Giovanni Caprara, Corriere della sera 7/4/2009, 7 aprile 2009
UN BUCO DI 3,2 KM PER CONTROLLARE LA FAGLIA
Vicino a Parkfield, un piccola cittadina di campagna tra Los Angeles e San Francisco, i geologi americani per tentare di scoprire con qualche anticipo quando potrebbe scatenarsi il Big One, il grande terremoto atteso in California, hanno scavato un buco profondo 3,2 chilometri.
L’impresa, che ha evocato il Viaggio al centro della Terra di Jules Verne, è in effetti la più ardua mai tentata finora per cogliere i segni premonitori di un sisma. Ma non solo.
L’idea diventata dopo un decennio di studi e discussioni il «Safod Project» (dalle iniziali di San Andreas Fault Observatory at Depth) ha preso forma nel 2002, quando i geologi del Geological Survey statunitense hanno cominciato una perforazione sperimentale per mettere a punto la tecnica derivata dalle estrazioni petrolifere. E in tre tappe programmate fino al 2008 la trivella prima è scesa dritta fino a due chilometri e poi ha piegato di 50 gradi proseguendo lungo altri due chilometri per arrivare alla profondità voluta.
Questa articolazione del buco era voluta per potersi avvicinare il più possibile ad una zona nella quale si originano di frequente dei microterremoti prelevando anche dei campioni da esaminare in laboratorio.
L’area di Parkfield dove gli scienziati hanno affrontato l’impresa è adiacente alla famosa faglia di San Andrea, una impressionante fessura nella terra che corre per circa 1.300 chilometri partendo dal confine messicano e salendo verso il nord californiano. La faglia segna la linea di separazione tra la placca pacifica e quella nordamericana le quali si muovono lentamente in direzioni opposte. La lacerazione fra le due grandi aree scatena lungo la faglia i terremoti.
Tutti ricordano San Francisco rasa al suolo dal terribile sisma dell’aprile 1906 (due anni prima di Messina) e cercano in tutti i modi di scongiurare il ripetersi di una tragedia che oggi avrebbe conseguenze ancora più drammatiche. «Ma calcolare quando e dove possa scatenarsi il Big One – dice Mark Zoback della Stanford University e alla guida del progetto Safod – è diventato il Sacro Graal dei geologi americani».
«La perforazione – aggiunge l’esperto – potrebbe rivoluzionare la nostra conoscenza della fisica dei terremoti. Effettuando continue osservazioni dirette all’interno della faglia ad una profondità dove il sisma si origina, saremo in grado di verificare e perfezionare le teorie correnti riguardanti i fenomeni che possono precedere un imminente terremoto».
La trivella quando arriva alla profondità stabilita incontra una temperatura di 135 gradi centigradi, lungo la strada sono distribuiti sensori di varia natura, dai sismometri ai misuratori delle tensioni, ma nello stesso tempo si prelevano campioni di roccia e di fluidi portati in superficie per le analisi. «In questo modo – precisa Zoback – per la prima volta in tempo reale valuteremo i minuti cambiamenti di temperatura, la deformazione delle rocce e le pressioni dei fluidi che si manifestano all’interno della faglia prima che il terremoto liberi la sua energia distruttiva».
Il progetto Safod, parte importante del piano americano EarthScope, è completato in superficie da una rete distribuita in tutto il continente e da 800 stazioni che attraverso i satelliti Gps misurano gli spostamenti del suolo. Adesso, in aggiunta, si prevede la costruzione di un satellite specificatamente dedicato a questa frontiera delle indagini. Lo hanno battezzato InSAR (da Interferometric Synthetic Aperture Radar) e con l’impiego di un radar molto particolare, detto appunto ad «apertura sintetica», sarebbe possibile tenere sotto controllo gli spostamenti di aree molto ampie del pianeta.
«Questo è il giusto obiettivo per riuscire a monitorare situazioni a rischio» spiega Alessandro Coletta, responsabile all’Agenzia spaziale italiana Asi del programma della costellazione satellitare Cosmo Skymed. Già con i tre satelliti italiani finora mandati in orbita e impegnati in vari tipi di indagini, si è potuta studiare anche la situazione geologica determinata dal terremoto nella provincia di Sichuan, in Cina, avvenuto nel maggio dell’anno scorso.
«Il radar di CosmoSkymed – aggiunge Coletta – consente di rilevare le deformazioni del terreno anche minime, di appena qualche centimetro e quindi con controlli continui nel tempo si raccolgono informazioni preziose sulle zone potenzialmente critiche».
Intanto, con la tecnica del telerilevamento spaziale, si sta realizzando pure una ricognizione dettagliata di tutta la penisola. «Telespazio e una piccola società nata dalle ricerche del Politecnico di Milano – spiega il professor Fabio Rocca dell’ateneo milanese – stanno costruendo una mappa con le caratteristiche più a rischio della superficie italiana, che sarà completata entro il 2010».