Giorgio Ruffolo, la Repubblica 5/4/2009, 5 aprile 2009
La letteratura liberista è passata dal tono maggiore, assertivo e imperioso, al tono minore, nostalgico e ammonitore
La letteratura liberista è passata dal tono maggiore, assertivo e imperioso, al tono minore, nostalgico e ammonitore. Ieri affermava perentoriamente la superiorità del modello americano, autoregolato da congegni finanziari sofisticati, su quello europeo, costretto nelle maglie di una regolazione pubblica rozza e invadente. Oggi ci si chiede con ansia quando tornerà il sereno e si invoca lo Stato, tornato necessario, ad affrettare i tempi pagando i debiti e sgombrando subito dopo il campo. Ciò che c´è di costante, nella sonata, è l´accento pedagogico. Lungi dal rileggersi le lezioni fino a ieri impartite, i maestri continuano ad addottrinarci ex cathedra. La diagnosi della crisi fornita da economisti di indubbio valore ma di scarso senso dell´humour è disarmante. Il crollo dei titoli rappresentativi della ricchezza, dicono, non è «credibile». Esso non è affatto dovuto a una diminuzione del valore reale delle attività economiche che rappresentano, ma a un crollo della fiducia che ha paralizzato il flusso della liquidità. Basta quindi che qualcuno, incurante dei segnali fasulli del mercato, ristabilisca la verità, offrendosi di ricomprare quei titoli a un valore ragionevole, non quello stratosferico ante-crisi, né quello miserevole al quale sono caduti, perché le transazioni riprendano e la fiducia ritorni. Qualcuno chi? Ma lo Stato, ovviamente, quello che secondo la vulgata, non era la soluzione ma il problema. Ma non era il mercato autoregolato l´unico strumento rivelatore della verità economica? E non era in base a questa fede cieca che si sono convinti i cittadini a legare le loro pensioni ai valori della borsa? Ora che hanno perso i loro risparmi gli si dice che quei valori sono ingannevoli. E come è avvenuto che quei valori diventassero ingannevoli? Attraverso una colossale inflazione finanziaria, un flusso di liquidità originato dai crediti facili delle banche. Inariditosi quel flusso, si pretende di ristabilirlo ricorrendo ai soldi dei contribuenti. Questo è il senso del piano Geithner-Obama, che si distingue da quello Paulson-Bush per una rappresentazione ipocrita. Si reinserisce liquidità nel sistema riacquistando la spazzatura dei cosiddetti titoli tossici. Ma invece di farli acquistare direttamente dai contribuenti si affida l´operazione a operatori privati assicurandoli dei rischi che assumono con generose sovvenzioni: pagate da chi? ma dai contribuenti: elementare, Watson! Insomma, una crisi originata da un eccesso di liquidità finanziaria è fronteggiata con una nuova immissione di liquidità. Probabilmente, allo stato delle cose non c´è altro da fare. Uno però può pensare: va bene, paghiamo e diamo olio alle macchine. Ma chi ci assicura che non si incepperanno di nuovo? E qui il discorso diventa serio. Ai «restauratori» bisognerebbe fare osservare che l´origine della crisi non è finanziaria, ma reale: consiste in una squilibrata distribuzione dei redditi, che, non volendosi arrestare l´aumento dei consumi americani, ha generato, per alimentare una domanda altrimenti insufficiente, il ricorso a un indebitamento smisurato, annullando il risparmio interno e ricorrendo al risparmio esterno: quello di una Cina che, finora, si è preoccupata di sostenere le sue esportazioni in America più che di migliorare le condizioni sociali del paese. Se è così non basta ridare olio alla macchina. Bisognerebbe riparare la macchina: ristabilendo, per esempio, politiche dei redditi all´interno dei paesi e una disciplina internazionale dei cambi che riequilibri i flussi di risparmio mondiali. Ma per questo è necessaria una visione lunga dello sviluppo (vedi in proposito il bel libro di Tommaso Padoa Schioppa e la recensione di Eugenio Scalfari sulla Repubblica del 26 marzo) e una capacità di coordinamento politico mondiale (una nuova Bretton Woods, come è diventato di moda dire) delle quali, malgrado il frequente cinguettio degli incontri internazionali (G8 G10 G20) non si vede traccia. Poiché una ristrutturazione della macchina così impegnativa sembra altamente improbabile, non rimane che essere ottimisti. Dopo un formidabile «pieno», la macchina ripartirà. Tranquilli, dunque: come diceva Badoglio, la guerra continua. A dire tutta la verità, però, un´altra via per uscire dalla crisi ci sarebbe. L´ha inventata il governo italiano. E´ la via del disarmo ecologico. Anzichè indebitarsi con le banche, ci si può indebitare con l´ambiente: un debito che ha il vantaggio di non dover essere restituito. Si lasci dunque libero campo al cemento. Quand le bàtiment va, tout va.