Giancarlo Meloni, Libero 9/4/2009, 9 aprile 2009
LA REGINA DELLA SCIENZA
Così come ama i peccatori pentiti, Dio ha probabilmente un debole anche per i cronachisti ravveduti. La storia dell’umanità potrà dunque forse cavarsela ancora una volta restituendo alle donne quello che gli spetta, come attualmente sembra orientata a fare. Ma col passato come la mettiamo? Senza pensarci sopra due volte l’uomo ha cancellato più o meno quindicimila anni di quanto è accaduto nei tempi più remoti della civiltà. Motivo? Delle guerre che hanno la disgrazia di perdere, tutte le società di scarso carattere preferiscono cercare di dimenticarsi, seppellendo nella stessa bara protagonisti e comparse. Oppure solo i protagonisti, se conviene; e così è stato per la prima metà del cielo, le donne appunto, dominatrici e regine fino all’epoca (4000 a.C.) dell’egemonia dei primi re Sumeri nelle grandi pianure a cavallo di Tigri ed Eufrate.
Forse troppo a lungo era durata la supremazia delle Grandi Madri primitive, procreatrici di figli per misteriose intromissioni divine o astrali, inesauribili produttrici di cibo (il loro latte), instancabili raccoglitrici di sementi e poi agricoltrici, indomite e feroci guerriere, padrone della famiglia, della tribù, dello Stato. Così, quando il mitico maschio cacciatore, per lo più a tempo perso perché non c’è il modo di conservare commestibili le prede uccise, comincia ad accorgersi di essere praticamente superfluo, scatta improvvisa la scintilla della rivalsa, mentre l’istinto di sopravvivenza gli suggerisce una specie di subdola ”damnatio memoriae”, che a poco a poco riduce la femmina da sovrana a vittima, anonima, ignorata, umiliata, oppressa. E da qui all’accensione dei primi roghi il passo è breve.
La donna, di cui via via si cancella ogni traccia sociale, a cominciare dal nome, era stata per millenni la Grande dea madre del genere umano, anzi la mamma. E con le mamme, si sa, complimenti non se ne fanno. Ci sono, basta e avanza; anche se a conti fatti risultano forse le meno ossequiate ma certo le più amate di tutte le nostre ”capitane”. Nella vita pubblica, di cui figurano attente ordinatrici, queste donne avvedute portano la stessa spicciativa concretezza di chi sa di avere una famiglia sulle spalle, tutti i giorni, almeno per i tre quarti del fabbisogno (mai fidarsi del compagno cacciatore, spensierato dilettante!).
Il loro infaticabile darsi da fare è caratterizzato dal piglio diretto con cui affrontano ogni situazione e dalla mancanza di fronzoli che lo distingue: se serve un erede, femmina meglio, utilizzano il fratello, il figlio più grande o il macho piacione dei dintorni i quali, a faccenda conclusa, vengono regolarmente drogati, profumati, infiorati, infiocchettati, quindi decapitati e rispediti nell’aldilà con tutti gli onori. Oppure bruciati, fuchi usa e getta, animali sacrificali. Insomma le donne portavano i pantaloni. E sapevano bene come indossarli. Un po’ come le mamme dell’accampamento dei pionieri nel West, una mano sul revolver e l’altra sul manico della padella dei fagioli.