Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  aprile 10 Venerdì calendario

Biografia di Picasso

Picasso ha cominciato a disegnare e dipingere - e lo faceva mirabilmente, basta recarsi al museo Picasso di Barcellona per averne conferma - quando ancora era un bambino e nell’arco di una vita longeva, iperattiva e ipercreativa (pittore, disegnatore, incisore, scultore, ceramista, costumista e coreografo) ha prodotto un corpus impressionante di opere. Una produzione che alimenta una circolazione continua e costante di dipinti, disegni, sculture, ceramiche, stampe che accontentano ogni fascia di prezzi; quello di Picasso è infatti il mercato più popolare e costoso che si conosca. Tutti sanno chi è Picasso e tutti vorrebbero possederne un’opera. Desiderio facilmente realizzabile; il mercato di Picasso offre una gamma illimitata di prezzi: dalla stampa d’après ad alta tiratura che costa pochi milioni alle incisioni più rare che ne costano decine, talvolta centinaia; dalla piastrella o dal piatto in ceramica a tiratura illimitata che si può avere per qualche milione alla ceramica a tiratura limitata o al pezzo unico che costa come un bronzo del Rinascimento; dallo schizzo eseguito con pochi tratti - magari sul menu di un ristorante - a poche decine di milioni al disegno da miliardi. Se si dispone di mezzi adeguati anche i dipinti e le sculture hanno prezzi per tutti; da non meno di 600-800 milioni alle decine di miliardi... fino al recente record di 120 miliardi. Il prezzo record per un dipinto - in dollari ma non in lire a causa del variare dei cambi - è ancora di Vincent Van Gogh per il Ritratto del dottor Gachet (aggiudicato dalla Christie’s a New York l’11 maggio del 1990 per 82.500.000 dollari, allora circa 92 miliardi di lire), mentre il record per Picasso (55.006.000 dollari, circa 120 miliardi) è stato battuto l’8 novembre del 2000, sempre dalla Christie’s a New York per Femme aux bras croisés. Record a parte, quello che impressiona nel mercato di Picasso è il volume di affari che la vendita delle sue opere nel mondo produce e che percentualmente è il più elevato di tutto il mercato dell’arte. Basti pensare che nel 2000, considerando solo le opere più care vendute (appena 34 tele), si totalizzano 140 milioni di dollari, cioè 308 miliardi di lire, cifra superiore al fatturato globale realizzato in Italia nel 2000 dalle maggiori case d’aste. Nel 1999, sommando i primi 54 prezzi delle opere vendute, arriviamo a 343 milioni di dollari (640 miliardi). Se volessimo calcolare il fatturato totale delle opere di Picasso vendute in un anno nel mondo forse dovremmo moltiplicare per dieci questi risultati parziali. Il Bateau-Lavoir: miseria nera e voglia di vivere La leggenda vuole Picasso molto legato al denaro. Probabilmente lo fu, ma il suo lavoro e la volontà di farlo conoscere e imporlo era più importante del guadagno immediato. A questo proposito Kahnweiler ricorda una frase di Picasso: «Perché dei quadri si vendano cari, occorre che all’inizio siano venduti a molto poco». L’artista condivideva quindi la filosofia del suo mercante: «Quello che occorre ad un artista perché abbia successo e i prezzi delle sue opere crescano di conseguenza è la visibilità. Quello che è importante è che le opere circolino...». Così è stato e così continua ad essere. Picasso si trasferì a Parigi nel 1900. Per nove anni (che corrispondono a quelli che la critica definisce il periodo blu, il periodo rosa e gli inizi del periodo cubista) vive e lavora ai limiti della totale indigenza in quel falansterio che fu il Bateau-Lavoir, dove in allegra promiscuità e nella più totale miseria abitarono e lavorarono alcuni dei fondatori dell’arte moderna, i creatori del fauvismo, del cubismo, dell’arte astratta: Braque, Derain, Van Dongen, Juan Gris, Villon, Herbin. Compagni di strada di questi artisti, con i quali condivisero la grama, gloriosa, esaltante vita quotidiana, furono i poeti Max Jacob, Apollinaire, Reverdy, André Salmon; non certo i mercanti - o meglio i rigattieri - che ebbero la fortuna di trattare, senza rendersi conto di cosa passasse loro tra le mani, le prime opere di quei formidabili artisti. «Vivevamo tutti male, ciononostante la cosa meravigliosa era vivere», ricorda il poeta e fraterno amico di Picasso Max Jacob, che più di ogni altro soffriva di una estrema povertà che non riusciva a nascondere nonostante l’abito impeccabile, ma frusto, e le maniere squisite. I quadri in vendita tra divani, catini e sgabelli La collina della Butte a Montmartre era stata per i pittori impressionisti - ad eccezione di Renoir, nessuno di loro vi abitò - un luogo di ispirazione. Ci andavano a dipingere. Gli artisti che l’abitarono all’inizio del secolo scorso, invece, erano - ad eccezione di Utrillo - del tutto indifferenti al suo fascino pittoresco. La scelsero solo per ragioni di economia, per bisogno. Sulla Butte si poteva sopravvivere con poco, alloggi e piccole trattorie erano molto economiche, gli abitanti erano pronti a prestare qualche soldo, si pranzava con 90 centesimi. Anche se gli anni passati al Bateau-Lavoir furono sempre ricordati con molta nostalgia come quelli eroici della giovinezza spensierata (Picasso ne parlò quasi con rimpianto fino alla morte), tutti l’abbandonarono non appena ebbero denaro sufficiente per traslocare in alloggi più confortevoli (Picasso la lasciò nel 1909 quando si trasferì in boulevard de Clichy) e anche perché il quartiere non offriva alcuno sbocco commerciale. All’epoca le gallerie d’arte erano a rue Lafitte: Durand-Ruel, Bernheim, Georges Petit, Diot e Gérard (che trattavano gli impressionisti e gli artisti della Scuola di Barbizon) ed infine Ambroise Vollard (il più contemporaneo, che teneva Cézanne, Gauguin e Van Gogh). Erano galleristi troppo importanti per interessarsi ai giovani artisti ancora sconosciuti della Butte, i cui primi mercanti furono i rigattieri, i corniciai, i negozianti di colori, i proprietari dei piccoli bistrots che popolavano Montmartre e i dintorni di Pigalle. Uno di questi pittoreschi personaggi era Eugène Soulié (detto Père Soulier), ex lottatore nelle fiere che aveva un negozio di tele per materassi di fronte all’ingresso dei posti popolari del Circo Medrano. Il collezionista e mediatore d’arte André Level - uno dei primi a comprare opere di Picasso - lo ricorda come «un vecchio irsuto dall’aria di leone stanco» che tra divani, catini, sgabelli e tabacco di contrabbando comprava e vendeva disegni e quadri. Père Soulier incominciò accettando dagli artisti, che non avevano da pagare in altro modo, quadri in cambio di tele e così, senza rendersene conto, diventò mercante d’arte. Aveva un’unica regola: tirare sempre sul prezzo, un quadro non doveva essere pagato più di 100 franchi e un disegno non più di 10 soldi, qualche volta, eccezionalmente per Picasso, 2 o 3 franchi. La sua forza era il pagamento in contanti. «Lui si imponeva all’ora di pranzo e di cena»(André Level). A Soulié dell’arte non importava nulla. Esponeva le opere da vendere - quelle che oggi ammiriamo nei musei o che passano nelle aste internazionali a decine di miliardi di lire - sul marciapiede, incurante delle ingiurie del tempo e dei cani. Picasso era tra i suoi fornitori: quando non aveva più un soldo, gli mandava Max Jacob con una cartella di guazzi e disegni (tre franchi per i guazzi e 0,10 per i disegni) che si tramutavano in un paniere di cibo. Personaggio più complesso fu Clovis Sagot che comprendeva e amava la pittura ma non i pittori ed era maestro nello sfruttare gli artisti in difficoltà. Ex panettiere, era assolutamente ignorante ma sapeva scegliere per istinto le opere più audaci che annunciavano l’arte del futuro. Picasso, del quale aveva intuito il talento, fu una delle sue vittime. Nelle sue memorie Fernande Olivier narra della volta che Picasso - spinto dalla necessità perché nessun artista amava trattare con Sagot - gli propose di acquistare tre studi di saltimbanchi (quelli che oggi si vendono a molti miliardi). Dopo lunghe discussioni sul prezzo Sagot offrì 700 franchi che Picasso rifiutò, offeso. Dopo qualche giorno l’artista tornò da Sagot: era pronto ad accettare i 700 franchi. Ma stavolta Sagot gliene offrì 500. Picasso se andò infuriato e poi si ripresentò l’indomani e dovette accontentarsi di 300 franchi... Altro brutto personaggio era Libaude, ex banditore di aste di cavalli, uomo dall’aspetto bilioso e malaticcio che aveva l’abitudine di camminare rasente i muri e portare sempre con sé un pistola. Passava il tempo nel negozio-ufficio di via Trudaine in attesa di un cliente da truffare o di un artista da sfruttare. Aveva sotto contratto Utrillo e comprava dai rigattieri della Butte le opere di Van Dongen, Odilon Redon, Marquet, Modigliani, Picasso, per rivenderle man mano che i prezzi salivano. Una sua affermazione lo ritrae perfettamente: «Io non compro i Picasso perché mi piacciono, ma perché un giorno costeranno cari». Fu un personaggio tristo ma molto abile e quando morì, nel 1923, aveva accumulato una fortuna in opere che la vedova, non sapendone niente, svendette per poche centinaia di franchi. I primi: Berthe Weill e Ambroise Vollard Personaggio interessante e molto originale di quel precario «mercato dell’arte» fu Berthe Weill, oggi considerata con Vollard, Kahnweiler e Paul Guillaume uno dei promotori delle avanguardie del XX secolo. Approdata a Parigi dall’Alsazia, aveva iniziato lavorando per un piccolo antiquario-rigattiere e alla sua morte si era messa in proprio con un capitale di 800 franchi. Vendeva un po’ di tutto: antichità, argenteria e miniature, che aveva in conto vendita - era onestissima -, e litografie di Daumier, Toulose-Lautrec, Redon che attaccava con le pinze da bucato a fili appesi nel negozio. Su consiglio di Raoul Dufy e Père Manyac (un giovane catalano diventato a Parigi mediatore di quadri e che curava gli interessi di Picasso) cominciò a proporre le opere dei giovani artisti della Butte, specialmente Picasso, con il quale però ebbe un rapporto molto difficile. Nel 1902 - mentre Picasso era tornato a Barcellona - gli organizzò una mostra e in seguito continuò ad acquistargli disegni ed acquarelli del periodo blu, anche se non amava questo genere e faceva una gran fatica a smerciarli. Quando vendeva si accontentava di guadagni molto modesti: era mercante per amore dell’arte e degli artisti, non per sete di denaro, del quale peraltro non aveva necessità dal momento che quasi non aveva bisogni, dormiva in un ripostiglio della bottega e si nutriva di verdure e composte di frutta che preparava da sé sulla stufa del negozio. La prima mostra di opere di Picasso a Parigi fu organizzata da Manyac nel 1900 nella galleria di Ambroise Vollard ma fu Berthe Weill che gli trovò il primo acquirente e lo fece conoscere a coloro che divennero i suoi primi collezionisti: Adolphe Brisson, critico letterario del ”Temps”; Huc, direttore di ”La Dèpêche de Toulouse”; André Level, collezionista e mediatore di quadri; Marcel Sembat, deputato del 18° arrondissement; Olivier Sainsère, consigliere di stato e futuro segretario generale dell’Eliseo sotto la presidenza di Poincaré. Olivier Sainsère amava appassionatamente la pittura moderna. Di lui scrisse Fernande Olivier: « un collezionista tenace e ostinato e rappresenta un aiuto modesto ma sicuro». Sainsère visitava regolarmente l’atelier di Picasso. Sceglieva un disegno, un’acquaforte, un dipinto e prima di andarsene lasciava due o tre biglietti da cento franchi sull’angolo del tavolo. Aveva l’abitudine di recarsi da Picasso la mattina, quando l’artista, che a quel tempo dipingeva di notte, ancora dormiva, mentre la portinaia badava a tener lontani i visitatori, a parte i pochi che riteneva avessero un valore finanziario. Tra questi era il consigliere di stato Olivier Sainsère che si presentava correttamente vestito, con cappello a cilindro. Allora la portiera si precipitava a battere alla porta gridando: «Dovete aprire, questa volta è importante». Picasso saltava dal letto e la bella Fernande spariva dietro le tele di quell’unica stanza che fungeva da abitazione e studio, troppo calda d’estate e così fredda d’inverno che «la notte il té ghiacciava nelle tazze». Ambroise Vollard Sebbene Ambroise Vollard sia considerato tra i più grandi mercanti d’arte moderna probabilmente non è mai stato realmente interessato alla pittura di Picasso. Rifiutò le opere del periodo blu - nonostante le modeste richieste di Picasso che una volta gli offrì venti quadri per centocinquanta franchi - ma nell’estate del 1906 acquistò in blocco - per duemila franchi - tutto l’atelier: trenta opere del periodo rosa, l’intera serie di incisioni del Repas des pauvres e alcune sculture. Successivamente non si interessò alle opere cubiste. Vollard fu allergico al cubismo che non accettò mai, nonostante il ritratto tutto triangoli e losanghe, ma perfettamente somigliante, che gli fece Picasso nel 1909-10 e che, dopo essere stato acquistato dal commerciante moscovita re del grano Sergej Scukin, fa ora parte delle collezioni del Museo Puskin di Mosca. Il sistema di vendita di Vollard consisteva nel brutalizzare e respingere il cliente. Negava sistematicamente di avere il quadro che gli veniva richiesto e bisognava fargli la posta per settimane per ottenere ciò che si voleva. Quando finalmente l’oggetto del desiderio veniva presentato, il prezzo non doveva essere discusso. Se il compratore si permetteva di offrire 300 contro una richiesta di 350 il prezzo saliva automaticamente a 400, «prendere o lasciare». Il suo rapporto con i pittori era da commerciante. Con nessuno degli artisti da cui comprò opere ebbe rapporti di amicizia, né mai dimostrò attenzione, stima, un interesse che non fosse puramente economico per il loro lavoro. Non faceva nulla per farli conoscere o aiutarli a vendere, si limitava a comprare in blocco la produzione di coloro sui quali puntava ed ammassarne le opere senza neppure dare all’artista la soddisfazione di guardarle. Uomo essenzialmente ignorante, deve la sua fortuna all’istinto ed ai consigli di Camille Pissaro e di Maurice Denis. A parte i pochi collezionisti ai quali si era aggiunta Gertrude Stein, erano questi i personaggi dai quali nei primi anni del secolo scorso dipendeva la sopravvivenza di Picasso e degli altri artisti di Montmartre. Fino a quando, era il 1907, sulla scena parigina comparve Henry Kahnweiler. Henry Kahnweiler Henry Kahnweiler era un tipo di mercante molto diverso da Vollard. Tedesco, di tre anni più giovane di Picasso, proveniva da una famiglia di banchieri ebrei di Mannheim; amava l’arte e il suo sogno da ragazzo era diventare musicista. Appassionato di pittura, dopo il tirocinio a Londra nella banca di famiglia, convinse i genitori a lasciargli tentare la carriera di mercante d’arte. Ottenne un prestito di 25.000 franchi oro ed un anno di tempo. Nel 1907 aprì la sua prima galleria a Parigi. Iniziò con le opere degli artisti fauves, quelle che Vollard ammassava a centinaia, ma si rese subito conto che arrivava tardi per i fauves, costavano già troppo. Doveva trovare artisti giovani da lanciare. Fu portato al Bateau-Lavoir dal compatriota Wilhelm Uhde, il collezionista che aveva acquistato da Clovis Sagot La Camera Blu (quest’opera si trova oggi a Washington, collezione Phillips). Uhde era rimasto sconcertato e affascinato da Les Demoiselles d’Avignon e voleva mostrarlo a Kahnweiler. Questi fu sconvolto dalla povertà e dalla pietosa miseria dell’atelier di Picasso e nello stesso tempo si sentì toccato dalla forza e dall’eroismo dell’artista, la cui solitudine morale a quell’epoca era terribile: nessuno degli amici lo aveva seguito fino a quel punto. Il quadro che aveva dipinto (Les demoiselles d’Avignon) sembrava a tutti qualcosa di folle e di mostruoso, Dérain diceva che «avrebbero finito per trovare Picasso impiccato dietro il suo grande quadro». Kahnweiler, soggiogato dalla forza di quell’opera, intuì di trovarsi di fronte ad un artista che precorreva una nuova pittura. Decise di puntare tutto su di lui e sugli artisti del suo giro; gli comprò subito dei quadri e in seguito lo legò con un contratto. Gli inizi non furono facili. L’incontro con Kahnweiler rappresentò una svolta nella vita di Picasso - come di Braque e Van Dongen - che da quel momento non ebbero più la necessità di dipendere dai rigattieri di Montmartre per pagarsi il pranzo e procurarsi i materiali per lavorare. Contrariamente a Vollard, che faceva incetta di opere, ma non si legava a nessun artista, Kahnweiler impegnò i suoi pittori assicurando loro un mensile che li sollevava dalle più impellenti necessità quotidiane. In cambio ritirava tutta la produzione, ma senza interferire o forzarli nel lavoro. Per gli artisti non fu la prosperità ma segnò la fine della miseria. Con tutti Kahnweiler ebbe rapporti sereni e di grande lealtà. Quando vendeva, vendeva a buon mercato: per lui era importante far conoscere il lavoro degli artisti, farne circolare le opere. Fu solo dopo il 1912 che Kahnweiler fece contratti scritti - della durata di tre anni e rinnovabili - fissando i prezzi. Picasso aveva le quotazioni più alte: 100 franchi i disegni, 200 le gouaches e tra 250 e 3.000 franchi i quadri. Per Braque i prezzi erano 40-75 franchi i disegni e 60-400 franchi i quadri. Di poco maggiori quelli di Derain: 125/500 franchi i quadri. Kahnweiler divideva il suo tempo tra la visita agli artisti (la mattina) che nel frattempo avevano abbandonato il Bateau-Lavoir, le partite a scacchi in galleria con Braque, Derain, Vlaminck (il pomeriggio), le serate al circo e a ”Le Rat” con Picasso o al ballo con Braque. La domenica le gite in barca con Vlaminck e Derain. Il giovane mercante non solo amava la pittura ma rispettava, stimava e amava i pittori che aveva scelto e dei quali divenne un vero amico anche se non permetteva che i sentimenti influenzassero i rapporti di affari. Era attivo, audace e capace di mercanteggiare per ore pur di ottenere dei prezzi bassi. Fernande Olivier lo ricorda come «un vero commerciante ebreo, che sa rischiare e guadagnare». Il suo rapporto con Picasso fu leale e duraturo (fino al 1972) ma con una lunga interruzione - dal 1914 a praticamente tutto il 1944 - a causa delle guerre che costrinsero Kahnweiler a lasciare due volte Parigi e trovare rifugio in Svizzera. Allo scoppio della prima guerra mondiale Kahnweiler, per non prendere le armi contro la Germania, lasciò Parigi per la Svizzera e quando tornò, nel febbraio del 1920, i quadri della sua galleria erano stati sequestrati in quanto proprietà di un tedesco. Ogni sforzo per riscattarli fu inutile: tutto venne venduto all’asta in diverse tornate che si susseguirono all’Hotel Drouot tra il 1921 e il 1923 e in cui fu proibito al proprietario tedesco di partecipare. Kahnweiler poteva far intervenire in sua vece degli amici francesi, ma non aveva abbastanza denaro. Non ne aveva mai avuto, l’unico suo patrimonio erano sempre stati i quadri, uno stock di ottocento tele disperse poi nelle aste tra il disinteresse, anzi, l’ostilità degli altri mercanti che speravano così di veder definitivamente affossato il cubismo. Solo Rosenberg - al quale molti degli artisti di Kahnweiler erano passati in quegli anni - pensava che le aste sarebbero state un successo. Invece i prezzi non fecero che scendere. A comprare non furono né mercanti né musei, ma poeti e letterati. Kahnweiler poté riprendersi solo poche opere ma non si perse d’animo. In società con la cognata Louise Leiris riaprì la galleria e ricominciò a lavorare con i suoi artisti. L’interesse per il cubismo era però finito con la guerra. Problema questo che non riguardava Picasso il cui stile aveva continuato ad evolversi. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Kahnweiler aveva la cittadinanza francese ma, essendo ebreo, quando nel 1940 l’armata tedesca invase la Francia dovette lasciare Parigi. Per i tedeschi occupanti, la galleria e i quadri rappresentavano un bene da confiscare in quanto proprietà di un ebreo e così sarebbe avvenuto se Louise Leiris non avesse dichiarato e dimostrato d’averla comprata. Nel 1944 Kahnweiler rientrò a Parigi e riprese l’attività con la fiducia, il coraggio, la flemma e la pacatezza di sempre. Superata la crisi del dopoguerra la fama della sua galleria - che da allora si chiamò Louise Leiris - si consolidò nel mondo e divenne la galleria alla quale si sono rivolti i mercanti più importanti per avere opere di Picasso, Braque, Léger, Gris - l’unico che non lasciò Kahnweiler per Rosenberg - eccetera. Negli anni Sessanta Kahnweiler era ancora in affari (muore nel 1979) ed a Picasso che gli chiese perché rischiava ancora per lanciare artisti giovani rispose «...con i tuoi quadri posso pagare le mostre dei giovani, sono loro che vanno sostenuti». Ottant’anni dopo. Il giudizio del mercato Per Picasso il Cubismo - le opere create tra il 1907 e il 1915 - non è stato che un episodio nel vortice creativo dei suoi molteplici linguaggi che si sono alternati durante tutto il suo percorso artistico. La sua forza e il coraggio di cambiare lo hanno sempre portato oltre ogni scuola, corrente, movimento, moda. Picasso è Picasso qualsiasi linguaggio abbia utilizzato per esprimersi e oggi, a più di ottant’anni da allora, il mercato non considera le opere del periodo cubista con particolare interesse. Le opere di Picasso più ricercate e pagate sono le introvabili composizioni del periodo blu e rosa e quelle dagli anni Venti-Trenta, ma anche quelle posteriori. Tra i dodici prezzi più alti pagati per opere di Picasso, al terzo, quarto e quinto posto troviamo un’opera del 1938 e due del 1932. All’ottavo posto una composizione del 1955 della serie Femme d’Alger venduto a 57 miliardi. L’analisi dei prezzi più alti battuti per opere di Picasso nelle aste internazionali ci fornisce l’indicazione più eloquente di ”dove va” e ”cosa cerca” il mercato. Gli anni 1900/1907 Le opere del periodo blu e rosa sono quelle che negli ultimi vent’anni hanno maggiormente stimolato i compratori. Spesso sono quadri con una storia romantica alle spalle - Picasso le creò quando era estremamente povero – capace di alimentare il mito del genio costretto a cederle per pochi franchi ai rigattieri o barattarle in cambio di cibo o materiale per dipingere. Composizioni quasi monocrome, dipinte con poche tinte scure - usate non solo per scelta poetica ma anche per fattori contingenti (la mancanza di soldi per comprare i colori) - che rappresentano un’umanità di figure dolenti, cariche di pathos. Tra le dodici opere di Picasso più pagate, quattro sono state dipinte tra il 1901 e il 1905 e una (Femme aux bras croisés del 1901-1902) detiene il primo posto con 120 miliardi di lire. Femme aux bras croisés, più volte esposto in occasione di importanti mostre pubbliche, ha una storia semplice e lineare: acquistato da Gertrude Stein a Parigi è passato nella collezione dell’ultimo proprietario nel 1936. Les noces de Pierette ha una storia rocambolesca, alla quale deve parte della sua fortuna commerciale. Quando nell’autunno del 1989 lo studio Binoche-Godeau di Parigi annunciò la vendita di Les noces de Pierette - un’opera che si riteneva perduta - la notizia fece il giro del mondo. La storia, un po’ gialla un po’ noire, che accompagnava quest’opera fece salire la febbre e per una volta un’asta battuta a Parigi divenne la «vendita della stagione». Le tracce di quest’opera si erano perse da decenni. Nei cataloghi era pubblicata come «ubicazione ignota» o «opera perduta». Nel catalogo della vendita le notizie riguardanti la provenienza la davano appartenuta a Ambroise Vollard, Georges Renand, Paulo Picasso ed infine all’avvocato Bernard de Sariac e da lui al suo omonimo nipote ed erede universale. Pare che - e a questo punto si entra nella palude delle supposizioni - Bernard de Seriac zio lo avesse ceduto qualche mese prima della morte - non godeva di buone facoltà mentali - per una cifra irrisoria (circa 300 milioni di allora) ma di fronte alla denuncia di querela minacciata dal nipote, l’anonimo compratore restituì l’opera che l’erede decise di vendere all’asta dove fece un prezzo record: 330 milioni di franchi francesi (compratore, pare, il solito giapponese). Prezzo dovuto più al baccano che era stato orchestrato intorno alla vendita che alla qualità dell’opera, ritenuta dalla critica non di rilevante valore storico-artistico, tarda e in pessimo stato di conservazione. L’essere stata arrotolata e abbandonata per molti anni in un angolo dello studio di Picasso (in Picasso 1900-1906, Neuchâtel 1966, Pierre Daix e Georges Boudaille dichiarano che l’opera era stata distrutta da Picasso) ha provocato danni che hanno richiesto un pesante intervento di ridipintura e una stiratura che hanno conferito alla superficie l’aspetto di una tela cerata. Il clamore suscitato dalla vendita - da una parte i contrari all’esportazione del ”capolavoro”, dall’altra i sostenitori del mercato libero - hanno poi costretto le parti interessate ad un patteggiamento: il permesso di esportazione è stato concesso in cambio della donazione ai Musei francesi di un altro dipinto di Picasso del periodo blu, La Célestine, offerto da Bernard de Sariac (nipote e venditore de Les noces de Pierette) che lo ha pagato il controvalore di circa 22 miliardi di lire. Questo è stato il caso più clamoroso di una vendita di un’opera di Picasso. L’anno successivo (15 novembre 1990) a New York Sotheby’s mise all’asta Au Lapin Agile un quadro che è un pezzo di vita di Picasso. Il personaggio sul fondo che suona la chitarra è Frédé il proprietario del bistrot di Montmartre ”Lapin Agile” dove Picasso e la sua banda avevano credito. L’opera - che fu aggiudicata per 40.700.000 dollari, 45 miliardi di lire dell’epoca - fu lasciata da Picasso a Frédé in pagamento di conti in sospeso (qualche centinaio di franchi) ed appare in una fotografia dell’epoca. Yo, Picasso, autoritratto del 1901, è passato due volte in asta negli ultimi vent’anni. A New York da Sotheby’s nel maggio del 1981 fu venduto a 5.300.000 dollari (circa 5 miliardi di lire) prezzo record a quel tempo e rimasto tale fino agli anni caldi del mercato, quando (novembre 1988) la Christie’s di New York aggiudicò Maternité del 1901 a 24.750.000 dollari (33 miliardi). L’anno seguente (9 maggio 1989) tornò in asta alla Sotheby’s, New York , Yo, Picasso e fu venduto a 43.500.000 dollari (oltre 60 miliardi). In anni più recenti (8 maggio 1995) la Sotheby’s di New York ha venduto il ritratto di Angel Fernandez de Soto del 1903 a 29.152.500 dollari (circa 48 miliardi), lo scorso anno (8 novembre 2000) Christie’s ha battuto il prezzo record di 55.006.000 dollari (120 miliardi) per Femme aux bras croisés del 1901-1902. Il periodo rosa Nessuna opera del periodo rosa - quello dei clowns - appare tra i top-prices per il semplice fatto che - a parte qualche schizzo o qualche guaches aggiudicate comunque a milioni di dollari - dal 1980 a oggi non ne sono state proposte in vendita. Il prezzo più alto lo ha fatto Garçon à la collerette (gouache su cartone) del 1905 (probabilmente a suo tempo ceduto per pochi soldi a Père Soulier o peggio a Clovis Sagot), venduto a New York da Christie’s il 7 novembre 1995 per 12.102.500 di dollari (quasi 20 miliardi di lire). Le opere cubiste Opere importanti del periodo cubista - quelle dipinte tra il 1907 e il 1915 - si trovano raramente in asta. Non facendo prezzi eccezionali chi le ha non è invogliato a vendere. Interessano pochi musei (i più importanti ne sono provvisti da tempo) e una ristretta élite di collezionisti colti, quindi sono poco commerciali, di conseguenza non creano gara in una vasta fascia di potenziali compratori. Risultato: fanno prezzi di molto inferiori talvolta anche a opere degli anni Cinquanta e Sessanta ma che sono inequivocabilmente, spudoratamente Picasso. Mentre una composizione cubista di Picasso potrebbe, da uno sguardo non troppo attento, essere confusa con una di Braque. Il mercato, anche quello dell’arte, ubbidisce alla legge della domanda e dell’offerta. Tra i dodici prezzi più alti troviamo una sola opera cubista: Femme assise dans un fauteuil del 1913 (venduta da Christie’s a New York il 10 novembre 1997 a 24.752.500 dollari, 44 miliardi di lire). Il secondo prezzo più alto pagato per un’opera cubista spetta a Femme Nu venduto da Sotheby’s a New York il 17 novembre 1998 a 11.002.500 dollari (circa 19 miliardi di lire). Gli altri prezzi sono sempre inferiori ai 10 milioni di dollari. Per Picasso, non una cifra da primato. Pare che l’interesse per le opere del periodo cubista sia calato negli ultimi decenni, per lo meno se paragonato alla crescita dei prezzi delle opere degli altri periodi. A New York nell’ottobre del 1980 la Christie’s vendette a 2.000.000 di dollari (meno di due miliardi) - allora prezzo record - la grande composizione del 1915 Femme à la guitare. Nel dicembre del 1987 la Sotheby’s di Londra aveva venduto per 3.800.000 dollari (otto miliardi) l’ovale del 1912 Souvenir du Havre. Nel novembre del 1992 Guitar et Journal del 1914 fu venduto dalla Christie’s di New York per soli due milioni di dollari (circa due miliardi e mezzo). Le opere dopo il 1915 Anche se le opere dei primi anni restano le più costose, esaminando i risultati delle vendite si nota un cambiamento nei prezzi - rispetto a quelli degli anni Settanta - che riguarda le opere degli anni 1930-32, il periodo del grande amore di Picasso per Marie-Thérèse Walter. Opere nelle quali l’artista ritrae l’amata con semplici tratti sinuosamente, teneramente curvilinei e colori pastello dove non manca mai il verde tenero, il giallo e il color malva. Il 15 novembre del 1989, quando il mercato era in ebollizione, Sotheby’s a New York vendette Le miroir del 1932 a 26.400.000 dollari (36 miliardi e mezzo). La stessa opera tornò in asta da Christie’s il 7 novembre 1995 alla ripresa del mercato dopo gli anni di crisi e fu venduto a 20.022.500 dollari (circa 33 miliardi). Il 10 novembre 1997 Le rêve, sempre del 1932, fu venduto ancora da Christie’s a New York a più del doppio: 48.402.500 dollari (84 miliardi). Di nuovo Christie’s a New York il 9 novembre1999 vendette il molto meno bello Nu au fauteuil noir a 45.102.500 dollari (più di 84 miliardi). Ma oltre quelle dei primi anni Trenta, in genere tutte le opere eseguite dopo gli anni Venti si stanno rivalutando molto. Si vedano i 49.502.500 dollari (92 miliardi e mezzo) a cui è stato aggiudicato da Sotheby’s il 10 novembre 1999 Femme assise dans un jardin del 1938 e i prezzi che fanno le composizioni della serie della metà degli anni Cinquanta Femmes d’Alger; due composizioni di questa serie – entrambe appartenute alla collezione Ganz - sono state vendute il 10 novembre 1997 da Christie’s a New York per 11.002.500 dollari (circa 20 miliardi) e a 31.902.500 dollari (circa 57 miliardi). Laura Tansini