Stephen Jay Gould, La stampa 7/4/2009, 7 aprile 2009
L’INCESTO TRA LOLITA E LE FARFALLE
Nella vita di Nabokov, nessuna passione arse più a lungo, o fu più intensa, del suo amore per la storia naturale e la tassononia delle farfalle. Cominciò fin da bambino, incoraggiato dal tradizionale interesse per la storia naturale allora vivo fra i segmenti più abbienti dell’intelligentsia russa.
In un’intervista rilasciata nel 1962, Nabokov affermò: «Una delle prime cose che abbia mai scritto in inglese fu un articolo sui lepidotteri, quando avevo 12 anni. Non lo pubblicarono perché la farfalla di cui parlavo era già stata descritta da qualcun altro». Nel 1966, ricorrendo a una bella metafora entomologica, Nabokov parlò dell’incanto provato da bambino, dell’entusiasmo durato senza soluzioni di continuità per tutta la vita e del rimpianto per il fatto che la realtà politica gli avesse precluso la possibilità di lavorare di più sulle sue farfalle: «Se la Rivoluzione non fosse andata come è andata, penso che l’attività entomologica mi avrebbe assorbito di più».
Nabokov lavorò ad Harvard fra il 1942 e il 1948, anno in cui accettò una cattedra di letteratura alla Cornell University. Nel suo campo della sistematica degli insetti era un professionista riconosciuto e stimato. La ragione spesso addotta per attribuire a Nabokov uno status da amatore o anche solo da dilettante deriva semplicemente dall’ignoranza delle definizioni di «professionismo» accettate in questo campo.
In primo luogo, fra i principali esperti di vari gruppi di organismi, ve ne sono sempre stati molti che possiamo considerare «amatori» nel senso letterale e positivo del termine, intendendo cioè che le loro conoscenze senza pari sono ispirate dall’amore per la natura e che essi non ricevono una paga adeguata per il loro lavoro. In secondo luogo - purtroppo - un impiego mal remunerato e inadeguatamente riconosciuto in termini di titoli accademici è sempre stato de rigueur in questo campo. Il fatto che Nabokov lavorasse per una paga esigua e con il vago titolo di «research fellow», invece che con la nomina di professore, non implica la mancanza di uno status professionale.
In terzo luogo non sto dicendo che tutti i tassonomisti regolarmente impiegati possano vantare solide competenze, né che il loro status sia sempre giustificato. In tutti i campi esistono un paio d’imbecilli e qualche anima ottusa, anche in posizioni elevate! Illustri tassonomisti esperti del gruppo di farfalle ampio e complesso su cui lavorava - le «blues» - testimoniano l’eccellenza del suo lavoro e gli riconoscono quello che fra i professionisti è il massimo tributo d’onore: lodano infatti il suo buon «occhio» nel riconoscere le distinzioni (spesso sottili) che delimitano le specie e altri gruppi naturali di organismi. In effetti, come molti studiosi hanno fatto notare, prima che Nabokov raggiungesse il successo letterario convenzionalmente inteso, con la pubblicazione di «Lolita», in base ai classici criteri di denaro guadagnato e tempo investito, sarebbe stato possibile identificarlo come lepidotterologo professionista - e come scrittore dilettante!
Insieme a questa collegiale attestazione di stima dobbiamo anche tener conto del fatto che lo stesso Nabokov continuò a dichiarare tutto il suo amore e la sua consacrazione a ogni aspetto della vita dell’entomologo professionista, esperto di lepidotterologia. In una lettera a Edmund Wilson, Nabokov parla a lungo delle gioie legate al lavoro sul campo e alla raccolta di esemplari: «Provaci, Bunny, è lo sport più nobile del mondo». Sui compiti tradizionalmente considerati più opachi e ingrati - la quotidiana faticosa monotonia del laboratorio e del microscopio - si espresse con ugual passione in una lettera alla sorella: «Sono il custode di queste collezioni assolutamente favolose. Il lavoro che faccio mi affascina, ma mi sfinisce completamente».
A conclusione di questa sezione, dunque, non possiamo certo adottare la prima soluzione al nostro «paradosso della promiscuità intellettuale», sostenendo che l’interesse di Nabokov per l’entomologia rappresentasse solo l’innocua distrazione amatoriale di un hobbista, e che in fondo non gli sottraesse del tempo realisticamente utilizzabile per scrivere un maggior numero di romanzi. Nabokov amava le farfalle non meno della letteratura.
Possiamo forse invocare la seconda soluzione, sostenendo che il tempo perso a fini letterari e dedicato alle farfalle abbia comunque migliorato i suoi romanzi o almeno abbia conferito un carattere di unicità alla sua scrittura? Alla fine suggerirò una risposta affermativa, ma ci arriverò grazie a un ragionamento non convenzionale, che mostra come tutta l’indagine sia stata oggetto di analisi non corrette. Prima, però, devo dimostrare che le due versioni più popolari di questa «seconda soluzione» sono indifendibili e che il paradosso della promiscuità intellettuale dev’essere respinto e riconosciuto come un impedimento alla corretta comprensione delle relazioni esistenti fra arte e scienza.
La maggior parte degli intellettuali vede di buon occhio un dialogo fra i professionisti della scienza e delle arti. D’altra parte, noi diamo anche per scontato che, nella geografia dell’erudizione, questi due ambiti si trovino ai poli opposti e che il contesto di un tale dialogo sia fondamentalmente quello di un contatto diplomatico fra avversari che cercano di capirsi.
Un insieme di stereotipi governa tuttora la percezione di «alterità» in questi due domini. Gli scienziati sono tecnici senz’anima, interessati soltanto ai loro strumenti; gli artisti sono sbruffoni arroganti, illogici e tutti assorbiti in se stessi. Il dialogo rimane una buona idea, ma i due campi, e le personalità che vi sono rispettivamente attratte, restano autenticamente e profondamente differenti. Non ho alcuna intenzione di dar vita a una falsa unione in un’artificiosa celebrazione d’amore. Il magistero della scienza spazia sullo status fattuale del mondo naturale e sullo sviluppo di teorie formulate per spiegare come mai questi fatti e non altri caratterizzino il nostro universo. I magisteri delle singole arti e delle materie umanistiche trattano invece questioni etiche ed estetiche relative alla moralità, allo stile e alla bellezza. Poiché i fatti della natura non possono, logicamente o idealmente, portare a conclusioni etiche o estetiche, su tali criteri i domini devono rimanere formalmente distinti.
Tuttavia, siamo molti ad avere la forte sensazione che una preponderante unità della mente dia vita a una somiglianza più profonda rispetto alla divisione operata dalla diversità delle rispettive materie. La creatività sembra lavorare in larga misura come un tutto coordinato e complesso, quale che sia la diversa enfasi richiesta da materie molto diverse - e se ci limiteremo a sottolineare le distinzioni esterne di queste ultime ignorando l’unità della procedura interna, finiremo per lasciarci sfuggire l’aspetto comune di fondo. Se non riconosceremo gli interessi e le caratteristiche comuni a tutta l’attività creativa umana, non riusciremo a comprendere diversi aspetti importanti dell’eccellenza intellettuale - ivi compresi il tema intellettuale della necessaria interazione fra immaginazione e osservazione (teoria ed empirismo) e il tema psicologico della confluenza di bellezza e fattualità - perché tradizionalmente entrambi i campi tendono a sminuire l’una o l’altra faccia della necessaria dualità.
Inoltre, se vogliamo studiare e comprendere la quintessenza umana alla base delle nostre diverse attività, dobbiamo usare il metodo della «replicazione con differenza». Per ricavare gli universali della creatività umana, io non riesco a immaginare un test migliore dello studio delle profonde somiglianze esistenti nelle procedure intellettuali di arti e scienze.
Nessuno aveva capito la portata di questa unità di fondo meglio di Nabokov, che lavorò come professionista completo in entrambi i domini, mettendo in campo diversi livelli di eccellenza. Nabokov spesso insisteva nel dire che le sue due attività, letteraria ed entomologica, condividevano un terreno mentale e psicologico comune. In «Ada», mentre da un lato uno dei personaggi evoca un comune anagramma per «insect», dall’altro esprime splendidamente l’unicità dell’impulso creativo e la bellezza pervasiva della materia prescelta: «Se sapessi scrivere - rifletteva Demon - cercherei di dimostrare con quanta passione, incandescenza e incestuosità l’arte e la scienza si incontrano in un insetto».
Ritornando al suo tema centrale della bellezza estetica, presente sia nell’esistenza esterna del dettaglio scientifico, sia nella conoscenza interna che abbiamo di esso, nel 1959 Nabokov scrisse: «Io non posso separare il piacere estetico che provo nel vedere una farfalla dal piacere scientifico di sapere che cosa è». Quando parlava della «precisione poetica nella descrizione tassonomica» usava le sue abilità letterarie al servizio della generosità intellettuale. Pertanto, cercava di chiarire quale fosse il terreno comune di questi due universi professionali, e di illustrare le componenti inevitabilmente appaiate di qualsiasi concezione integrata potesse meritare l’etichetta del nostro sogno più ingenuo e più antico: l’ideale biblico di «saggezza». Così, in un’intervista del 1966, Nabokov abbatté il confine fra arte e scienza, affermando che il più prezioso desideratum di ciascun dominio dovesse caratterizzare anche ogni esempio di eccellenza nell’altro - perché dopotutto la verità è bellezza, e la bellezza è verità: «Non esiste scienza senza fantasia, né arte senza fatti».