Vittorio Sabadin, La stampa 9/4/2009, 9 aprile 2009
I GIORNALI ALLA RISCOSSA
Un altro giornale centenario è stato chiuso negli Usa. Il «Seattle Post Intelligencer» ha pubblicato nell’ultima prima pagina (1) il logo del quotidiano rappresentante un globo e il titolo, rivolto ai lettori: «Per noi voi siete stati il mondo». In alto (2) l’ultimo discorso del direttore del «Seattle Post»ai giornalisti in lacrime riuniti nella redazione. L’editore di origine australiana Rupert Murdoch (3), proprietario del Times di Londra e del Wall Street Journal, ha ora sollecitato i colleghi americani a non consentire più ai siti come Google o come Drudge Report di pubblicare gratis gli articoli prodotti dai giornalisti dei loro quotidiani. La previsione di Microsoft
A giugno del 2010 per la prima volta Internet sottrarrà alla tv tradizionale il primato di mezzo di comunicazione più utilizzato. questa la previsione che emerge dai dati del report pubblicato da Microsoft «Europe logs on: Internet trends of today & tomorrow». Secondo lo studio nel 2010 l’utilizzo di Internet raggiungerà una media di 14,2 ore alla settimana (più di 2,5 giorni al mese), rispetto alle 11,5 ore alla settimana (due giorni al mese) della televisione.
La televisione interattiva
Il report, che analizza il comportamento online degli utenti europei e delinea le tendenze per il futuro, evidenzia che nonostante Internet sia destinato a diventare il mezzo di comunicazione più popolare, non si andrà incontro al declino della tv, ma semplicemente a un cambiamento nel modo di usufruire dei contenuti televisivi. Da mezzo di comunicazione a senso unico, la tv diventerà un’esperienza interattiva . Il computer infatti - spiega Microsoft - sta rapidamente diventando un mezzo per fruire sia dei contenuti a banda larga,
sempre più popolari, sia delle trasmissioni televisive in diretta.Ci è voluto un po’ di tempo, ma alla fine gli editori americani hanno forse scoperto come è possibile uscire dalla crisi che ha colpito i giornali: basta smetterla di rifornire di armi il proprio nemico. E’ stato come sempre Ruperth Murdoch, il proprietario del «Times» e del «Wall Street Journal», a chiamare a raccolta i suoi colleghi in questa nuova, decisiva battaglia. Murdoch ha quasi ottant’anni, ma continua a vedere le cose con più chiarezza di chiunque altro. «La questione è molto semplice - ha detto -. Dobbiamo smetterla di permettere a Google di rubare i nostri copyright». E Robert Thompson, il direttore del «Journal», è stato ancora più esplicito del suo capo: «Non c’è dubbio che molti siti web sono veri e propri parassiti, sono come una tenia tecnologica nell’intestino di Internet».
L’idea di Murdoch è che i giornali non devono più consentire ai motori di ricerca o agli aggregatori di notizie che sono prosperati in questi anni sul web di utilizzare gratuitamente gli articoli pubblicati. Se Internet è il nemico della carta stampata, non ha senso che ad alimentarlo e a farlo crescere siano proprio le sue vittime. «Siamo stati pazzi, ma ora non lo saremo più - ha sottolineato l’amministratore delegato dell’Associated Press Dean Singleton, un rispettato veterano dell’editoria -. Non possiamo più starcene fermi a guardare gli altri portarsi via il nostro lavoro sulla base di principi giuridici male interpretati».
Molti esperti concordano nell’affermare che il peccato originale dei giornali tradizionali è stato quello di mettere a disposizione gratis i propri contenuti online a partire dagli Anni 90. In quel periodo gli editori pensavano che sarebbe stata la raccolta della pubblicità su Internet a generare le risorse necessarie a pagare la qualità del prodotto. Ma ora sappiamo che - almeno nella scelta dei tempi - si sbagliavano: nella storia dell’editoria non c’è stata probabilmente una decisione dalle conseguenze più devastanti per chi produce giornali su carta.
Da anni, limitandosi a citare la fonte come prevedono le leggi, migliaia di siti come Google news o Drudge Report alimentano gratis le loro pagine web con articoli scritti per i quotidiani di carta da giornalisti retribuiti dagli editori per i quali lavorano. Nessuna industria avrebbe la minima possibilità di sopravvivere vendendo i suoi prodotti se avesse come concorrente qualcuno che ha la possibilità di regalarli, e gli editori americani hanno deciso di dire basta. In un comunicato che sembra proprio una dichiarazione di guerra, il board dell’Associated Press, l’agenzia che ha alle proprie dipendenze circa 4000 giornalisti in tutto il mondo, ha annunciato che d’ora in avanti intenterà azioni legali contro chiunque pubblicherà i suoi contenuti senza disporre di una licenza.
A Londra, anche «The Guardian» si appresta ad assumere iniziative simili. In un durissimo articolo, lo specialista di media Henry Porter ha scritto che Google costituisce una «minaccia priva di morale, che non crea nulla e raccoglie grandi quantità di pubblicità alle spalle del lavoro degli altri». Google, secondo Porter, tiene i giornali prigionieri, ed è simile a «un boia» che minaccia «i delicati meccanismi che garantiscono la democrazia».
Tutti sono concordi nel sostenere che solo il mantenimento di un elevato standard di qualità potrà consentire ai quotidiani di sopravvivere nel futuro e poiché la qualità costa, è una pessima idea metterla a disposizione gratis. Se i giornali e le agenzie di stampa - sostengono ora gli editori americani - facessero fronte comune contro gli aggregatori di notizie e i motori di ricerca, gli utenti di Internet capirebbero presto la differenza che c’è fra il livello di informazione fornito da un quotidiano e quello di un sito web non più alimentato con articoli rubati.
Ma secondo Tom McPhail, docente di studi sui media all’Università del Missouri, la controffensiva degli editori è partita ormai troppo tardi e la minaccia rappresentata da Internet avrebbe dovuto essere affrontata molto prima. «Se solo pensiamo all’aspetto legale del copyright - ha detto - ci vorranno anni in tribunale prima di riuscire a venirne a capo. I giornali hanno bisogno invece di una vittoria a breve termine, ed è molto improbabile che la ottengano».