Jenner Meletti, la Repubblica 7/4/2009, 7 aprile 2009
LA LUNGA NOTTE DI DOLORE DELL´ABRUZZO COLPITO A MORTE
Mostra tutta la città spezzata, con le cupole e i campanili distrutti, i palazzi crollati, le case degli uomini che sembrano colpite dalle bombe. «Può passare, ma stia attento e resti sempre in mezzo alla strada». Si cammina in fila indiana, nella sera dell´Aquila, al centro della strada più larga. Così, se arriva la nuova scossa, puoi evitare i cornicioni che cadono. Nella sera si sentono rombi lontani, e non sai se arrivano dal temporale che si allontana o dal ventre della terra. Guardi l´asfalto, coperto da pietre, mattoni, intonaci, pezzi di marmo, colonnette di balconi antichi. Capisci che stare su questa immaginaria linea di mezzo non serve a nulla. L´altra notte, quando alle 3,32 è arrivata la grande scossa, le facciate delle case si sono piegate come salici ed hanno scrollato a terra tetti, tegole, camini e tutto ciò che avevano sopra. Poi, come elastici, sono tornate al loro posto.
In alcuni luoghi della città dei fantasmi ci sono i rumori delle ruspe e degli escavatori, le parole gridate dai soccorritori. «Silenzio, fermate tutto». Si spengono i motori, gli uomini si fermano, sembrano statue. Forse è stato sentito il lamento di un ferito. Adesso arriveranno i cani, ad annusare. Poi gli uomini solleveranno pietre e pezzi di cemento con le mani, delicatamente, sperando di sentire ancora la voce di un vivo. Ma basta allontanarsi dai posti illuminati dalle fotoelettriche per capire che questo è solo l´inizio della lunga notte dell´Aquila, una notte che non finirà all´alba ma che durerà per mesi e per anni. In via XX Settembre, nel buio, un rumore. una finestra che si apre. Guardi in alto a cercare una luce ma vedi solo la finestra che sbatte, spinta dal vento. Rumori secchi e brevi anche nella grande piazza del Duomo. Cerchi una piazza normale ma vedi soltanto soldati che piantano i picchetti di una tenda militare. Ci sono anche i carabinieri, con il mitra, davanti alla Banca d´Italia. Ci sono i poliziotti, i finanzieri, i forestali, i vigili del fuoco� Tutta gente venuta da vicino e da lontano per portare soccorso e anche per evitare che gli sciacalli si aggirino nella notte. Ma se togli gli uomini in divisa, L´Aquila resta un deserto. Domani, con la nuova luce, le ferite si vedranno meglio. Si potrà cominciare a capire se la città, dopo la grande scossa, sarà capace di trovare la voglia di rinascere.
La disperazione è un urlo che spezza la notte. «Vassilli, Vassilli». A gridare è una donna greca, che cerca suo figlio. Un grande palazzo è crollato, in via Campo di Fossa. Suo figlio è là sotto, sotto sei piani di mattoni e cemento. Accanto alla donna c´è Maria, la fidanzata di Vassilli, che consola la donna poi anche lei si mette a piangere. Sono già 150, i morti da terremoto, e nelle case di quattro piani, ad esempio, sono stati rimossi solo i due piani più alti. I feriti sono più di 1.500, portati in ospedali lontani o in quelli da campo.
La disperazione è nelle facce di centinaia di donne e uomini che, nella tendopoli dello stadio, all´improvviso sono diventati come i profughi che arrivano sui barconi, senza una casa e un letto. Settantamila sfollati troveranno una branda in tenda, una bottiglietta d´acqua, un piatto di maccheroni e due fette di carne servite in contenitori di plastica. Altri troveranno un letto vero, negli alberghi della costa adriatica, tutti requisiti dalla Protezione civile.
Dovrà ricordare com´era, questa città, per riuscire a ripartire. L´Aquila oggi è umiliata, con quei muri sventrati che fanno vedere i letti e le cucine, e i libri sul comodino, e i tegami e mestoli in perfetto ordine accanto al divano spaccato dal pavimento di chi abitava sopra. Era (e senz´altro lo sarà ancora) la città amata da migliaia di emigranti, che subito si sono fatti vivi dall´Argentina, pronti a dare una mano per ricostruire. Donne e uomini lontani che via satellite hanno visto i salici di Onna (stavolta salici veri) sotto l´ombra dei quali erano deposte le casse per i morti. Donne e uomini che hanno pianto quando hanno visto il primo cadavere, coperto da un lenzuolo bianco, messo all´ombra di un cespuglio perché ancora i carri funebri non riuscivano ad arrivare in centro.
La disperazione, nel primo giorno in cui un maglio arrivato dagli inferi della terra ha spezzato una città, ha soffocato quelle troppe domande che da domani dovranno tornare. «Vede questo cemento? Si sbriciola anche con le mani». Sebastiano Marchitelli è capogruppo degli Alpini dell´Aquila e dalle 4 della notte lavora per salvare i vivi e dare sepoltura ai morti. «Vede, si sbriciola. Ho parlato con un anziano, mi ha detto che questo palazzo è stato costruito negli anni ´50. Mi ha detto che allora la sabbia non veniva lavata ed è per questo che tutto si sfalda. Chissà se è vero. Ma ci sono palazzi che resistono e altri che si sono afflosciati, e bisognerà capire perché». Non ci sono più la Prefettura e la Questura, nella città abruzzese. Il 70% del centro storico è, come si dice, inagibile. Vuol dire che non puoi entrare in casa tua nemmeno per prendere un maglione o il portafogli, perché le scale potrebbero cadere, il pavimento potrebbe crollare e i pompieri dovrebbero cercare altre vittime. Il centro storico � ha detto il sindaco � va «evacuato».
Anche qualche lampione è caduto sui sanpietrini di via XX Settembre. Altre luci illuminano gli stendardi che annunciano, per il Venerdì santo, la «Solenne processione del Cristo Morto». «Cristo Gesù passando per la nostra città / benedici le nostre case / e le nostre famiglie». Quando la processione potrà tornare in una città con le case e con la gente, anche il Venerdì santo sarà una festa. Ma a parlare di miracoli, per ora, sono soltanto le cinque suore Maestre Pie Filippini che stanno davanti al loro convitto distrutto. «Due miracoli, sono successi», dice suor Adelaide che ha ancora addosso le ciabatte e una vestaglia rosa. «La statua della nostra fondatrice, Santa Lucia Filippini, è l´unica cosa rimasta intatta nel nostro istituto. E poi, altro miracolo, tutte noi e tutte le ragazze ci siamo salvate. Per fortuna era domenica notte, erano solo sette e non venticinque. Appena fuori - ancora non sappiamo come ci siamo riuscite perché tutto crollava - abbiamo visto altre ragazze nel palazzo qui di fronte, imprigionate sui balconi, che gridavano di paura. Abbiamo chiamato i pompieri e le hanno salvate». Ma adesso, quando il cielo è già nero, aspettano un´auto da Roma. «Vengono a prenderci, dalla casa madre. Andiamo via».
C´è chi non ha aspettato il domani. Un solo bar aperto, nella via centrale, per un caffè da prendere in fretta, pronti a scappare fuori appena la nuova scossa fa tremare il pavimento. Anche una farmacia, nel cuore della città, ha alzato la saracinesca. Siringhe, omogeneizzati, scatole di bende per terra, coperte da grandi pezzi di intonaco e pezzi di scaffali. «La farmacia � dice il dottor Giuseppe Pulcini � è un servizio e non può chiudere. Appena aperta, si è riempita di clienti. Ho venduto soprattutto anti ipertensivi e tranquillanti. E tanti sono venuti a comprare biscotti per bambini, barrette dietetiche, prodotti per il peso forma: non certo per mettersi a dieta, ma non avevano trovato nessun negozio alimentare aperto».
Nelle tendopoli � alcune ancora in allestimento � dopo la cena ci si prepara alla prima notte da profughi. «Se sentirò tremare la terra � dice Domenico Duronio � almeno non avrò paura, come domenica sera, quando sono arrivate le prime scosse. Io l´ho detto a mia moglie Colombina: dormo vestito». Nella notte si sentono ancora le invocazioni della madre di Vassilli. Altre auto lasciano la città. Sembrano fuggire dalla guerra. Alcune hanno parabrezza sfondati, tettucci bucati dai mattoni. L´importante è andare via. Domani, forse, si ricomincia.