Sergio Romano, Corriere della sera 8/4/2009, 8 aprile 2009
L’AGERIA AL VOTO: SEI CANDIDATI E UN SOLO VINCITORE GIA’ GARANTITO
L’esito delle elezioni presidenziali algerine non è in discussione. Il vincitore (probabilmente al primo turno) sarà Abdelaziz Bouteflika. Quando divenne ministro della Gioventù e dello Sport nel primo governo costituito dopo gli accordi franco-algerini del 1962, aveva 25 anni ed era uno dei più giovani e promettenti esponenti del gruppo dirigente del Fronte di Liberazione nazionale. Quando divenne ministro degli Esteri, l’anno seguente, fu per quindici anni, sino alla morte del presidente Boumédienne nel 1978, il volto internazionale dell’Algeria socialista e anticolonialista, modello di sviluppo economico per il grande movimento dei Paesi non allineati. Oggi è l’uomo che è ritornato al potere, dopo una lunga parentesi, alla fine degli anni Novanta, ha chiuso il sanguinoso capitolo della guerra civile, ha promosso la riconciliazione nazionale e gestito al meglio, nel corso di due mandati, una sorta di compromesso storico fra l’Algeria laica degli esordi e quella islamica degli anni Novanta.
La costituzione vietava il terzo mandato, ma un emendamento votato dall’Assemblea parlamentare per alzata di mano, con la sparuta opposizione alcuni dissenzienti del Raggruppamento per la cultura démocratica, ha eliminato l’ostacolo. Vi sono per la verità cinque concorrenti: una candidata trozkista che vorrebbe nazionalizzare nuovamente le imprese privatizzate (Louisa Hanoune), uno dei fondatori della Lega Algerina per i diritti dell’uomo (Ali Fawzi Rebaine), il leader del Fronte Nazionale algerino (Moussa Touati), il leader del partito nazionalista e islamista Libertà e Giustizia (Mohamed Said) e il leader del partito islamico El-Islah (Djahid Younsi).
Ciascuno di essi incasserà, per le spese della campagna elettorale i 15 milioni di dinari (circa 150.000 euro) che la legge assegna ai candidati approvati dal Consiglio costituzionale. Ma la loro candidatura è soltanto il momento di visibilità nazionale che le elezioni presidenziali offrono a un uomo politico. Bouteflika, dal canto suo, ha fatto una campagna elettorale efficace elargendo benefici di varia natura. Ha aumentato il salario minimo nazionale garantito, ha fatto pagare gli stipendi arretrati dei dipendenti delle industrie nazionalizzate, ha creato un fondo per le piccole e medie imprese e ha annullato i debiti contratti con lo Stato dai proprietari di aziende agricole. Ha usato, in altre parole, il denaro ricavato dal grande boom petrolifero degli anni in cui il prezzo del barile oscillava tra i 100 e 150 dollari.
Il problema di Bouteflika non è quindi l’esito del voto, ma, se mai, il numero dei votanti. Accanto a una campagna scontata ve n’è un’altra in cui la posta in gioco è il tasso delle astensioni, qui tradizionalmente elevato. Per garantire una maggiore affluenza alle urne in patria è stato deciso che i soldati voteranno nelle caserme e gli studenti nelle università: una formula che, secondo i maliziosi sospetti di alcuni oppositori, dovrebbe servire a farli votare due volte, nel luogo di residenza e in quello di lavoro. Per garantire la partecipazione al voto degli algerini all’estero, invece, Bouteflika ha incaricato Abdelhamid Si Affif, deputato del Fln ed ex presidente della Commissione Affari Esteri dell’Assemblea popolare, di andare per il mondo a fare opera di mobilitazione. La missione non è semplice. Per i suoi emigranti (forse cinque milioni e mezzo, la maggioranza in Francia, ma soltanto poco meno di 950.000 iscritti nelle liste elettorali)) l’Algeria ha dal 1987 una legge simile a quella dell’Italia. Esistono otto circoscrizioni per otto deputati.
Le due maggiori, naturalmente, sono quelle della Francia del nord e della Francia del sud. Ma gli algerini, soprattutto all’estero, votano poco. Si Affif è andato in Francia e in Canada, li ha esortati a iscriversi nelle liste elettorali, spera che la percentuale dei votanti nelle elezioni presidenziali sia nettamente superiore a quella delle elezioni precedenti. Ma deve misurarsi con un uomo politico che ha fatto in Francia e in Canada, nelle scorse settimane, esattamente l’opposto.
Il «candidato del non voto» si chiama Saïd Sadi ed è il leader di un partito (il Raggruppamento per la cultura democratica) che ha avuto nella politica algerina, con tutte le differenze del caso, un ruolo simile a quello del Partito radicale in Italia. Dopo gli anni della dissidenza militante (cinque volte in prigione), è in Parlamento con diciotto compagni di partito ed è stato in due occasioni candidato alla presidenza della Repubblica. Ma questa volta ha deciso che non valeva la pena di combattere una battaglia perduta e che sarebbe sceso in campo per convincere i suoi connazionali a non votare. Vuole che Bouteflika vinca con una maggioranza esigua, che il piedistallo su cui costruirà il suo terzo mandato appaia fragile e modesto. Per convincere l’opinione pubblica sta facendo una contro-campagna elettorale in cui parla di frode nelle urne, corruzione del regime, metodi polizieschi per ridurre la libertà d’azione degli oppositori.
Le elezioni presidenziali hanno avuto l’effetto di relegare nell’ombra i problemi economici di un Paese in cui la riforma del dirigismo socialista, iniziata alla fine degli anni Ottanta, è stata cauta e parziale. Negli scorsi anni, grazie all’esplosione dei ricavi energetici, il governo ha potuto varare un ambizioso piano agricolo e infrastrutturale, fra cui la costruzione di una grande autostrada litoranea dal confine marocchino al confine tunisino, a cui partecipano anche ditte italiane. Oggi, dopo il crollo del prezzo del petrolio, la situazione è bruscamente cambiata. I ministri sostengono che la crisi del credito non coinvolge l’Algeria («noi siamo al riparo»). Ma è difficile pensare che la stretta creditizia e la diminuzione degli introiti non abbiano effetti negativi su un Paese che deve spendere ogni anno 40 miliardi di dollari per importare dall’estero beni strumentali e di consumo. Vi è il rischio che il governo ceda a tentazioni protezioniste. Un segnale in questo senso è una recente ordinanza sulle imprese con stranieri in cui si pretende che il partner algerino abbia almeno il 51% del capitale. una misura che potrebbe scoraggiare la nascita di quella piccola e media impresa da cui dipende in ultima analisi il decollo dell’Algeria. L’Italia, grande importatrice di gas, potrebbe essere in questa prospettiva un buon partner, forse il migliore dei partner possibili. Nei primi dieci mesi del 2008 le sue esportazioni (macchine per la produzione di energia, motori, tubi, prodotti petroliferi raffinati, macchine utensili) sono cresciute del 62,37% rispetto allo stesso periodo del 2007 per un totale di 2,42 miliardi euro. Sull’aereo di Algeri ho incontrato una imprenditrice milanese che lavora qui da trent’anni e commentava malinconicamente l’ordinanza ministeriale. Ma conosce il Paese e non ha alcuna intenzione di gettare la spugna.