Alessandro Capponi, Corriere della sera 8/4/2009, 8 aprile 2009
RICOSTRUIRE LONTANO. NELLA NEW TOWN
L’idea di una città nuova, tra questa gente devastata dal sisma, non passa inosservata. Berlusconi usa il termine inglese, new town, ma il messaggio che passa è quello della traduzione letterale italiana: e una nuova città qui, in queste ore, significa una nuova speranza, quasi una nuova vita. Tanto che circolano già ipotesi, anche se a dir poco premature, sul luogo: c’è chi dice Coppito, frazione vicino all’aeroporto.
Ma in ogni caso perfino il sindaco Massimo Cialente, allo stremo dopo giorni ininterrotti di dolore e lavoro, perfino lui, primo cittadino del Pd, non se la sente di chiudere, di dire no, di sbattere la porta in faccia agli investimenti. Ha molte perplessità, certo, ma ripete «valuterò», dice che «è da tenere in considerazione, da capire bene».
Le parole del presidente del Consiglio annunciavano «la prima new town del Piano casa» vicino «all’Aquila vecchia». Ma poi che ne sarebbe del centro storico? Si svuoterebbe? Finirebbe per essere abbandonato? Il dibattito fa discutere architetti, urbanisti, ingegneri. E politici, ovviamente: dicono tutti no, o quasi, dai Comunisti italiani all’Udc, dai Verdi al Pd.
Berlusconi ha detto poche parole, l’altra sera: la new town «può essere costruita vicino all’Aquila vecchia, un insediamento da far sorgere accanto al centro storico così da dare continuità alla realtà abitativa e alle radici del posto». L’idea, urbanisticamente parlando, «è vecchiotta’ come spiega uno degli architetti più affermati di questo territorio, il settantaseienne Giuseppe Santoro – e può essere considerata purché nel rispetto della storia, che non può essere né abbattuta né sostituita».
legata alla ricostruzione di Londra, l’idea, dopo la Seconda guerra mondiale, anno 1945. «Sarà anche vecchia – dice il presidente regionale di Ala assoarchitetti, Maurizio Sbaffo – ma le frazioni di questa città sembrano fatte apposta per questo progetto. Di certo, Berlusconi non pensi di venire qui a costruire Milano2: se questo è ciò che intende fare, rinunci.
Se invece l’obiettivo è quello di abbattere e ricostruire le parti degradate, quelle di un’edilizia commerciale e di scarsa qualità, allora se ne discuta».
Il mondo politico ha già cominciato a discutere. Gli ambientalisti di Legambiente hanno bocciato l’annuncio del governo: «Non è il momento per strumentalizzare la tragedia lanciando proclami di new town». L’Udc ripete il concetto, ma con più sarcasmo: «Noi diciamo di no, non vogliamo l’Aquila2». Anche colui che con Veltroni è stato ministro ombra dell’Ambiente, cioè Ermete Realacci del Pd, boccia il progetto: perché, spiega, «costruire una città accanto a quella danneggiata dal terremoto è idea sbagliata. Invece, credo sia necessario ricostruire L’Aquila lì dov’è, dov’era da secoli». Anche i Verdi, con l’ex capogruppo alla Camera Angelo Bonelli, sono critici: « sbagliato pensare a una new town a L’Aquila. Ciò che bisognerebbe fare, senza esitazioni, è rifare il centro storico. Per un motivo semplice: fa parte del cuore della nazione».
E il no all’idea di Berlusconi unisce due realtà lontanissime tra loro, Comunisti italiani e La Destra di Francesco Storace. I compagni la bocciano come «pura e semplice propaganda, niente di più», i neri ribadiscono che «la città deve rinascere nel suo centro storico».
Insomma: chi non è al governo, dice di no. Il sindaco della città è preso dal dramma di questi giorni, e ripete che bisogna «ricostruire, restaurare, consolidare. A noi serve un contributo importante, svariati miliardi. Si discuta dell’idea, la valuteremo». Anche Nicola Amorosi, dirigente del settore opere pubbliche, è perplesso ma non chiude: «Ciò che bisognerebbe fare è girare edificio per edificio, prima di decidere cosa fare. Di certo, le nostre 68 frazioni sono quasi tutte danneggiate... ».
«L’idea della new town è percorribile – dice l’architetto Santoro – ma con quella condizione imprescindibile, rispettare la storia del luogo. Il nostro impianto urbanistico risale all’epoca angioina, ai primi anni del 200. Possiamo anche considerare la proposta di Berlusconi, ma purché essa contenga il necessario rispetto per questa città».
Maurizio Sbaffo non ha dubbi: «Parliamo della new town, approfondiamo, studiamo. Ciò che è fondamentale, però, è che si costruisca, o si ricostruisca, seguendo i criteri più avanzati». La paura è che si ripetano gli errori del passato: «Molti palazzi crollati in questi giorni – allarga le braccia il dirigente del settore opere pubbliche del Comune – erano nuovi, costruiti venti o trenta anni fa. Sono andato a vedere: sono saltate le tamponature tra travi e pilastri...».
Nel dibattito scatenato dalla proposta di Berlusconi interviene anche don Pietro Bez, parroco di Longarone durante il disastro del Vajont, anno 1963: lui ricorda che qualcuno aveva ipotizzato di costruire Longarone altrove, ma altrettanto bene non dimentica «la sollevazione popolare che si scatenò, perché la gente vuole tornare sulle proprie origini, sul luogo dove c’è il ricordo dei morti ».
Invece Roberto Silvestri, l’architetto genovese che ha progettato piazze in molte zone d’Italia, dice sì, lui è favorevole. Ma forse bisognerà attendere prima di capire quale strada sia meglio seguire, bisognerà valutare con attenzione dopo che i lutti di questi giorni avranno lasciato il posto alla voglia di ricostruire. Perché adesso, in queste ore, L’Aquila è ridotta così: «Non sono più agibili le sedi della prefettura, della questura, della Provincia e del Comune, e anche le scuole, non ne possiamo riaprire neanche una». Il sindaco aggiunge anche altre parole, per spiegare il momento: «Non c’è neanche una chiesa agibile per la Pasqua, e a noi servono aiuti, aiuti, aiuti ».