Alberto Papuzzi, La stampa 7/4/2009, 7 aprile 2009
ADRIANO OLIVETTI UN IDEALISTA CONTRO I PARTITI
Nel 1952 a Chicago Adriano Olivetti incontra un gruppetto di professori universitari - scienziati sociali, politologi, economisti - ai quali spiega il suo pensiero politico nello stile un po’ timido e nervoso che gli è proprio. Uno degli invitati arriva in ritardo e chiede a un collega di riassumergli che cosa avesse detto l’ospite italiano: «Ha appena finito di spazzar via i partiti politici», si sente rispondere. L’episodio è stato raccontato da un olivettiano doc come Franco Ferrarotti: è rivelatore dell’antitesi totale e rivoluzionaria che l’imprenditore di Ivrea rappresentava rispetto al sistema politico del nostro Paese. Spirito religioso diviso fra due capisaldi della cultura cattolica come Maritain e Mounier, uomo d’impresa propugnatore di un’etica del lavoro ma consapevole dei limiti insiti nel sistema fordista, comunitarista democratico con un profondo radicamento negli ideali federalisti (a partire dal pensiero di Carlo Cattaneo), il rapporto di Adriano Olivetti con la politica è nella forza irriducibile di una utopia rinnovatrice. questa a spazzare via anche i partiti.
Ma colui che viene considerato l’imprenditore illuminato per eccellenza era anche un personaggio politico? Si può rintracciare nella sua esperienza e nei suoi scritti una visione politica sia teorica sia pratica? Interrogativi che ricevono una risposta di quasi cinquecento pagine nel denso saggio Costruire le istituzioni della democrazia (Marsilio) di Sergio Ristuccia, che è stato segretario generale della Fondazione Adriano Olivetti e oggi è presidente del Consiglio italiano per le Scienze sociali. Il libro affronta con impostazione scientifica una materia in larga parte inedita, al cui centro c’è un’opera fondamentale per cogliere il pensiero olivettiano: L’ordine politico delle Comunità, che Adriano scrisse in un anno e mezzo, fra il 1944 e il 1945, in terra elvetica, sospinto dalla necessità di contribuire alla discussione sulla costituzione democratica che l’Italia avrebbe dovuto darsi una volta caduto il regime di Mussolini. Nelle prima parte il libro di Ristuccia riproduce e commenta il testo dell’opera, quindi presenta l’Olivetti politico e scava nella sua idea di democrazia.
Il risultato è il profilo di un riformista così impetuoso e rigoroso da restare inascoltato. Negli anni cinquanta la sua visione della politica italiana era straordinariamente anticipatrice: vedeva la crisi della classe dirigente, denunciava il rischio di partiti pigliatutto, proponeva l’istituzione di scuole di politica, riteneva il federalismo complementare alla democrazia, richiamava la centralità del progresso tecnologico. Era l’uomo di un’altra frontiera. Alla morte prematura (nel 1960 a soli 59 anni) la sua fu appunto l’eredità di un utopista.
Il ritorno in scena - forse non a caso in una fase di crisi - di Adriano Olivetti come protagonista di un rinnovamento politico è oggetto anche del saggio Il sole in tasca (Mondadori) di Sandro Bondi, studioso e scrittore di storia religiosa, già portavoce di Silvio Berlusconi, oggi ministro per i Beni culturali, il quale propone un audace parallelo tra il fondatore del Movimento di Comunità e il fondatore di Forza Italia, tra l’imprenditore celebre per il design della comunicazione e quello famoso per l’impero televisivo, tra l’uomo che volle un’architettura d’avanguardia per fabbriche e biblioteche e quello che costruì Milano Due. Il paragone - già prospettato nel pamphlet Tra destra e sinistra (2004) - non deve troppo sorprendere: infatti Adriano è diventato non soltanto una leggenda dell’imprenditoria bensì un classico. Incarna un ideale del capitano d’industria. Ed è con i classici, con le leggende che si pratica il gioco dei confronti e dei rimandi. La materia non manca.
Sia Olivetti sia Berlusconi, in epoche diverse, l’uno misurandosi con una società divisa in classi l’altro esprimendo i ceti medi, sono affascinati dalle sfide della contemporaneità. Con una comune passione per le novità della comunicazione. Sono entrambi, secondo Bondi, due «irregolari», che contestano gli ambiti in cui operano, il primo rispetto alla cultura del fordismo, il secondo rispetto alla Prima Repubblica. Il libro mette in luce il ruolo di talent scout svolto da Olivetti: «Amava selezionare, scovare, scegliere gente giovane e di talento» (basta pensare a Pampaloni, Giudici, Soavi, Volponi…). Stessa strada battuta dal Cavaliere. Vengono a galla anche le differenze: «Il profitto non riempiva la testa di Olivetti, questo è certo», riconosce Bondi. Ma il punto d’arrivo è l’idea che i due - per quanto diversi - siano entrambi portatori di un loro disegno utopico: se Olivetti valorizza le minoranze virtuose, «Berlusconi è un uomo che sa "sognare"». Tuttavia, Il sole in tasca, lanciata questa suggestione, si ferma sulla soglia di una questione chiave: l’Ivrea di Olivetti è il teatro di una utopia che mette in mostra un futuro alternativo, nel lavoro, nella società, nella politica, nell’urbanistica, ma non riesce a realizzarlo. Il comunitarismo olivettiano è destinato al fallimento. I progetti di Adriano sono così utopici da conoscere la sconfitta. Invece il Cavaliere realizza sempre i suoi sogni, dall’impero delle tivù alla discesa in campo. Se la sua è l’utopia del successo, resta ancora una utopia?