repubblica.it 7/4/2009, 7 aprile 2009
Per il nostro cervello rivolgersi a Dio è come parlare a un amico. Un gruppo di scienziati ha esaminato le reazioni cerebrali di un gruppo di fedeli impegnati nella ricerca di un conforto spirituale attraverso un dialogo con Dio, scoprendo che si attivano le stesse aree di una normale conversazione
Per il nostro cervello rivolgersi a Dio è come parlare a un amico. Un gruppo di scienziati ha esaminato le reazioni cerebrali di un gruppo di fedeli impegnati nella ricerca di un conforto spirituale attraverso un dialogo con Dio, scoprendo che si attivano le stesse aree di una normale conversazione. Cosa che non capita quando ci si rivolge a Babbo Natale. Quando si recita una preghiera a memoria, invece, si attivano le zone adibite alla ripetizione. Lo studio si è concentrato sulla religione cristiana ed è stato condotto da Uffe Schjodt, dell’università di Aarhus in Danimarca pubblicato sulla rivista Social Cognitive and Affective Neuroscience. Gli esperti hanno chiesto ai venti devoti volontari di recitare il Padrenostro o una filastrocca per bambini: in entrambi casi la risonanza magnetica mostra che nel loro cervello si accendono aree associate alla ripetizione. Poi hanno chiesto loro di parlare con Dio, con preghiere personali, o di parlare con Babbo Natale per esprimere i propri desideri sotto l’albero. In questo caso la risonanza mostra che si accendono le aree della conversazione e che, in particolare, quando ci si rivolge a Dio sono attive anche aree della corteccia prefrontale che servono a capire intenzioni ed emozioni altrui, cosa che succede sempre di fronte a un interlocutore in carne ed ossa. Ciò però non avviene quando si parla con Babbo Natale. In base a questi risultati, secondo Schjodt rivolgersi a Dio è come parlare con una persona, mentre Babbo Natale non sprigiona gli stessi effetti perché si è consapevoli dell’aspetto simbolico e lo si considera più un "oggetto", un protagonista di una leggenda.