Angiola Codacci-Pisanelli, L’Espresso, 9 aprile 2009, 9 aprile 2009
ANGIOLA CODACCI-PISANELLI PER L’ESPRESSO 9 APRILE 2009
Al rogo lo Strega Conflitti d’interessi. Scambi di favori. Clientelismo. Radiografia di quello che è stato il più importante premio letterario italiano. E che rischia di saltare
Strega, Strega, cosa non si fa per te. C’è il fine intellettuale che si copre di ridicolo riservando occhiate malandrine e calde strette di mano a tutte le vecchiette che potrebbero votarlo. Il giornalista culturale in cerca di gloria che si precipita all’ospedale per chiedere il voto al conoscente appena riemerso dal coma.
E il beniamino del pubblico a caccia di allori che si fa passare per moribondo, e fa circolare false radiografie dei polmoni che lo danno per spacciato. Gli ha portato bene: ha vinto il premio Strega, ed è ancora vivo e vegeto. Gli editori confidano facilmente le malefatte degli scrittori: ma non è colpa di tragicomiche bassezze come queste se il premio letterario più ambito d’Italia è sempre più screditato. Quest’anno, le chiacchiere intorno al sessantaduesimo Premio Strega, che verrà assegnato il 2 luglio nel Ninfeo di Villa Giulia e in diretta tv, sono iniziate mentre infuriava la tempesta giudiziaria che ha travolto il Grinzane Cavour.
Intorno al premio romano non c’è mai stato sospetto di soldi facili o di malversazioni. La spesa dichiarata è di 250 mila euro, coperti solo in piccola parte da fondi pubblici e per il resto dall’azienda Strega e dalla Lottomatica: niente rispetto alle cifre che giravano intorno a Giuliano Soria. Malgrado questo c’era nell’aria una richiesta di maggiore trasparenza anche per il premio romano: e invece. A lanciare la prima pietra (per la cronaca) è stato un blog de ’L’espresso’, Culture club di Mario Fortunato: vince Daniele Del Giudice. Anche se le candidature ufficiali arriveranno il 13 maggio, anche se il libro di Del Giudice, ’Orizzonte mobile’ (Einaudi), non era ancora in libreria. Apriti cielo. Non perché Del Giudice non meriti il premio, anzi.
Ma perché, se vincesse lui, il gruppo Mondadori-Einaudi si aggiudicherebbe la vittoria per il terzo anno consecutivo. Dopo Niccolò Ammaniti nel 2007 e Paolo Giordano nel 2008, un’altra vittoria al più potente gruppo editoriale. Con buona pace di quel manuale Cencelli che per anni ha mantenuto un equilibrio tra le vittorie del gruppo di Segrate e quelle della Rcs, con Rizzoli e Bompiani. Di più: mentre Rizzoli e Bompiani tendono a presentare un solo romanzo, Einaudi e Mondadori ne presentano due e poi fanno gioco di squadra. "L’anno scorso 50 voti dei 72 avuti dal candidato Einaudi sono passati a Mondadori. E in cambio il libro di Diego De Silva ’Non avevo capito niente’ ha avuto un nuovo lancio pubblicitario subito dopo lo Strega", spiega una persona che conosce perfettamente quel che succede dietro le quinte.
Il problema insomma non è che vinca Del Giudice, che è uno dei migliori scrittori italiani. Ma che quest’anno il premio tocca alla Rcs. E tocca a un libro che pare sia stato affidato all’editore con la promessa di diventare un candidato ’sicuro’ allo Strega: ’Il bambino che sognava la fine del mondo’ di Antonio Scurati (Bompiani). Che negli stessi giorni in cui partiva la polemica, veniva lanciato con anticipazioni e interviste in contemporanea su una decina di quotidiani e attraverso comparsate in tv.
E qui si torna al controllo dei voti da parte degli editori, che è avvenuto finora nel modo più semplice: gli addetti stampa raccoglievano le schede dei ’propri’ votanti - autori, traduttori, curatori presenti, passati o aspiranti - e le consegnavano agli scrutatori. "Come faccio a dire di no al mio editore quando mi chiede la scheda per far vincere un autore della mia stessa scuderia?", chiede un giurato in cerca di comprensione. Da quest’anno il presidente Tullio De Mauro ha annunciato che ogni votante dovrà consegnare la propria scheda. Di persona o per posta, come prevede lo statuto. Una rivoluzione? Non proprio: "Sai che problema?", commenta ridendo una persona ben informata, "invece di consegnare il mazzetto di schede nella sede della Fondazione Bellonci, gli uffici stampa le spediranno per posta. Sarà solo la fatica di preparare una cinquantina di buste".
Sarà per questo che gli editori non sono rimasti colpiti dall’innovazione. Minaccia di non partecipare il gruppo Mauri Spagnol, che pure avrebbe un candidato forte in Andrea Vitali (’Almeno il cappello’), e anche Feltrinelli, che accarezzava l’idea di presentare Simonetta Agnello Hornby (’Vento scomposto’). Sarebbe una rinuncia clamorosa: malgrado le critiche, ogni anno gli editori sono pronti a investire una gran quantità di denaro nella corsa allo Strega. Quantificare i soldi è impossibile: non solo cene, trasferte di scrittori, ma soprattutto le promesse di libri inutili, pubblicati solo per avere voti. "Non sa quanti giovani autori si presentano da un grande editore con un manoscritto e la promessa di portare voti", conferma la solita persona bene informata. E viene in mente la battuta di Cesare Garboli, che a un amico che diceva di volersi dimettere dalla giuria rispose: "Sei pazzo, quella scheda vale oro!".
L’impressione è che lo Strega stia alla società culturale italiana come il Palio alla città di Siena. Chi ama il Palio dice che la corsa non sarà onesta, ma è il culmine di una preparazione che dura tutto l’anno. Allo stesso modo la premiazione del Ninfeo è il culmine di un malcostume di una società culturale per la quale lo scambio di favori e il conflitto di interessi sono all’ordine del giorno. "Noi abbiamo proposto che i votanti vengano estratti a sorte ogni anno", racconta Stefano Mauri, presidente del gruppo Mauri Spagnol, a cui fanno capo Garzanti, Longanesi, Guanda: "Così gli editori non potrebbero sapere su chi fare pressioni". Obietta il giurato in cerca di comprensione: "Ma le schede sono numerate, quindi si potrebbe dopo scoprire chi ho votato".
Comunque basta vedere l’elenco dei votanti per capire molto. La lista degli Amici della domenica è segreta come una lista massonica "per proteggere i giurati dalle pressioni degli editori". Ma gli editori ce l’hanno: sono loro a spedire i libri da leggere e votare ai giurati. In quell’elenco, c’è la crema dell’intellighenzia, d’antan (poche le new entries). Il vero problema? "I giurati si dividono in tre categorie", dice Mauri: "Gli incorruttibili: ne esiste uno, secondo De Mauro, ed è Andreotti. Poi ci sono quelli che vorrebbero votare seriamente ma vengono bersagliati dalle pressioni di candidati ed editori. E infine quelli che sommergono gli editori di richieste in cambio del voto. Tipo: voto per il tuo autore ma tu pubblichi il libro di mia sorella".
L’organizzazione del premio e l’aggiornamento della lista dei giurati sono nelle mani di un comitato direttivo presieduto da De Mauro. Gli altri dirigenti del premio non si capisce bene con che criterio siano stati scelti: si incontrano diversi linguisti ma nessun docente di letteratura, e ci sono gli inossidabili come Fabiano Fabiani e Antonio Maccanico, oltre al neo amministratore delegato di Acea Marco Staderini. La gestione pratica è nelle mani di Stefano Petrocchi, coordinatore della fondazione, allievo di De Mauro che ha in pratica ereditato il ruolo di Anna Maria Rimoaldi, ’la zarina’, scomparsa due anni fa, e direttrice del premio dopo la fondatrice Maria Bellonci. Ah, la zarina: lei sì che ci sapeva fare. Chi si oppone allo strapotere della Mondadori rimpiange le sue non limpide politiche di controllo del voto.
La Rimoaldi aveva una cinquantina di fedelissimi pronti a votare all’ultimo momento come voleva lei, e li buttava ora su questo ora su quel libro in modo da bilanciare il potere degli editori. Non era corretto, ma il fine giustifica i mezzi, e il fine era il prestigio del premio. Un prestigio che poi faceva vendere le copie del libro. "La vittoria vale 40 mila copie, ma poi si rimette in moto il passaparola e si arriva a 150 mila", dice Mauri. Con la morte della Rimoaldi, l’equilibrio si è rotto: l’aver affidato il premio a una persona lontana dai magheggi come De Mauro rischia di avere l’effetto opposto a quello sperato: non il premio più autorevole, ma monopolizzato dal gruppo più potente. Tanto che in molti si aspettano cambiamenti clamorosi: che i due vincitori annunciati (Del Giudice e Scurati) si ritirino, o che il premio si autosospenda per un anno, per trovare un modo per garantire davvero un voto libero. Che i 400 Amici della domenica abbiano un moto d’orgoglio e decidano di rispondere picche a chi gli chiede la scheda: questo non se lo aspetta nessuno.