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 2009  aprile 14 Martedì calendario

ECONOMIA DI GUERRA: AFGHANISTAN


Pil afghano: poco meno di 9 miliardi di dollari, cioè meno di un dollaro al giorno a testa. Per il 30 per cento determinato dalla vendita di oppio, cocaina, eroina.

Cocainomani nel mondo: 14 milioni e 300 mila. Eroina: 11 milioni e centomila. Drogati in genere: 159 milioni.

Oggi c’è un milione di drogati anche in Afghanistan.

Sulla cocaina, concorrenza della Colombia. Ma: il consumo in America è diminuito, in Europa è cresciuto. Linee di traffico di cocaina ed eroina: Afghanistan-Pakistan-Iran-Turchia e di qui in Europa. Oppure lungo nuove rotte che attraversano l’Africa, dato che il 45% del carico di cocaina e il 25% del carico di eroina viene intercettato dalle polizie.

Sulla stessa via i traffici di esseri umani. L’Afghanistan avrebbe almeno tre milioni di profughi, o forse addirittura sei, molti dei quali rifugiati in Iran. La spinta a scappare, con la guerra e il resto, è sempre forte. Nella classifica dello Human Development Index dell’Onu (istruzione, longevità, performance economica), l’Afghanistan è 174esimo su 178. Analfabeti maschi: 68%; femmine: 88%. Speranza di vita alla nascita: uomini 43 anni, donne 44. Performance economica: il Pil di quasi 9 miliardi significa 323 dollari l’anno per abitante, 88 centesimi al giorno a testa.

Bush voleva che si provassero a sradicare i campi di papaveri. La Banca Mondiale dimostrò che è un’ipotesi da lasciar perdere. Altra idea: il mondo compri tutti i raccolti di oppio e poi li bruci. William Byrd, tra gli autori di un rapporto della Banca Mondiale: «Il 93% della produzione di tutto il Pianeta si fa su appena il 10% delle terre agricole afgane. Comprare tutta la produzione significa incentivarla. Aumentare la produzione, con il 90 per cento della terra ancora disponibile, sarebbe facile».

Controproposta della Banca Mondiale. Investire due miliardi di dollari divisi così: un miliardo e due nell’espansione di terreni arabili, 550 milioni per far nascere imprese agricole, 400 milioni per costruire strade.

Le strade sono state scassate dai convogli militari, ponti bombardati non sono stati ricostruiti, continuamente si impediscono gli accessi per via di qualche battaglia in corso da qualche parte.

Alastair McKechnie, direttore per l’Afghanistan della Banca Mondiale, dice che i 62 Paesi definiti ”donors” e impegnati a sostenere finanziariamente l’Afghanistan (da ultimo il Giappone, intenzionato a versare un contributo di 110 milioni di dollari) dovrebbero intanto comprare i prodotti coltivati in Afghanistan.

 vero che il papavero è quello che dà il reddito maggiore, però impone anche costi molto alti per la sicurezza.

I fratelli Mohseni, padroni di Tolo Tv: «La mossa migliore per rimettere in sesto il Paese è offrire al pubblico qualcosa che tutti amano». Per esempio? «Per esempio, la musica».

A un certo punto i fratelli Mohseni, padroni di Tolo Tv, mandarono in onda due soap realizzate a Bollywood. Gli ulema fecero questioni. Allora per calmarli Tolo Tv trasmise una serie turca intitolata Mondo segreto e ispirata ai princìpi dell’Islam. Grande successo. Incoraggiati, i due fratelli organizzarono uno show in cui i concorrenti facevano a gara a chi recitava meglio il Corano. Altro boom e scoperta di un mercato inaspettato, quello imperniato sulla fede. Fino a quel momento il maggior successo di Tolo Tv era stato Afghan Star, gara di canto tra i vari gruppi etnici: 11 milioni di ascoltatori, cioè un terzo del Paese.

Cantare sì, ma se poi tornano i talebani? «Con i talebani cantare significa rischiare la vita» (i fratelli Mohseni al Washington Post).

Ettari coltivati a papavero nel 1990: 41.300. Nel 2001: 7.606. Nel 2004: 131 mila. Il crollo del 2001 fu causato dai talebani. Il mullah Omar, l’anno prima, aveva imposto la sospensione delle coltivazioni di papavero garantendo che ai contadini disobbedienti sarebbe stato bruciato il campo. Nel 2001-2002 il prezzo dell’oppio salì alle stelle.

Il punto più vicino alla frontiera con l’Afghanistan è Spin Boldak. Ci sono i talebani e chi vuole scappare se ne tiene alla larga. Da Nimruz, pagando 200-250 dollari a una guida e attraversando a piedi il deserto, basta una notte di cammino. Ma la strada è piena di mine. Trecento chilometri più a nord, Herat: si pagano 300 dollari e si marcia per tre giorni tra i monti.

I contrabbandieri di uomini afghani, detti ”polli”.

Karim, 22 anni, tagiko, viene da Laghman. Intervistato a Teheran: «Sono passato da Nimruz. La prima città iraniana che si incontra è Zabol. Lì i polli ci affidano a un autista. Il mezzo cambia a seconda del prezzo. Io mi sono potuto permettere solo un posto tra altri nove passeggeri in una Peugeot: uno sul sedile davanti, uno accovacciato ai suoi piedi, 4 dietro e tre chiusi nel bagagliaio. Era l’autista a decidere le posizioni, quando e se fermarsi, quando e se farci proseguire a piedi, farci bere, mangiare e il resto. Con un camion avrei pagato meno: cento persone in piedi pigiate nel cassone, sotto un telo. Auto o camion filano a 120-150 all’ora a luci spente in modo da sfondare i posti di blocco. Nel baule della Peugeot non era male, in velocità entrava abbastanza aria».

I contrabbandieri di uomini curdi si chiamano ”quchakhbar”, mafiosi.

Jalil, 13 anni, partito da Jaguri, 80 chilometri da Kabul. I quchakhbar l’hanno accompagnato per seimila chilometri fino a Istanbul. Gli è costato tremila dollari. Intervistato a Smirne: «Devo ancora superiore questo fiume e poi sono in Europa» (indicando il Mediterraneo). S’è prostituito fino a raccogliere 800 dollari, poi ha comprato un posto su un canotto a remi. «Sempre dritto e arriveremo su un’isola che si chiama Mytiline. Lì saremo in Grecia, in Europa».

ANCHE NE IL CACCIATORE DI AQUILONI KHALED HOSSEINI RACCONTA UN VIAGGIO CLANDESTINO DEL PROTAGONISTA PER SCAPPARE DA KABUL (leggilo qui).

A Patrasso centinaia di adolescenti afgani – più spesso azeri o tagiki, ma talvolta anche pashtun - fermi davanti al porto, dall’altra parte della strada, dietro la ferrovia, puntano un certo varco tra i cancelli 6 e 7. Sperano di saltare su una nave o su un camion e arrivare in Italia. I poliziotti fanno finta di non vedere. Dall’Italia raggiungerebbero la Gran Bretagna o la Scandinavia. Gli italiani della Polmare li rimandano quasi sempre indietro.

Sui talebani: «Si può pensare quello che si vuole dei Talebani [...], ma in nessun modo si può scambiare il loro movimento con un movimento terrorista. Ebbero il merito di sconfiggere i ”signori della guerra’ che, dopo la sconfitta sovietica, spadroneggiavano in Afghanistan, ammazzando, taglieggiando, rapinando, rubando, stuprando, e di riportare la legge e l’ordine, sia pure una dura legge e un duro ordine, nel Paese. Ed ebbero l’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione […] Il mullah Omar è contrario ad attacchi ”che colpiscono innocenti” (sono parole sue) e ha già degradato una volta Dadullah per esservi ricorso, così come rinunciò a colpire i seggi durante le elezoni-farsa del 1° settembre 2005 perché, come fece dire ad un suo portavoce, ”il rischio di colpire civili è troppo alto”» (Massimo Fini).

Case degli afghani a Marina di Patrasso: scheletro in legno, su cui si incolla del cartone, che viene poi ricoperto da fogli di nailon. Niente servizi igienici. L’acqua e l’elettricità vengono piratate alla rete cittadina con collegamenti volanti realizzati dagli stessi profughi.

Gli afghani di Marina di Patrasso: non più di 1.500, tutti maschi.

Altri servizi messi su in qualche modo: la moschea, l’ambulatorio (di Medici senza Frontiere). Tizi col cellulare e l’aria da boss (’smugglers”), che s’aggirano tra una baracca e l’altra, ti vendono i posti letto e per duemila dollari dicono di poterti imbarcare su un camion o su una nave sicuri.

Cliniche private presenti a Kabul: 200.

Il caso di Seid Mursha, 17 anni, arrivato in Italia sette volte e sette volte rispedito in Grecia.

«Gli Stati Uniti e la Nato non sono riusciti a capire che i Taliban non appartengono né all´Afghanistan né al Pakistan, ma sono un Lumpen-popolo, il prodotto di campi profughi, madrasa militarizzate e mancanza di opportunità nella regione di confine tra Pakistan e Afghanistan. Non sono né veri cittadini dell´uno o dell´altro paese né hanno conosciuto la tradizionale società tribale pashtun. Più durerà la guerra, più i Taliban e il loro ambiente transnazionale si espanderanno, mettendo radici» (Ahmed Rashid, Caos Asia, Feltrinelli).

La linea Durand, cioè il confine di 2640 chilometri che separa l’Afganistan dal Pakistan. Tracciato da inglesi e afghani nel 1893 in modo tagliare in due le tribù pashtun e far loro passare la voglia di costituirsi in un Pashtunistan.

A Marina di Patrasso è stato eletto sindaco un pashtun che organizza la sorveglianza notturna per prevenire le incursioni dei giovani greci razzisti. Intorno sono anche stati aperti due bar, due negozi di alimentari, un negozio di scarpe.