Ettore Livini, la Repubblica 5/4/2009, 5 aprile 2009
MILANO
Gli italiani guadagneranno forse poco � al fisco nel 2006 hanno dichiarato 18.324 euro pro-capite � ma di sicuro risparmiano moltissimo: il tesoretto accumulato dai nostri concittadini oltrefrontiera, ben nascosto dietro il segreto bancario dei paradisi fiscali, ammonta a circa 550 miliardi. Quasi 300 � stimano le autorità bancarie locali � sono parcheggiati in Svizzera (il via-vai di capitali tricolori genera da solo il 25% del Pil del Canton Ticino). Un centinaio sono blindati nei discreti forzieri del Lussemburgo, una quarantina svernano lontano dagli occhi dell´erario sul lungomare di Montecarlo. Una montagna d´oro pari più o meno a un terzo del debito pubblico, sufficiente per comprare tutte le società quotate a Piazza Affari e restare ancora con 220 miliardi in tasca. Soldi accumulati in decenni di certosini guadagni in nero che nemmeno l´offensiva del G20 contro i paradisi fiscali sembra (almeno per ora) mettere a rischio.
«Le decisioni prese a Londra dai grandi del mondo sui fondi offshore � sintetizza Tommaso Di Tanno, professore di diritto tributario a Siena e a lungo consulente del ministero delle finanze � sono allo stato pura propaganda». C´è una nuova lista di proscrizione dell´Ocse, con quattro nazioni (Uruguay, Costarica, Malesia e Filippine) censurate con il bollino nero per la loro allergia alla trasparenza bancaria. C´è un´area "grigia" di 31 paesi � tra cui i custodi di gran parte del tesoretto tricolore � disponibili a parole a migliorare lo scambio di informazioni. Ma sanzioni vere e proprie non ce ne sono e la strada per tradurre la buona volontà di Berna & C. in fatti (accordi bilaterali e collaborazione fiscale) è tutta in salita. La morale è semplice: la speranza (o il timore, dipende dai punti di vista) di dare un nome e un cognome agli italiani che hanno nascosto i loro soldi all´estero è per ora molto remota. «Per quanto possiamo osservare sul campo � conferma Di Tanno, titolare di Di Tanno & associati, uno dei più noti studi fiscali tricolori � non pare che la gente si stia preoccupando».
Qualcosa però sta iniziando a cambiare. I paradisi finanziari, dopo il faro acceso dal G20, non sono più l´oasi di pace di una volta. E la diga del segreto bancario � fino ad oggi una barriera a tenuta stagna � inizia a far acqua in molti punti. La prima falla è spuntata in Liechtenstein un anno fa. Colpa di un ex-impiegato della Lgt che stufo di sbarcare il lunario con il suo stipendio da lavoro dipendente ha venduto per 4,5 milioni agli 007 del fisco tedesco l´elenco dei 4.500 clienti della finanziaria del Granducato (tra cui, guarda caso, 390 italiani). Sembrava un incidente di percorso. Invece, qualche settimana fa, è accaduto l´inimmaginabile: la banca svizzera Ubs � una delle cattedrali del segreto bancario mondiale � ha girato al Tesoro Usa i nomi di 750 americani che avevano aperto conti neri nelle sue filiali elvetiche per non pagare le tasse. Una decisione una tantum, si sono affrettati a spiegare a Berna, necessaria per non perdere la licenza bancaria negli Stati Uniti. Rassicurazioni che però non sono bastate a tranquillizzare i milioni di correntisti stranieri della confederazione, convinti fino ad allora � grazie alla proverbiale riservatezza elvetica � di essere invisibili al fisco dei loro paesi.
I primi scricchiolii del muro di segretezza che circonda i 550 miliardi italiani all´estero (oltre il 60% sono lombardi) non sono sfuggiti agli occhi attenti di Giulio Tremonti. Difficile, lo sa anche lui, che le minacce un po´ donchisciottesche del G20 siano sufficienti a convincere i titolari di questi conti a un rimpatrio di massa. L´insicurezza di queste settimane riporta però d´attualità una scorciatoia che il ministro dell´economia conosce bene: lo scudo fiscale. Lo stesso Tremonti ha varato due volte, nel 2001 e nel 2003, "sanatorie" per i depositi in nero oltrefrontiera, garantendo una tassazione "light" al 2,5% a chi li regolarizzava rendendoli visibili all´erario. Risultato: in Italia sono rientrati circa 78 miliardi (il 58% dalla Svizzera, il 14% da Lussemburgo, il 10% dalla Germania) con un incasso per lo stato di 1,95 miliardi.
Oggi la tentazione di un tris, approfittando del clima d´incertezza che circonda i capitali offshore, è altissima. Tanto più che molti degli imprenditori titolari di conti esteri, visto il giro di vite sul credito delle banche, hanno già iniziato alla chetichella a far rientrare i loro soldi (i sequestri di capitali ai valichi con la Svizzera stanno crescendo a vista d´occhio). «Non mi stupisco che si facciano al riguardo ragionamenti tecnici � ha ammesso Tremonti � ma parlare di un terzo scudo è ancora presto». «La strada migliore per mettere le mani su quei soldi sarebbe obbligare le banche offshore a denunciare nomi e movimenti degli stranieri che aprono conti con loro, pena l´isolamento internazionale � conclude Di Tanno � La sanatoria? un´idea. Ma certo non all´aliquota bassissima degli altri scudi. Sarebbe un regalo ha chi ha nascosto i soldi all´estero». Il Belgio ha imposto una tassazione del 9%. La Germania ha ipotizzato nel 2005 un´aliquota al 25%. Se il tesoro offshore del Belpaese fosse regolarizzato alle condizioni pur sempre "soft" fissate da Bruxelles, l´incasso per lo stato sarebbe di 50 miliardi.