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 2009  aprile 07 Martedì calendario

LE SPIE CHE ANNUNCIANO IL SISMA


Gas, acqua nei pozzi, osservazioni dallo spazio «Sappiamo dove succederà, ma non quando»


La previsione dei terremoti? Somiglia ad un miraggio. Ogni tanto qualche ricercato­re pensa di esserci giunto a un pas­so, ma in quello stesso istante tut­to sfuma e si allontana. così da trent’anni, per limitarci al periodo in cui le ricerche sulla previsione si­smica hanno conosciuto un mag­giore impulso. A turno, alcuni feno­meni che effettivamente precedo­no e accompagnano le crisi sismi­che sono stati indicati come effica­ci segnali premonitori. La frenetica agitazione di animali da cortile co­me cani, gatti, polli e mucche. Le variazioni di livello di fluidi sotter­ranei che si evidenziano, per esem­pio, come oscillazioni di acqua nei pozzi. I cupi boati che preannuncia­no la rottura delle faglie per effetto delle tensioni accumulate nella cro­sta terrestre. Saette, globi e altri fe­nomeni luminosi che solcano l’at­mosfera elettrizzata.

Il figlio dell’uranio

E poi c’è il radon, di cui tanto si parla in questi giorni: questo gas fi­glio dell’uranio radioattivo che può emergere dal sottosuolo in quantità superiori alla norma, quando la dinamica interna del no­stro pianeta piega e comprime le rocce fino a spezzarle. Lo stesso ra­don, per inciso, che in alcune aree della nostra penisola, come nel Vi­terbese, diventa problema sanita­rio se penetra e ristagna nei piani bassi delle abitazioni, perché può provocare il cancro ai polmoni.

«L’errore commesso da alcuni ri­cercatori che si sono impegnati ne­gli studi di previsione sismica è sta­to credere che ci fosse una relazio­ne univoca di causa ed effetto fra la comparsa di uno di questi fenome­ni e la scossa di terremoto. E, inve­ce, non si tratta di indizi sufficienti – commenta il sismologo Massi­mo Cocco, dirigente di ricerca del­­l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) ”. Ci hanno provato in tanti a seguire questa strada, col risultato che molte vol­te c’erano i presunti segnali premo­nitori e poi non arrivava il terremo­to, molte altre il terremoto colpiva improvvisamente, senza essere pre­ceduto da alcun segnale, e solo oc­casionalmente si sono verificati in­sieme precursori e sisma».

L’annuncio americano

Gli americani ci hanno sbattuto la testa per primi, annunciando, in alcuni articoli scientifici appar­si all’inizio degli anni 80, che la previsione deterministica, cioè la capacità di predire dove e quando di un terremoto, era dietro l’ango­lo, grazie all’individuazione di preavvisi naturali affidabili. Ma è stato proprio quel grande labora­torio naturale di scuotimenti tellu­rici che è la California a deludere le aspettative.

Poi c’è stata la mobilitazione de­gli scienziati giapponesi, che pen­savano di risolvere il problema con un apparato osservativo tecno­logicamente sofisticato e capillare; ma la loro ondata di studi e di mo­nitoraggi si è infranta contro il di­sastro di Kobe del 1995: oltre 5.000 morti, una magnitudo di 7,3 Ri­chter che si è fatta beffa di molte costruzioni antisismiche e, manco a dirlo, nessun precursore utile ad attenuare il disastro.

Le galline cinesi

Si racconta anche che, presi dal­l’esaltazione maoista, a preannun­ciare l’arrivo di terremoti catastro­fici, ci avevano provato i cinesi ne­gli anni 70, affidando alle guardie rosse l’osservazione minuta del territorio a caccia di presagi di ti­po rurale: galline impazzite, bisce che sgusciano dal terreno e zam­pilli di acqua inattesi. Col risultato che una volta gli è andata bene: ad Haicheng, nel febbraio 1975, quan­do effettivamente fecero evacuare i villaggi prima di un forte terre­moto che spianò il 50% delle pove­re abitazioni. Ma le volte successi­ve non funzionò. Tanto che il 28 luglio 1976 la regione di Tan­gshan accusò oltre 300.000 morti in quello che viene considerato il più distruttivo sisma del secolo. Solo gli abitanti della zona di Qin­glon, dove i segnali premonitori si erano evidenziati, poterono sfug­gire al disastro, a dimostrazione che non si tratta di fenomeni ubi­quitari e costanti.

Ma se hanno fallito le tecnolo­gie di monitoraggio più avanza­te, assieme a quelle più naif, allo­ra che speranze abbiamo di arri­vare a previsioni sismiche alme­no altrettanto efficaci come quel­le meteorologiche, con un sismo­logo che ci sconsigli di dormire per una notte sotto il nostro tet­to a rischio di crolli?

«Le speranze ci sono, eccome’ incoraggia Gianluca Valensise, un altro dirigente di ricerca dell’Ingv, esperto in ’strutture sismogeneti­che’ ”. Esse stanno nel fatto che già oggi siamo in grado di dire con precisione dove si scatenerà il ter­remoto e con quale intensità massi­ma; al quando ci arriveremo a po­co a poco, affinando gli studi».

Valensise si riferisce agli studi che permettono di individuare le fa­glie che generano i terremoti e di ca­pire, attraverso indagini storiche e geologiche, come e quando esse si sono mosse nei tempi passati. «Per esempio la faglia di circa 10 chilo­metri che ha generato il terremoto dell’Aquila rappresentava una lacu­na ferma da tempo immemorabile, posta fra un’altra faglia più a nord che aveva provocato un terremoto nel 1703 e una più a sud responsabi­le di un terremoto nel 1300. Dun­que era legittimo aspettarsi che an­che questa faglia-lacuna, prima o poi, si dovesse attivare».

Gli studi sulle faglie

Ma prima o poi quando? Una ri­sposta meno vaga, promettono sia Cocco che Valensise, potrà venire dall’approfondimento degli studi sulle faglie sismogenetiche, che ci stanno portando a formulare delle previsioni di tipo probabilistico. Si potrà sapere, per esempio, che il terremoto, in quella certa zona si­smica lacunosa, avverrà con la pro­babilità del 50% entro un anno. Non si potrà tenere lontana la po­polazione dalle proprie abitazioni per 365 giorni ma, in un Paese mo­derno e previdente, tanto dovreb­be servire a mettere in sicurezza il territorio con opere di consolida­mento degli edifici più vulnerabili. Quanto al radon e agli altri pre­cursori, suggerisce Cocco, forse bi­sognerà seguire l’esempio dei giap­ponesi che, dopo la mazzata di Ko­be, hanno deciso di rifondare il lo­ro sistema di osservazioni, andan­do a caccia di altri indicatori geofi­sici più efficaci e affidabili; e dei ca­liforniani, i quali hanno lanciato un programma internazionale inti­tolato «Studi collaborativi per la prevedibilità dei terremoti». E a quest’ultimo l’Italia, attraverso l’In­gv, ha prontamente aderito, nella speranza che dal coordinamento degli sforzi internazionali arrivi la soluzione del problema.