccica; nemmeno l’oro» (l’economista Gianluigi De Marchi).