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 2008  novembre 21 Venerdì calendario

PER COLPA DELLA CRISI 500 MILA RUMENI LASCERANNO L’ITALIA

Colpiti al cuore dalla crisi economica internazionale, quanti lavoratori rumeni saranno costretti a rientrare nel loro paese?
E’ la domanda che si pongono in molti e che dovrebbe provocare dei sudori freddi al ministero del lavoro rumeno. Per i sindacati saranno almeno mezzo milione i romeni che torneranno in patria. Tra questi, i più esposti sono i 200mila che attualmente lavorano in nero. Tanto più che, nel momento in cui i rumeni all’estero riprendono il cammino di casa, molte imprese multinazionali impiantate in Romania hanno annunciato la chiusura delle fabbriche. Nel 2008 il governo di Calin Tariceanu ha organizzato in Spagna e Italia delle vere e proprie "borse del lavoro" incoraggiare gli emigranti a tornare a casa. Le domande sono state pochissime e molti di loro oggi si mordono le dita.
Secondo uno studio spagnolo, sono circa 500mila i lavoratori rumeni che lavorano nella penisola iberica.
Tra loro un po’ meno della metà è in nero. Sempre secondo lo studio, in 130mila diventeranno disoccupati entro la fine dell’anno. Eppure la comunità rumena contribuisce all’economia spagnola per 8 miliardi di euro (lo 0,71 del Pil); e nel 2008 i rumeni sono diventati la comunità straniera più presente in Spagna, intorno al 17% degli immigrati. Alcuni sono giùà rientrati nel loro paese, ma non si conoscono le cifre ufficiali. «Un rumeno disoccupato ha molte più possibilità di trovare lavoro se riesce a montare un affare in Romania con i soldi messi da parte e l’esperienza acquisita in Spagna», spiega una rappresentante dell’associazione "Danubius", situata nei Paesi baschi spagnoli.
Nel primo semestre del 2008 il numero complessivo dei disoccupati in Spagna è aumentato di 500mila unità: «Rumeni e marocchini sono le comunità più colpite poiché lavorano in larga parte nel settore dell’edilizia, il più sinistrato dalla crisi economica», spiega Miguel Pajares, professore all’Università di Barcellona ed esperto di flussi migratori.
Identica situazione in Italia, dove vive un milione di cittadini rumeni. Si tratta di un’immigrazione molto giovane, per una buona metà tra i 25 e i 39 anni. La maggioranza dei maschi lavora nei cantieri edili, le donne come colf e badanti, o persino nell’agricoltura nonostante abbiano in media un livello di studi superiore rispetti agli altri immigrati.
Però, per quel che riguarda i matrimoni misti, i rumeni sono i più integrati tra gli immigrati. L’istruzione dei bambini rasenta infatti percentuali vicine al 100%. Quanto alla pratica della lingua sono tra gli stranieri che la apprendono più in fretta grazie alla parentela linguistica latina comune sia con la Spagna che con l’Italia. Ciononostante, malgrado questa buona integrazione, la comunità rumena sembra tra le più esposte in assoluto alla crisi economica e oggi in molti non hanno altra alternativa che rientrare in patria. Il quotidiano spagnolo El Pais , si dispiace di questa situazione e parla apertamente di «una grave perdita per l’economia nazionale».
Intanto in Romania le domande di riconoscimento dei diplomi conseguiti all’estero sono molto aumentate negli ultimi mesi, a dimostrazione del massiccio rientro delle famiglie andate a cercare fortuna in altri paesi. Il centro nazionale di riconoscimento dei diplomi spiega che si tratta quasi esclusivamente di cittadini che ritornano dalla Spagna e dall’Italia. Ma al ministero del lavoro i funzionari non hanno ancora emanato dispositivi particolari per organizzare l’accoglienza di questi rientri. E dire che appena qualche mese fa, quando la crisi non era ancora visibile, Bucarest lanciava campagne per incentivare il ritorno dei concittadini all’estero provando a convincerli delle opportunità di lavoro che avrebbero trovato in Romania.
Ora il governo e la varie autorità comunali sono presi alla sprovvista: «Ufficialmente non possiamo prendere dei provvedimenti, non possediamo dati ufficiali sui flussi di rientro. Al di fuori di alcune persone che hanno fatto domanda per ottenere le borse di lavoro, non abbiamo avuto altre sollecitazioni», prova a spiegare la ministra del lavoro Mariana Campeanu.