Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  novembre 20 Giovedì calendario

SPESE GIUDIZIARIE, L’ITALIA CAMPIONE

L’Italia si conferma campione di spesa giudiziaria: seconda solo alla Germania, spende quasi due miliardi di euro in stipendi, 455 milioni vanno invece alle spese di giustizia, la metà per il mantenimento dei tribunali, un milione e 650 mila euro per la formazione mentre mancano i dati degli investimenti in nuove infrastrutture. Sono alcuni dei risultati italiani aggiornati al 2006 del rapporto Cepej presentato ieri in Cassazione al presidente Vincenzo Carbone dopo l’uscita del documento in sede europea. La presentazione è stata di Fausto de Santis, presidente della Cepej e direttore generale statistiche del ministero della giustizia. L’organo nato nel 2002 in seno al Consiglio d’Europa per la promozione della qualità dei sistemi giuridici e del servizio pubblico della giustizia ha messo a confronto i sistemi giudiziari dei 45 paesi membri del Consiglio analizzandone caratteristiche, punti di forza e difficoltà individuali nell’organizzazione e innovazione giudiziaria.

Ed ecco i dati: con pm e legali, i nostri tribunali ci costano 70 euro per abitante l’anno mentre senza, ci costano dai 40 ai 60 euro l’anno. Si spende poco per l’assistenza legale gratuita dove non si arriva nemmeno ai 10 euro l’anno per abitante in rapporto a realtà come quelle di Norvegia e Regno Unito pari a 50 o 60 euro per abitante.

 invece «sostanzioso» l’ammontare delle spese di giudizio dove almeno però non siamo i soli: ci fanno compagnia Germania, Austria, Olanda, Polonia, Romania, Turchia e Regno Unito. E se la maggior parte non ha come noi l’obbligo di fissare un limite temporale per il procedimento, ce l’hanno invece tra i 47 esaminati, otto virtuosi tra cui Francia, Finlandia, Norvegia, Moldavia e Macedonia. Una curiosità. In almeno 40 paesi, la maggior parte va pagata una tassa di inizio processo civile ed ecco spiegata la crescente diffusione in almeno 25 paesi di assicurazioni in grado di coprire i costi dell’assistenza legale e più in genere le spese di giudizio. Ma è sempre l’arretrato la vera bestia nera della giustizia italiana: 3.687.965 cause civili pendenti davanti al tribunale civile di primo grado contro i numeri ben più esigui di Germania, Spagna e Russia rispettivamente attestate alle 544.751, 781.754 e 480.000 cause. Solo la Francia si attesta sopra il milione di cause pendenti. Peggio va nel penale dove per i reati più gravi le cause pendenti al 2006 erano di 1.204.151 contro le 70.610 inglesi, le 287.223 tedesche e le 205.898 spagnole.

In molti paesi il pm ha un ruolo specifico di protezione delle vittime di reato e può anche decidere di non dar seguito alla causa, decisione, questa, a cui le parti possono sempre opporsi. I nostri tribunali di primo grado continuano a essere troppi rispetto agli abitanti: 849 per 100.000 abitanti, medio il livello di informatizzazione. Le nostre courts hanno un sistema di valutazione della performance ma gli indicatori sono riferiti sempre all’ufficio e non al magistrato come invece già avviene in Spagna, Grecia, Croazia, Montenegro e Romania. In ben 29 paesi, Italia inclusa, si prevede di riformarne la struttura: nel nostro caso, cita il rapporto, la proposta è quella di ridurre il numero di uffici di giudice di pace e i piccoli tribunali. La selezione dei magistrati è poi un altro argomento dove c’è varietà di risposte: nel 33% dei casi in Europa un magistrato è scelto sia con un esame sia tenendo conto dell’esperienza lavorativa ma ci sono anche due rispettive fette da 25% che si dividono tra un criterio e l’altro.

Gli alti guadagni dei magistrati sono giustificati nel rapporto per la funzione ricoperta e come garanzia contro il rischio di essere soggetti a pressioni che ne mettano a rischio imparzialità e indipendenza.