Federico Rampini, la Repubblica 8/4/2009, 8 aprile 2009
LA SCOMMESSA DEL 2010
«Un raggio di speranza», annunciano gli esperti della Banca mondiale puntando lo sguardo verso Oriente. «Ci sono segnali che la Cina risalirà a metà di quest´anno, trascinando con sé altre economie», è il loro verdetto. Il banchiere centrale degli Stati Uniti ricorre a una metafora botanica, Ben Bernanke parla di "germogli verdi" che spuntano anche nell´economia americana, come le prime gemme in un giardino stremato da una lunga gelata invernale. I suoi concittadini ci credono? L´ultimo sondaggio Cbs-New York Times dà una maggioranza di ottimisti che scorgono la fine del tunnel. In Europa c´è più prudenza ma qualcuno comincia a cambiare tono. Il governatore della Banca d´Italia Mario Draghi ha parlato di «rallentamento del deterioramento»: come quando, sulle montagne russe, si continua a precipitare ma la traiettoria di caduta non è più verticale. Il commissario europeo agli affari economici Joaquin Almunia ha dato appuntamento a una "graduale ripresa" nel 2010. Sono annunci fondati o è solo una gran voglia di decretare la fine di un incubo già durato troppo? Ci sono davvero segnali concordanti o la schiarita è solo psicologica e finirà in un fuoco di paglia?
A Pechino c´è una leadership convinta del fatto suo: brucerà tutti sul traguardo. Il primo ministro Wen Jiabao lo ripete già da qualche settimana. "Raggiungeremo l´obiettivo che ci eravamo fissati, 8% di crescita del Pil entro la fine dell´anno". Sarebbe pur sempre un rallentamento rispetto al passato (nel 2007 la crescita cinese fu del 13%, l´anno scorso fu superiore al 9%), ma comunque un magnifico scatto in avanti dopo la frenataccia dell´ultimo trimestre 2008 che segnò un "misero" 5,8% di aumento del Pil. Di certo ne va della stabilità del regime. Con 250 milioni di contadini emigrati in città a cercar lavoro nelle fabbriche nel corso degli ultimi vent´anni, e 6 milioni di giovani neolaureati che si affacciano sul mercato del lavoro ogni anno, la Repubblica Popolare si considera in "recessione tecnica" se cresce meno del 7% all´anno, e i suoi leader temono ondate di proteste. Per questo già a novembre, anticipando perfino Obama, Pechino varò una maximanovra da 585 miliardi di dollari di investimenti pubblici. Il decisionismo cinese ha i suoi vantaggi: lo Stato sa spendere a una velocità-record per le grandi opere pubbliche. "Usciremo dalla crisi prima degli altri perché il nostro sistema politico è più adatto a gestire queste difficoltà", ha detto il governatore della banca centrale cinese Zhou Xiaochuan. Finché questi messaggi venivano dalla nomenklatura l´Occidente era dubbioso, e con qualche ragione. Se c´è un regime che ancora crede nelle virtù della propaganda è quello cinese; ma non è detto che basti il "massaggio psicologico" di Wen Jiabao per restituire fiducia al consumatore di Shanghai e all´imprenditore tessile del Guangdong. Da ieri però sull´ottimismo cinese è stampato il timbro ufficiale di credibilità della Banca mondiale, rispettabile istituzione multilaterale con sede a Washington e presidente americano, Robert Zoellick. Il chief economist della World Bank è un indiano, Vikram Nehru, non sospetto di collusioni con Pechino. La sua analisi è netta: «Si accumulano segnali convergenti su quello che sta accadendo in Cina: un diffuso aumento della fiducia. E´ probabile che il momento peggiore stia per finire, che la crescita cinese riprenda forza già a metà dell´anno, per poi consolidarsi pienamente nel 2010. A sua volta la Repubblica Popolare può trascinare l´Asia. A cominciare da quelle nazioni vicine che sono esportatrici di materie prime, come l´Indonesia e la Malesia». Di qui a sperare che la Cina faccia da locomotiva anche per altre parti del mondo, il passo è breve. L´analisi della Banca mondiale è confortata da un segnale inequivocabile che viene dai mercati delle materie prime. Dopo la pesante deflazione che ha depresso tutte le quotazioni, dal petrolio alle derrate agricole, facendo temere il peggio (crolli simili avvennero durante la Grande Depressione degli anni Trenta), ora si percepisce una resistenza. Il rame è risalito del 40% dai minimi di quest´anno. Un mini-boom tutto provocato dalla strategia di accaparramento cinese: è la segretissima Amministrazione di Stato delle Risorse, agenzia del governo di Pechino, che sta accumulando riserve. Cosa spinge i tecnocrati cinesi a fare incetta di rame? Visti gli usi industriali del metallo, è evidente che prevedono un rimbalzo della domanda. E sono ben piazzati per saperlo, visto che le stesse autorità cinesi hanno in mano un volano decisivo per la crescita, con il rilancio delle grandi opere infrastrutturali.
Sulla sponda opposta dell´oceano Pacifico, il chief economist della Goldman Sachs, Jan Hatzius, riprende testualmente l´immagine botanica usata dal presidente della Federal Reserve. «Vedo spuntare i primi germogli verdi fra uno o due trimestri», dice Hatzius. Tra i segnali positivi: da gennaio a marzo i consumi americani sono risaliti dell´un per cento. E a febbraio anche gli ordini di acquisto di beni durevoli da parte delle imprese (macchinari, metalli) hanno avuto il loro primo rimbalzo, dopo sei mesi consecutivi in discesa. A resuscitare un po´ di domanda ci sono dei fattori positivi innegabili: l´energia costa poco rispetto a un anno fa, le manovre di sostegno fiscale cominciano a dare frutti, e la politica del "tasso zero" applicata dalla Fed ha fatto ridiscendere il costo dei mutui immobiliari a minimi storici. Anche in Europa qualcosa si muove, per esempio il mercato dell´auto in Germania sembra reagire positivamente agli incentivi governativi. Unione europea e Stati Uniti sono accomunati dall´apparente "convalescenza" di quello che fu il grande malato all´origine di questa crisi: il sistema bancario. Alcuni istituti di credito italiani hanno annunciato risultati migliori del previsto. In America ci sono perfino banchieri che hanno cominciato a restituire gli aiuti di Stato ricevuti nei mesi scorsi; forse lo fanno per sottrarsi alle restrizioni sugli stipendi, ma è un buon segno che se lo possano permettere. Le Borse, prima di tornare a scendere nelle ultime due sedute, avevano recuperato quota rispetto ai minimi di inizio marzo. E´ un segnale inequivocabile secondo Jonathan Coleman, gestore di uno dei più grandi fondi d´investimento americani, Janus Capital: «La storia dimostra che la Borsa si riprende in anticipo rispetto all´economia reale». Ma i mercati finanziari possono prendere degli abbagli clamorosi. In mezzo alle crisi più gravi non è raro che ci siano delle fiammate speculative al rialzo. Sono "False dawn", le false albe, nel gergo di Wall Street. Dopo il crac del 1929, mentre la Grande Depressione era ancora agli inizi, nel 1932 ci furono diversi mesi consecutivi di euforìa in cui Wall Street risalì del 100%.
I motivi per dubitare della schiarita attuale non mancano. Ieri Wall Street ha avuto una ricaduta per le nuove voci di bancarotta della General Motors. Il Fondo monetario internazionale ha annunciato l´ennesima stima al rialzo sull´ammontare di "titoli tossici" ancora in circolazione: 4.000 miliardi di dollari. L´idea che la Cina possa fare da locomotiva per la ripresa della nostra industria sembra ignorare che il suo modello di sviluppo si è fondato per trent´anni sull´export. In quanto al sondaggio sullo stato d´animo degli americani, va letto in filigrana: esprime una solida fiducia nell´operato di Obama, ma al tempo stesso il 70% degli intervistati teme che "qualcuno della propria famiglia perda il lavoro nei prossimi 12 mesi". A marzo i licenziamenti in America sono stati 663.000. Cinque milioni dall´inizio della recessione. Finché dura l´emorragìa di occupazione, secondo Dean Baker del Center for Economic and Policy Research di Washington, «non avremo toccato il fondo».