Nei derivati Regioni battute dai capoluoghi di G. Tr, Il Sole 24 Ore, 24/11/2008, pag- 4, 24 novembre 2008
Sono i Comuni capoluogo la classe di enti locali più esposta agli strumenti derivati. Le città, infatti, hanno trattato con gli swap un nozionale di 11,1 miliardi, cioè il 45,6% del loro debito
Sono i Comuni capoluogo la classe di enti locali più esposta agli strumenti derivati. Le città, infatti, hanno trattato con gli swap un nozionale di 11,1 miliardi, cioè il 45,6% del loro debito. In proporzione, si tratta di un’esposizione superiore a quella delle stesse Regioni, alle prese con un nozionale di 16,9 miliardi che rappresenta però il 43,3% del loro debito complessivo. Più caute (si fa per dire) si dimostrano le Province, in cui il rapporto fra nozionale e debito si ferma al 37,5% mentre l’esposizione alla finanza derivata scende al 16,6% (4,1miliardi su un "rosso" complessivo di quasi 25miliardi) nella rete dei Comuni non capoluogo e degli altri enti minori. Dove però, com’è inevitabile, la situazione è molto menoomogenea e data la scarsa rete di protezione che contraddistingue i bilanci più piccoli uno swap che inizia a puntare con decisione verso il basso può rappresentare una trappola senza via d’uscita. Il quadro aggiornato del debito locale arriva dal dipartimento del Tesoro, che ha calcolato l’esposizione dei bilanci di Comuni, Province e Regioni inserendo nel calcolo anche l’indebitamento verso lo Stato (si tratta di circa 12 miliardi di mutui presso la Cassa depositi e prestiti) ma non i debiti a integrale carico di altri settori della Pubblica amministrazione (sono circa sei miliardi di euro). La radiografia scattata da Via XX Settembre al debito locale è utile a indirizzare l’attenzione di legislatore e amministratori, sul presupposto che il tasso potenziale di rischio cresce quando diminuiscono le dimensioni dei bilanci. L’esposizione ai derivati è alta in tutte le classi di enti, ma in questa chiave il primato dei Comuni capoluogo offre elementi di preoccupazione in più. E permette di immaginare che accanto ai casi emersi alla ribalta della cronaca, a partire dai 300 milioni di mark to market negativo incarico al Comune di Milano, siano molti i Comuni alle prese con problemi di quotazioni che la crisi finanziaria ha reso ancora più minacciose. Ad oggi è difficile tracciare un quadro più preciso, perché la cura della trasparenza (introdotta dal legislatore con la previsione di una nota specifica al bilancio e caldeggiata dalla Corte dei conti, che ha chiesto in più occasioni di indicare il mark to market) non ha dato finora risultati di rilievo e anche il monitoraggio a tappeto avviato qualche settimana fa dall’Anci non è approdato (per ora) a un esito pubblico. Intanto il panorama della disciplina sulla finanza locale continua a essere congelato, mentre la lunga attesa dei provvedimenti sembra aver fatto tramontare anche il libro bianco più volte annunciato daAbi, Anci eUpi.