Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  aprile 07 Martedì calendario

UN BUCO DI 3,2 KM PER CONTROLLARE LA FAGLIA


Vicino a Parkfield, un piccola cittadina di campagna tra Los Angeles e San Franci­sco, i geologi americani per tentare di sco­prire con qualche anticipo quando potreb­be scatenarsi il Big One, il grande terremo­to atteso in California, hanno scavato un buco profondo 3,2 chilometri.

L’impresa, che ha evocato il Viaggio al centro della Terra di Jules Verne, è in ef­fetti la più ardua mai tentata finora per cogliere i segni premonitori di un sisma. Ma non solo.

L’idea diventata dopo un decennio di studi e discussioni il «Safod Project» (dal­le iniziali di San Andreas Fault Observato­ry at Depth) ha preso forma nel 2002, quando i geologi del Geological Survey sta­tunitense hanno cominciato una perfora­zione sperimentale per mettere a punto la tecnica derivata dalle estrazioni petrolife­re. E in tre tappe programmate fino al 2008 la trivella prima è scesa dritta fino a due chilometri e poi ha piegato di 50 gradi proseguendo lungo altri due chilometri per arrivare alla profondità voluta.

Questa articolazione del buco era volu­ta per potersi avvicinare il più possibile ad una zona nella quale si originano di frequente dei microterremoti prelevan­do anche dei campioni da esaminare in laboratorio.

L’area di Parkfield dove gli scienziati hanno affrontato l’impresa è adiacente al­la famosa faglia di San Andrea, una im­pressionante fessura nella terra che corre per circa 1.300 chilometri partendo dal confine messicano e salendo verso il nord californiano. La faglia segna la linea di se­parazione tra la placca pacifica e quella nordamericana le quali si muovono lenta­mente in direzioni opposte. La lacerazio­ne fra le due grandi aree scatena lungo la faglia i terremoti.

Tutti ricordano San Francisco rasa al suolo dal terribile sisma dell’aprile 1906 (due anni prima di Messina) e cercano in tutti i modi di scongiurare il ripetersi di una tragedia che oggi avrebbe conse­guenze ancora più drammatiche. «Ma calcolare quando e dove possa scatenarsi il Big One – dice Mark Zoback della Stanford University e alla guida del pro­getto Safod – è diventato il Sacro Graal dei geologi americani».

«La perforazione – aggiunge l’esperto – potrebbe rivoluzionare la nostra cono­scenza della fisica dei terremoti. Effettuan­do continue osservazioni dirette all’inter­no della faglia ad una profondità dove il sisma si origina, saremo in grado di verifi­care e perfezionare le teorie correnti riguar­danti i fenomeni che possono precedere un imminente terremoto».

La trivella quando arriva alla profondità stabilita incontra una temperatura di 135 gradi centigradi, lungo la strada sono di­stribuiti sensori di varia natura, dai sismo­metri ai misuratori delle tensioni, ma nel­lo stesso tempo si prelevano campioni di roccia e di fluidi portati in superficie per le analisi. «In questo modo – precisa Zo­back – per la prima volta in tempo reale valuteremo i minuti cambiamenti di tem­peratura, la deformazione delle rocce e le pressioni dei fluidi che si manifestano al­l’interno della faglia prima che il terremo­to liberi la sua energia distruttiva».

Il progetto Safod, parte importante del piano americano EarthScope, è completa­to in superficie da una rete distribuita in tutto il continente e da 800 stazioni che attraverso i satelliti Gps misurano gli spo­stamenti del suolo. Adesso, in aggiunta, si prevede la costruzione di un satellite specificatamente dedicato a questa fron­tiera delle indagini. Lo hanno battezzato InSAR (da Interferometric Synthetic Aper­ture Radar) e con l’impiego di un radar molto particolare, detto appunto ad «aper­tura sintetica», sarebbe possibile tenere sotto controllo gli spostamenti di aree molto ampie del pianeta.

«Questo è il giusto obiettivo per riuscire a monitorare situazioni a rischio» spiega Alessandro Coletta, responsabile all’Agen­zia spaziale italiana Asi del programma del­la costellazione satellitare Cosmo Skymed. Già con i tre satelliti italiani finora manda­ti in orbita e impegnati in vari tipi di inda­gini, si è potuta studiare anche la situazio­ne geologica determinata dal terremoto nella provincia di Sichuan, in Cina, avvenu­to nel maggio dell’anno scorso.

«Il radar di CosmoSkymed – aggiunge Coletta – consente di rilevare le deforma­zioni del terreno anche minime, di appe­na qualche centimetro e quindi con con­trolli continui nel tempo si raccolgono in­formazioni preziose sulle zone potenzial­mente critiche».

Intanto, con la tecnica del telerilevamen­to spaziale, si sta realizzando pure una rico­gnizione dettagliata di tutta la penisola. «Telespazio e una piccola società nata dal­le ricerche del Politecnico di Milano – spiega il professor Fabio Rocca dell’ateneo milanese – stanno costruendo una map­pa con le caratteristiche più a rischio della superficie italiana, che sarà completata en­tro il 2010».