Oscar Giannino, Libero 25/11/2008, 25 novembre 2008
Ieri Giulio Tremonti ha attirato l’attenzione di tutti su un dato che abitualmente viene trascurato
Ieri Giulio Tremonti ha attirato l’attenzione di tutti su un dato che abitualmente viene trascurato. L’Italia infatti è sempre giustamente richiamata alla dimensione del suo ingente debito pubblico, il terzo al mondo senza che noi siamo la terza economia del mondo. Tuttavia, la crisi che colpisce i mercati questa volta non ha a che vedere con tempeste valutarie che derivano dalla debolezza della nostra finanza pubblica, come avvenne negli anni di Amato e Ciampi. La crisi finanziaria nasce dall’esplosione di un modello che aveva dominato nell’ultimo quindicennio, costruito questa volta non sull’eccesso del debito pubblico, come avvenne in Italia negli anni Ottanta, bensì sull’eccesso di consumi privati finanziati a debito, in America, grazie al sostegno del risparmio cinese e asiatico e in cambio dello sbocco sui mercati mondiali delle merci a basso costo di quei Paesi, produttori di beni a costi inferiori dei nostri e finanziatori del deficit commerciale e dei pagamenti Usa. Poiché la crisi colpisce l’eccesso di debito privato (e sancisce la fine di un modello d’intermediazione finanziaria che rivendeva quell’eccesso di debiti con tecniche sempre più spericolate e incontrollate), è corretto riparametrare la ”scala di debolezza” dei diversi sistemi-Paese. Quelli più esposti a rischi di instabilità finanziaria, infatti, questa volta non sono quelli a debito pubblico più elevato. Bensì quelli la cui somma complessiva del debito, pubblico e privato, è più alta. In altre parole non va tenuto conto solo del debito dello Stato e delle pubbliche amministrazioni, il cui rischio d’insolvenza per altro è monitorato con grande attenzione ed espresso da differenziali dei titoli di debito pubblico dei diversi Paesi. Ma a tale ammontare va aggiunta la somma dei debiti delle famiglie e delle imprese, sulla cui valutazione i mercati oggi sono assai più incerti. Riaggiornando in tal senso le graduatorie, si scopre che l’Italia sta messa assai meglio di quanto dica la sola e tradizionale cifra del suo debito pubblico. Se sommiamo il debito pubblico e il debito delle famiglie di alcuni Paesi e rapportiamo questa somma al Pil, scopriamo infatti che il debito aggregato dell’Italia ammonta a circa il 135% del Pil nel 2008. Cioè a un rapporto assai inferiore a quello non solo degli Stati Uniti, dove supera il 170% del Pil, e della Gran Bretagna, che supera il 150%. Ma stiamo meglio anche rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea, come ad esempio la Danimarca, tradizionalmente considerati ”virtuosi” e oggi schiacciati dai mutui ipotecari. Gli studi della Fondazione Edison Se ad essere messa alla prova è la consistenza e solidità dell’economia reale, è a questa che nel suo complesso occorre guardare. La tesi abbracciata da Tremonti è stata elaborata in questi mesi dal professor Marco Fortis, della Fondazione Edison, uno degli studiosi più seri e documentati della geografia produttiva del nostro Paese, e della competitività comparata per diversi rami di business. Siamo il secondo Paese d’Europa dopo la Germania per surplus commerciale nei manufatti non alimentari, ricorda sempre Fortis. L’Italia esporta in Russia come Francia e Gran Bretagna insieme, e nei primi sei mesi del 2008, prima che si manifestasse il rallentamento del commercio mondiale, ha anche superato la Francia nell’export verso Brasile e India. Siamo alla pari con la Francia nell’export di vini verso gli Usa. La sola provincia di Venezia può vantare un numero di pernottamenti di turisti stranieri come l’intera Irlanda, mentre Roma e Bolzano superano entrambe il Belgio. Il maggior numero di pernottamenti di turisti cinesi e russi in Europa l’abbiamo noi. Le ”Quattro A” del made in Italy Se è vero che il made in Italy manifatturiero poggia sulle cosiddette ”4 A” (abbigliamento-moda, arredo-casa, automazione-meccanica-plastica e alimentari-vini) il vero rating dell’Italia dovrebbe essere: ”quadrupla A”, ripete ancora Forts. Infatti, i quattro macrosettori cardine del made in Italy, nonostante la crisi mondiale, nel 2008 sono in grado di realizzare un surplus commerciale con l’estero da record. Pari a circa 120 miliardi di euro, cioè un ammontare che da solo più o meno pareggia la somma del deficit da importazioni d’energia del nostro Paese, e degli interessi che dobbiamo pagare sul nostro debito pubblico. Nessuno, né Tremonti né Fortis né alcuno che abbia anche solo una minima idea di ciò che sta avvenendo sui mercati, può oggi ritenere che queste considerazioni valgano a metterci al riparo dai guai. Ma il punto è che le misure del governo a sostegno di imprese e famiglie devono essere solidamente inquadrate in queste coordinate, che sono quelle dei punti di forza relativi dell’Italia, senza troppo farsi frenare solo dai tradizionali e arcinoti punti di debolezza.