Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  dicembre 18 Giovedì calendario

La Somalia, grande il doppio dell’Italia (ma con una popolazione di poco superiore agli 8 milioni), occupa gran parte del cosiddetto ”corno orientale” dell’Africa

La Somalia, grande il doppio dell’Italia (ma con una popolazione di poco superiore agli 8 milioni), occupa gran parte del cosiddetto ”corno orientale” dell’Africa. La penetrazione italiana iniziò nel 1889 attraverso trattati di protettorato con i sultanati di Obbia e di Migiurtinia, seguiti nel marzo 1891 dall’occupazione militare di El-Ataleh (ribattezzata Itala). Nello stesso mese e nell’aprile successivo furono definiti con la Gran Bretagna, che nel frattempo aveva assunto il protettorato sul sultanato di Zanzibar, i limiti dell’espansione italiana. Dal gennaio 1935 la Somalia Italiana costituì con l’Eritrea la colonia dell’Africa Orientale Italiana (AOI) cui fu integrata nel giugno 1936 anche l’Etiopia. Dopo l’occupazione del Paese da parte delle truppe britanniche (1941), il paese finì sotto amministrazione provvisoria. Il 1° luglio 1960 fu proclamata la repubblica indipendente. La democrazia resistette fino all’ottobre 1969, quando fu assassinato il presidente Shermarke e un colpo di stato portò al potere il generale Siad Barre, poi sostenuto dall’Urss. All’inizio del 1982 il Movimento nazionale somalo (aiutato dagli Stati Uniti) scatenò una guerra civile proseguita per tutti gli anni Ottanta. Il 27 gennaio 1991 il dittatore lasciò Mogadiscio, ma la fuga non fu sufficiente a riportare la pace. Subito dopo la cacciata di Siad Barre i principali capi ribelli, Mohamed Farah Aidid e Ali Mahdi Mohamed, furono entrambi proclamati presidenti. Aidid si stabilì a Villa Somalia, vecchio centro del potere, da dove poteva controllare il sud della città; Ali Mahdi prese il controllo del nord. Gli scontri tra le due fazioni disegnarono una sorta di ”linea verde” che arretrava o avanzava a seconda dei giorni, attraversando a zig zag villa Somalia. Nel novembre 1991 scoppiò una battaglia terribile, responsabile della maggior parte delle distruzioni che si vedono ancora oggi a Mogadiscio. Dopo quattro mesi di combattimenti (30 mila morti), la comunità internazionale impose ai due signori della guerra un cessate il fuoco. Allo stesso tempo, una siccità senza precedenti decimò la popolazione rurale (300mila vittime). Queste due catastrofi, una umana e l’altra naturale, portano all’intervento internazionale. L’operazione ”Restore Hope” iniziò il 9 dicembre 1992. La forza di pace guidata dagli Usa contava su 38.000 uomini, di cui 28.000 americani. Nel maggio 1993 la guida passò all’Onu, diminuirono i soldati statunitensi e arrivarono forze da Pakistan, Nigeria, Francia e Italia. Il 5 giugno 1993 24 militari pakistani dell’Onu furono uccisi nella capitale. Il 3 ottobre 1993, obiettivo la cattura di Aidid, ebbe luogo la cosiddetta ”battaglia di Mogadiscio”: in un solo giorno persero la vita 24 soldati americani, i loro cadaveri furono mutilati e trascinati per le strade (è il dramma raccontato nel film di Ridley Scott Black Hawk Down). Tra i guerriglieri di Aidid c’erano anche dei sostenitori di Al Qaeda e sarebbe stato quello il primo scontro a fuoco tra gli americani e gli uomini di Osama Bin Laden. Bill Clinton decise di ritirare le truppe, nel marzo 1994 l’ultimo contingente americano lasciò la Somalia. Nonostante una comune identità etnica, una lingua nazionale e un’unica religione (l’Islam), la Somalia non riesce a diventare una nazione ed è da anni soggetta alla legge del più forte (capoclan, signori della guerra ecc.). Per oltre un decennio Mogadiscio è stata divisa in settori controllati dalle diverse fazioni, armate l’una contro l’altra per conquistare altre porzioni di città. Fino a quando, nell’estate 2006, le Corti islamiche, un’alleanza di gruppi islamisti neotradizionalisti e radicali, hanno sconfitto ”l’Alleanza per la restaurazione della pace e contro il terrorismo” sostenuta dagli americani (un coacervo di ”signori della guerra”). I mesi di governo dei tribunali islamici, sostenuti da buona parte della popolazione civile, hanno visto il ritorno della polizia (implacabile ma non corrotta), della giustizia (islamica e feroce), delle scuole (coraniche). Conquistata Mogadiscio, gli islamisti hanno cercato di estendere il loro potere al resto del territorio, mettendo fine al governo federale di transizione nato nel 2004 (senza che nessuno l’avesse eletto) e sostenuto dall’Etiopia, da tempo in Somalia con migliaia di uomini. Dopo un ultimatum delle Corti islamiche agli etiopi («lasciate la Somalia o sarà guerra»), il 19 dicembre 2006 sono iniziati gli scontri. Il 24 il premier etiope Zenawi ha dichiarato guerra agli islamici. Le Corti islamiche, senza un vero esercito e soprattutto senza contraerea, si sono arrese dopo cinque giorni. Il 28 dicembre 2006 le truppe filogovernative sono entrate nella capitale. Oggi la Somalia è, caso unico al mondo, un ”non Stato”: mancano polizia, tribunali, riscossione delle tasse e controllo delle frontiere. Tornato al livello precoloniale, il paese è costituitò da cinque ministati (tra cui il Puntland, base dei pirati che imperversano nel Golfo di Aden) più il Somaliland, l’ex Somalia britannica che da anni chiede l’indipendenza. Il governo installato a Mogadiscio, impotente e detestato, controlla solo alcune zone della capitale e qualche località del Paese. Il presidente Abdoulaye Youssuf (79 anni) e i ministri, in lite perenne, vivono barricati nelle colline intorno a Villa Somalia. A detta di molti osservatori, la crisi somala è peggiore di quelle in Darfur (Sudan) e Congo occidentale. Nella regione di Afgoye, a Nord di Mogadiscio, il tasso di malnutrizione raggiunge il 19 per cento contro il 13 per cento del Darfur (la soglia critica per l’Onu è del 15 per cento). Acqua ed elettricità sono vendute da privati che possiedono pozzi e generatori. Le tasse sono state sostituite da balzelli, tangenti, esazioni imposte con il fucile. Tre compagnie telefoniche si sono divise il mercato (con le tariffe più basse dell’Africa) e chi può permetterselo usa telefonini di ultima generazione. Secondo gli esperti di cose africane anche gli etiopi, entrati a fine 2006 con l’appoggio di Washington, sarebbero prossimi alla fuga.