Giuliano Foschini, L’Espresso, 9 aprile 2009, 9 aprile 2009
GIULIANO FOSCHINI PER L’ESPRESSO 9 APRILE 2009
La strage annunciata Trecento immigrati scomparsi in mare. Un’altra tragedia che si poteva evitare. La denuncia de "L’espresso" e una indagine che ha svelato la rete dei trafficanti di uomini
Tonni. Li chiamano così: per loro gli immigrati da imbarcare in Libia sono "tonni". Un termine volutamente dispregiativo, che evoca la mattanza, la strage che in questi giorni ha visto scomparire nelle onde del canale di Sicilia 300 persone, restituendo decine di cadaveri. "La pescheria sta portando fra 40 e 50 tonni", avvertono i nuovi schiavisti nelle loro telefonate tra le due sponde del Mediterraneo. Non c’è mai un accenno di umanità: quella che loro trattano è "merce", da sfruttare fino all’ultimo: "Sta arrivando della merce in fabbrica, l’hanno portata stamattina". "Va bene", gli rispondono, "ma vedi se si tratta di buone valigie, rimani lì fino che non ti accorgi che è buona la merce". Le intercettazioni e i pedinamenti dei carabinieri del Ros di Bari hanno dato un volto alla rete oscura che governa l’ultima migrazione, l’ondata di disperati che sfida la morte per sfuggire alla fame. Fabrizio Gatti su "L’espresso" della scorsa settimana ha descritto la rotta che dal Niger spinge verso la Libia colonne di giovani dell’Africa nera. Gli atti dell’inchiesta ricostruiscono la tratta finale, quella più pericolosa: la traversata. E svelano l’incredibile facilità con cui vengono ingannate le leggi italiane sull’immigrazione, spesso severe con i profughi e i disperati mentre diventano occasione di guadagno per i delinquenti.
Bersaglio dell’istruttoria è una gang di stranieri che operava dentro i Centri permanenti di accoglienza: "Faccio uscire gente da Crotone, da Caltanissetta e da Agrigento: questo è il mio lavoro", diceva uno dei capi, illustrando la potenza della sua agenzia criminale: "Lavoro con i centri di accoglienza, quando escono le persone, io le mando via". Avevano uomini in tutta Italia, dalla Sicilia a Milano. Falsari per creare documenti, codici fiscali e permessi di soggiorno. Complici per ricevere i pagamenti e gestire i ricchi guadagni del traffico di uomini. Armi e picchiatori per imporre la paura ai loro clienti-vittime. Perché dopo la fuga c’era la vera prigionia: gli immigrati venivano sequestrati finché i loro familiari in Italia non pagavano un riscatto, presentato come una sorta di risarcimento per le spese extra.
Per la Procura di Bari questa legione straniera di cittadini sudanesi ed egiziani regolarmente residenti nel nostro Paese era "una vera e propria mafia", che aveva copiato violenza e metodi dei boss di Cosa nostra: "Una complessa rete criminale globale transnazionale, che va dall’Africa sino all’Italia, una rete fatta di associazioni a delinquere interagenti e complementari tra di loro", scrive il gip Anna Polemio. Nelle scorse settimane i carabinieri del colonnello Domenico Ruscigno hanno arrestato 14 persone, smascherando il radicamento dei trafficanti di uomini nel nostro Paese: "Ci troviamo di fronte", ricostruiscono gli investigatori, "a bande di criminali che hanno deciso di collaborare e creare una cupola attorno al business dell’immigrazione: un’unica grande associazione a delinquere che è in grado di lavorare nell’area del Maghreb, e cioè in Libia, Egitto e Marocco, e poi naturalmente nel territorio italiano in città come Barletta, Foggia, Crotone, Milano, Roma ma anche in altre località".
La ragione sociale di questa rete schiavista era "gestire sbarchi, fughe dai centri di identificazione e trasferimenti dei clandestini dai luoghi di sbarco alle mete desiderate ". Tenevano la contabilità delle presenze nei centri, in modo da orientare i nuovi carichi di "merce". Nello scorso maggio telefonano al capo della rete in Libia: "Non c’è nessun problema. Hai visto il gruppo a cui avete dato la direzione Lampedusa? Date a loro più benzina e la direzione di Agrigento o Siracusa, non la rotta di Lampedusa ". Paiono disporre di referenti persino a Malta. Spesso hanno preso contatti con la malavita italiana prestando i "loro" ragazzi come manovalanza dello spaccio o per altri lavori sporchi. Ma gli affari si facevano in mare. Il viaggio costava anche 4 mila euro a "valigia", nome in codice per i clandestini. In un caso si trattava di traghettare dei minorenni, probabilmente dei bambini, indicati come "quattro borse da scuola... Piccoli, piccoli": la tariffa allora scendeva a 2 mila.
Racconta Hamed, un diciottenne egiziano diventato cliente e vittima della gang: "In Libia ero stato a febbraio, in un paese vicino Zouara. Sono rimasto lì per 25 giorni e poi sono partito con una nave fatiscente insieme con 375 persone. Abbiamo viaggiato per tre giorni e siamo arrivati a Linosa, poi ci hanno portato a Lampedusa. Per arrivare ho pagato 4 mila euro a un uomo che si chiamava "Haj Mohamed", non l’ho mai visto in faccia perché indossava un copricapo che lasciava intravedere solo gli occhi ". Al momento dello sbarco i clandestini venivano condotti nei Centri, dove scattava la seconda fase.
A leggere i documenti, sembra che la cosca avesse inflitrati in tutti i Cpt. Centrale il ruolo di un sudanese, Azzedine Edris Mousa, alias Salim o Husni - che gli investigatori indicano come la mente dell’organizzazione - che operava soprattutto a Crotone, nel vecchio aeroporto diventato un polo di smistamento delle ondate che approdano a Lampedusa. Spiega Salim a un complice: "Mi sono messo d’accordo, le porto un telefonino dentro il campo oggi. La visita (nel centro) è facile: domani ti visiterò nel campo e ti porterò il telefono dentro. Poi lo consegni ad Amal o lo tieni: l’importante è che parli con quello che vuole uscire e mi contatti. Se Dio vuole non ti faccio mancare di niente...". Da una conversazione molto inquietante, ma per la quale non sono stati trovati riscontri, sembra che l’attività dell’agenzia fosse nota alle forze dell’ordine. Uno degli uomini spiega al boss: "I nuovi usciranno dal campo", poi dopo una frase incomprensibile prosegue: "Mi ha fermato la polizia, mi hanno detto di non fare quel lavoro e che loro sanno tutto di quello che si fa...". I mafiosi africani offrivano anche un aiuto per la richiesta di asilo politico suggerendo cosa dichiarare nell’interrogatorio davanti alla commissione quando e millantando possibili interventi: "Ti direi di farlo dal Darfur: ti aiuteremo, ti darò il nome della zona. E poi in ogni caso vieni qui e ti facciamo l’appello, c’è con noi una avvocata che ti farà l’appello".
Ma la fuga dal centro e il successivo viaggio in treno verso le città del Nord, grazie ai documenti forniti dai falsari - cittadini del Gabon attivi a Palermo - quasi sempre aveva una tappa imprevista. La gang li sequestrava armi alla mano, chiudendoli in casolari o appartamenti abbandonati o addirittura legandoli all’aperto nei boschi. Poi chiedeva un riscatto- rimborso alle famiglie che si trovavano già in Italia e attendevano l’arrivo dei loro cari: tra i 500 e i 700 euro. Si pagava in contanti, con mazzette consegnate a Milano in piazza Macciachini o nei giardini della Stazione centrale. Oppure tramite bonifico Western Union.
Racconta sempre Ahmed, il diciottenne egiziano: "Durante uno dei permessi di uscita dal Centro sono stato avvicinato da un uomo, sudanese di bassa statura, Edris Mousa Azzeddine. Mi ha dato il suo numero di cellulare e mi ha promesso che mi aiutava a fuggire. Ci ha contattato in nove e ci ha detto che ci avrebbe accompagnato alla stazione. Gli ho dato 100 euro per il biglietto ma prima di arrivare mi ha detto che ne occorrevano altri 550, minacciandomi di morte se non glieli avessi dati. Io non ne avevo, li avevo finiti tutti in Libia. Insomma, quando gli ho detto che non avevo soldi mi hanno chiesto il numero di cellulare di mio padre. L’hanno chiamato e gli hanno detto di mandare i soldi con la Western Union, altrimenti mi avrebbero ucciso. Nel frattempo ho seguito il sudanese: sono rimasto rinchiuso in una rimessa di camion, rimanendo due giorni a digiuno. Lì c’erano altri otto clandestini, con i quali non potevo parlare. Mi hanno picchiato perché dicevano che facevo troppe domande. Spesso rompevano la bottiglie e con i vetri minacciavano di sgozzarci". Ahmed poi ha pagato. Appena rilasciato è stato fermato dai carabinieri in treno. Andava a Milano, la terra promessa per migliaia di disperati partiti dall’Africa. Quelli che continuano a morire in mare, forse nelle mani degli stessi scafisti che rifornivano la cosca di Salim il sudanese.