Sergio Rizzo, Corriere della sera 7/4/2009, 7 aprile 2009
MANAGER PUBBLICI DA RECORD ONLINE I 23 MILA STIPENDI
Linda Lanzillotta ne aveva fatto la sua battaglia. «Con la Finanziaria del 2007 avevamo ridotto il numero dei consiglieri delle società controllate dagli enti locali, limitando anche i loro compensi. Poi era stata avviata anche la liberalizzazione, ma il progetto si è arenato per le pressioni dei sindaci, degli amministratori locali...», ricorda oggi l’ex ministro degli Affari regionali del governo di Romano Prodi.
Ma a dimostrazione del fatto che pure le migliori intenzioni possono soccombere di fronte alla cruda realtà, ci sono gli ultimi dati pubblicati sul sito del ministero della Funzione pubblica. In Italia ci sono 4.461 società partecipate dalle amministrazioni statali e regionali, a cui si devono aggiungere 2.291 consorzi. Il tutto con 23.410 consiglieri di amministrazioni e rappresentanti negli organi di governo. Sono dati del 2008, e il bello è che rispetto al 2007, anno durante il quale sarebbe dovuta scattare la tagliola, il numero di consiglieri e rappresentanti è aumentato di quasi 4 mila unità: conseguenza della crescita vertiginosa delle società partecipate (erano 3.960) e dei consorzi (erano 2.064).
Nelle scorse settimane la Corte dei conti aveva pubblicato una indagine sulle società pubbliche, che conteneva dati del tutto analoghi. Ma esiste il fondato sospetto che la realtà sia ben più vasta questa: se è vero che nell’elenco mancano molte società partecipate di secondo livello. E nemmeno la pubblicità rappresenta, in teoria, una novità. La banca dati pubblica degli amministratori locali realizzata ora da Renato Brunetta, e alla quale Linda Lanzillotta plaude, era già prevista dalla finanziaria del 2007. Con tanto di compensi e incarichi.
La banca dati è per sua natura «impersonale». Non ci sono, cioè, nomi e cognomi. Che sono tuttavia facilmente desumibili dai bilanci delle società. Una società a caso: la Sorical, ovvero società risorse idriche calabresi, controllata dalla regione Calabria. L’elenco di Brunetta ci dice che nel 2008 il presidente ha avuto un compenso di 112.876 euro. Quell’incarico è ricoperto dall’ 8 giugno del 2007 da Giuseppe Camo, ex deputato della Margherita, cosentino d’origine. Altra società, di nuovo a caso: la romana Trambus, controllata dal Campidoglio. Secondo la lista della Funzione pubblica nel 2008 il presidente ha guadagnato 93.274 euro. Il suo nome, Raffaele Morese, ex segretario generale aggiunto della Cisl nonché ex sottosegretario al Lavoro nel governo di centrosinistra.
Queste retribuzioni possono sembrare elevate, soprattutto se si considera che le presidenze sono incarichi non operativi. Per non parlare di alcune vicepresidenze. Dall’elenco della Funzione pubblica si desume, per esempio, che la vicepresidenza della società esattoriale Equitalia (oggi attribuita al presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua) avrebbe garantito sulla carta nel 2008 un compenso di 265 mila euro. Ma si tratta comunque di cifre che impallidiscono di fronte alle retribuzioni degli amministratori delle società municipalizzate quotate: e pazienza se si tratta di imprese che non operano in regime di concorrenza. La presidenza della municipalizzata emiliana Hera holding, poltrona attualmente impegnata dall’ex manager di Telecom Italia Tomaso Tommasi di Vignano, dà al suo occupante diritto a percepire 334 mila euro l’anno. E che dire di A2A, che ha un presidente del consiglio di sorveglianza (incarico oggi attribuito a Renzo Capra) al quale spettano, secondo l’elenco di Brunetta, 700 mila euro l’anno? Somma vertiginosa (anche se nemmeno il compenso del vicepresidente, 400 mila euro, scherza) ma che è metà di quella che tocca al presidente del consiglio di gestione, Giuliano Zuccoli ( 1 milione 317 mila euro). Impressionante è soprattutto scoprire che i consiglieri di amministrazione di queste società hanno compensi spesso superiori ai 100 mila euro l’anno, assolutamente paragonabili a quelli, per esempio, dei loro colleghi dell’Eni. Com’è possibile?
Sostiene Chicco Testa, ex presidente dell’Acea e dell’Enel, successivamente al vertice di Roma metropolitane: «Spesso queste imprese diventano autoreferenziali, perché l’azionista riesce con difficoltà a svolgere il suo ruolo naturale. Detto questo, anche l’idea di mettere un tetto è un’assurdità, perché significa deresponsabilizzare ulteriormente l’azionista».
Sarà vero. Ma il problema resta: come mettere un freno a questo fenomeno? Secondo la Corte dei conti le imprese locali hanno 255 mila dipendenti e 38 mila persone con incarichi societari di vario genere (consiglieri e altro). Ossia, una ogni 5,6 dipendenti.