Alessandro Gnocchi, Libero 9/4/2009, 9 aprile 2009
CLASSIFICA, PUBBLICITA’, PREMI COME INFINOCCHIARE IL LETTORE
Trasparenza zero. Classifiche, premi, recensioni, manovre editoriali, conflitti d’interesse: nel mondo della cultura si può fare tutto. L’importante è che i lettori non sappiano esattamente cosa succede.
Prendiamo spunto dalla classifica di qualità lanciata da Pordenonelegge e dal premio letterario Dedalus. Obiettivo: liberarsi dalla ”tirannia” delle liste dei best sellers. (Sull’iniziativa vi racconta tutto Massimiliano Parente nell’articolo qui a fianco). Partiamo quindi dalle classifiche. Come funzionano? A chi si rivolgono? Due quesiti semplici solo in apparenza. Ci sono molte classifiche realizzate da varie società. Le più rilevanti sono quelle di Demoskopea (esce su Tuttolibri della Stampa e Corriere della Sera) ed Eurisko (Almanacco dei libri di Repubblica). Le vendite sono rilevate su un campione di 120-150 librerie scelte a rotazione.
Quando i continon tornano
Già qui ci sono i primi problemi. A rotazione, d’accordo, ma su quale base? Dipende dalla società. La grande distribuzione è inclusa o no? In alcuni casi la risposta è affermativa, in altri no. Il criterio non è uniforme. Diamo poi un’occhiata alle top ten pubblicati su giornali e riviste. A parte le posizioni altissime, di solito ci sono discrepanze sostanziali.
Ricordo il caso del recente libro di Antonio Socci Indagine su Gesù, edito da Rizzoli, 50 mila copie vendute in pochi giorni. Come raccontammo tempo fa, nelle classifiche il libro appariva in posizioni molto diverse. Non in tutte era presente. Come mai? All’inizio dell’anno, alcune classifiche vedevano nelle prime quattro posizioni la saga dei vampiri adolescenti di Stephenie Meyer (Fazi); in altre gli stessi titoli erano addirittura fuori dalla Top Ten. Alcuni librai di Milano ricordano il caso del Cacciatore di aquiloni (Piemme) di Khaled Hosseini. Il passaparola scattò subito, e il romanzo iniziò a vendere benissimo. Le classifiche ne registrarono l’esistenza quando il volume era già un best seller. Perché questo ritardo?
Dalla lista dei successi 2007, analizzata da Giuliano Vigini (fra i massimi esperti in materia) in un recente articolo su Vita e pensiero, «emerge che, a fronte di una relativa mobilità degli autori, è invece pressoché assoluta l’immobilità degli editori, che sono di fatto soltanto quattro (Mondadori, Rizzoli, Longanesi, Sellerio; considerando Piemme parte integrante del Gruppo Mondadori). Questo porta a una conclusione: i best seller possono avere varie origini, ma, per farli entrare in classifica, difficilmente si può essere ”piccoli”».
La cosa davvero singolare è che nelle classifiche non compaia il venduto, ricondotto a un sistema a punti (100 al primo, gli altri in proporzione) la cui interpretazione non è immediata. Beh, uno si dice: sarà perché si tratta di una stima etc etc. Vero, ma non è che il dato non esista. Esiste eccome ma non viene mai reso noto, anche se gli editori lo conoscono bene.
Le cifre reali sono così basse da essere troppo deprimenti per i veri destinatari delle classifiche stesse: i librai, che fanno gli ordini, e in subordine i lettori (non è entusiasmante capire che il ”libro di cui tutti parlano” non l’ha comprato quasi nessuno). I numeri sono esplicativi. Ci sono settimane in cui bastano 1000 copie per essere ”un caso”, altre in cui con 400 si entra nella top ten. Forse il mercato è ancora più ristretto di quello che sappiamo. Non è un mistero che quest’anno le novità, solitamente abbondanti, diminuiranno. Proprio come le tirature, drasticamente abbassate.
Per questa voltanon si cambia
Ancora Giuliano Vigini: «Le classifiche librarie rappresentano per autori, editori, librai e, in generale, per tutti gli operatori del mondo del libro uno strumento di lancio, controllo e promozione delle vendite». In altre parole: sono anche e soprattutto pubblicità perché «mobilitano le librerie (prenotazioni, rifornimenti, esposizione, vetrine ecc.) e gli altri punti vendita abituali del libro, che poi utilizzano le classifiche stesse, esponendole, come strumenti di promozione e persuasione (occulta) della clientela».
Diamo un’occhiata allora ai punti vendita, cioè le librerie. L’editore che vuole esporre bene le sue novità può avvalersi di servizi a pagamento. I prezzi sono variabili caso per caso. Se si sceglie il massimo in tutta Italia, vetrina e altro, c’è da spendere fino a 35 mila euro alla settimana, nel periodo natalizio con una maggiorazione. (Stiamo parlando di colossi come Feltrinelli e Mondadori, con molti negozi, non delle librerie indipendenti, per le quali non disponiamo di dati).
Questo tipo di esposizione è pubblicità, non un consiglio spontaneo (mentre scrivo ho sul tavolo le carte con le varie proposte economiche). Chiariamo subito, a scanso di equivoci: è tutto perfettamente legale, accade anche nelle profumerie, nei grandi magazzini etc. Però quanti frequentatori di una libreria sono consapevoli di questo meccanismo? Pochi, crediamo. La differenza fra suggerimento e campagna di lancio non è sempre lampante agli occhi del cliente, me stesso incluso.
Questo sistema ha poi ripercussioni notevoli: nessun piccolo editore (e forse neppure tutti quelli grandi) si può permettere di investire somme simili perché è impossibile avere la certezza che il libro spinto funzionerà. Chi se la sente di spendere al buio?
Torniamo alla trasparenza zero. Dal punto di vista delle vendite, i premi in linea di massima contano quanto le recensioni dei giornali: niente. In sostanza solo lo Strega può lanciare o rilanciare un romanzo. Questo, tra l’altro, è vero solo per le ultime edizioni; e l’importanza del premio è interamente dovuta alla copertura televisiva a cura di Rai Uno, la letteratura c’entra poco, l’esercito dei 400 giurati ancora meno. Comunque la vittoria vale 40 mila copie; se il passaparola si rimette in moto, il libro può toccare quota 150 mila. La tendenza, ultimamente, è premiare un libro che ha già venduto ma non quanto si pensava. I malevoli dicono, ad esempio, che Mondadori abbia fortemente voluto la vittoria di Niccolò Ammaniti, due anni fa, per rifarsi dal parziale insuccesso di Come dio comanda, titolo sul quale aveva scommesso, tirando molte copie. E Paolo Giordano, vincitore del 2008 con La solitudine dei numeri primi (bis di Mondadori), era già esploso.
Una kermessetira l’altra
Questi sono pettegolezzi. Il punto è un altro. Negli ultimi dieci anni, come abbiamo documentato un’altra volta, il Premio si è trovato costretto a lanciare per quattro volte un’operazione trasparenza, l’ultima qualche settimana fa. Il che rende evidente che l’unica cosa trasparente del riconoscimento più lottizzato d’Italia (equamente diviso fra i marchi di proprietà Mondadori e Rizzoli, con qualche interferenza di Feltrinelli) sono proprio le pastette.
Veniamo ai giornali. Quanto vale l’opinione di un recensore più o meno autorevole? Se va bene, qualche decina di copie. Di solito nessuna, cosa che ridimensiona notevolmente la portata delle polemiche culturali da terza pagina. Il lettore non si fida e preferisce seguire il consiglio di un amico. Perché mai dovrebbe fidarsi? Spesso i giornali fanno parte di gruppi editoriali con un piede nel settore dei libri: vuoi essere insensibile a questo ”dettaglio”? Potrebbe anche essere irrilevante, a patto di avvertire i lettori ogni volta ci sia - per così dire - un conflitto d’interessi. Cosa che non sempre accade. Anzi succede di peggio, per fortuna in pochissimi casi.
Tanto per fare un esempio: tempo fa lo storico Sergio Luzzatto, grande moralizzatore, fece sul Corriere della Sera una recensione ammirata del Dizionario del comunismo nel XX secolo edito da Einaudi: un’opera collettiva firmata da una nuova generazione di studiosi etc etc. Piccolo ”particolare” taciuto ai lettori: Luzzatto era fra gli autori del tomo.
C’è una cosa divertente, però. Il lettore è anarchico e non si lascia quasi mai infinocchiare. La prova? L’unico fattore imprescindibile per il successo di un libro resta il passaparola.