Stefano Bucci, Corriere della sera 8/4/2009, 8 aprile 2009
DA GIBELLINA ALLA NUOVA BALAKOT L’ADDIO AI LUOGHI DISTRUTTI DAL SISMA
Gibellina è un esempio di ricostruzione, ma per Stefano Boeri (architetto e direttore di «Abitare») è un esempio in negativo: « il simbolo della presunzione di cui può essere capace l’architettura italiana ». La cittadina siciliana completamente distrutta dal terremoto del 1968 è stata infatti completamente ricostruita come una new town votata all’arte e all’utopia (con progetti firmati da Gregotti e Quaroni, opere d’arte di Paladino e Melotti), ma rimane una città «morta» (la maggior parte degli abitanti originari vive in altre frazioni). Così morta che per rivitalizzarla è stato presentato, lo scorso anno, un progetto da otto milioni di euro (con finanziamento europeo) da sfruttare entro due anni.
Il modello Brasilia (quello delle new town, le stesse che secondo Massimiliano Fuksas rappresentano «un modello ormai solo letterario che non funziona più») non sembra dunque valere tanto in Italia. Mentre sembra funzionare se si guarda a Oriente. Ad esempio, Balakot, Pakistan, venne distrutta nell’ottobre 2005 da un terremoto che uccise 73mila persone. Ora al suo posto, ma a 22 chilometri di distanza, c’è la Nuova Balakot, un progetto (ancora in corso) partito con un’investimento di 200 milioni di dollari. Ma in Oriente (Giappone compreso) sembra tutto più facile, basta pensare a Kobe, praticamente rasa al suolo: «nei popoli orientali la memoria è quello che si vede e dunque va bene anche ricostruire in stile ». Un modo che consente tempi rapidissimi: Kobe è stata completamente rifatta nel giro di tre anni. Anche San Francisco può essere un esempio riuscito di new town: dopo essere stata devastata nel 1906 da terremoti ed incendi, venne rapidamente ricostruita e nove anni dopo fu in grado di ospitare l’Esposizione Internazionale di Panama e del Pacifico. «Ma anche lì non si volle guardare tanto al passato » spiega Boeri.
Subito dopo il disastroso terremoto del Sichuan (lo scorso anno) il governo cinese emanò rigide linee guide che assicuravano «la priorità alla sistemazione temporanea delle famiglie che hanno perso la propria casa». Ma poi, è ancora Boeri che parla, si è finito per costruire (nel segno della speculazione) ben più redditizi grattacieli: un vizio, questo, assai comune nella Cina dei post-terremoto.