Chiara Frugoni, la Stampa 7/4/2009, 7 aprile 2009
LA VIA DELLA POVERT PI RADICALE
Francesco morì nel 1226 e fu canonizzato nel 1228. L’ordine conobbe un’espansione straordinaria ma anche gravissime tensioni interne. Bonaventura da Bagnoregio, eletto nel 1257 ministro generale, mosso dall’intento di riportare la pace e di ricomporre i profondi dissidi in merito all’interpretazione da dare al messaggio e alla Regola di Francesco – fra coloro che volevano seguire la povertà più radicale ed attuare alla lettera le parole del santo e coloro che volevano invece ammorbidire ed interpretare entrambe – nel Capitolo generale di Parigi del 1266 stabilì che d’allora in avanti, soltanto alla sua biografia, la Leggenda maggiore, venisse riconosciuto il crisma dell’ufficialità e dell’attendibilità.
Scomparvero così tutti i manoscritti che tramandavano le tre precedenti biografie scritte dal francescano Tommaso da Celano, che pure erano state commissionate da un pontefice, Gregorio IX, e da due generali dell’Ordine, Giovanni da Parma e Crescenzio da Jesi. Scomparvero le biografie non ufficiali, scritte dai compagni non contenti dei ritratti della santità di Francesco, aggiornati via via al successo dell’ordine, che Tommaso da Celano aveva tratteggiato.
Se si riflette al fatto che ogni convento francescano possedeva le biografie del fondatore, non si può non rimanere colpiti dalle dimensioni di questa distruzione, attuata con grande meticolosità ed attenzione: ad esempio la Vita prima di Tommaso da Celano fu recuperata solo nel 1768, la Vita seconda e il Trattato dei miracoli (entrambi dello stesso Tommaso) tornarono alla luce, rispettivamente, nel 1806 e 1899, in rarissimi o unici esemplari. Per molti secoli dunque Francesco fu il Francesco di Bonaventura.
Ma lasciamo le biografie e volgiamoci a Francesco, alla sua voce, ad una sua famosa e limpidissima pagina. Secondo Francesco perfetta letizia non sarebbe l’entrata nell’ordine degli intellettuali più prestigiosi e delle persone più in vista e famose residenti all’estero, a segnalare il successo straordinario dei francescani, né la conversione in massa degli infedeli operata dai frati, evento strepitoso mentre una Chiesa sempre in armi dimenticava la disarmata parola evangelica, o la capacità di Francesco di fare miracoli e di sanare gli infermi, la gioia di essere riconosciuto santo in vita, paragonato agli apostoli. Vera letizia, secondo Francesco, è bussare alla Porziuncola – uno dei luoghi più cari al santo, dove volle morire – in una notte rigidissima, intirizzito e sfinito ed essere scacciato da un proprio compagno, lui, il fondatore, e sentirsi dire: «Vattene, tu sei un semplice ed un idiota, qui non ci puoi venire ormai; noi siamo tanti e tali che non abbiamo bisogno di te /».
Sopportare serenamente il rifiuto della propria famiglia spirituale è per Francesco il raggiungimento della difficilissima virtù della perfetta letizia. Riuscire a rinunciare a tutte le gratificazioni mondane che rivelano via via la loro inconsistenza e vacuità, sopportare la mortificazione profonda degli affetti, come Cristo che perdonò ai compagni il loro sonno sul Monte degli Ulivi e a Pietro di averlo rinnegato, è il faticosissimo cammino che Francesco ancora oggi addita per conquistare la perfetta letizia, per giungere cioè a quella misericordia che un giorno permise al santo di comprendere, accettare e amare perfino il lebbroso. In altre parole, conquistare la perfetta letizia è riuscire a mettere in pratica, alla lettera, il messaggio d’amore del Vangelo.