Mario Portanova, Diario, 11 dicembre 2008, 11 dicembre 2008
MARIO PORTANOVA PER DIARIO 11 DICEMBRE
La ’ndrangheta scava il nord. Tra la Brianza e il Varesotto le cosche aprono cantieri e sotterrano rifiuti
Le prime cose che si vedono sono delle lastre in eternit con i bordi frantumati e le micidiali fibre di amianto esposte al vento. La scarpa affonda in una fanghiglia luccicante di puntini blu, verdi, rossi e gialli: sono cavi elettrici sminuzzati. Di fianco incombe una frana di copertoni. Emergono sacchi laceri zeppi di plastica oleosa, contaminata da idrocarburi. Si vedono montagnette di una specie di cenere unta e grigiastra. Dalla terra spuntano tondini ritorti e macerie di demolizioni edilizie. Le analisi del suolo hanno rilevato piombo e cromo. Doveva arrivare tanta altra roba, a giudicare dalla voragine di nove metri scavata di fresco. Tutto intorno, avevano innalzato una barriera di terra lurida, abbastanza alta da nascondere al mondo fuori i segreti di questa discarica abusiva gestita da uomini della ”Ndrangheta: il mondo fuori non è Gomorra ma l’uscita di Desio sulla Milano-Lecco, la superstrada che attraversa tutta la Brianza.
Siamo nel nord del Nord, in una zona che la tradizione vuole laboriosa, benestante, onesta e devota, bianchissima e, poi, berlusconian-leghista. Nel Varesotto, il territorio immediatamente a ovest, reso anch’esso prospero da una piccola imprenditoria di proverbiale operosità, la Lega lombarda ebbe la sua culla. Proprio in questa ricca fetta di Lombardia, formata dal triangolo Milano-Lecco-Varese, le cose stanno cambiando. Mai come in questi ultimi mesi la criminalità organizzata si è fatta vedere e sentire: omicidi, operazioni di polizia, sequestri di patrimoni per decine di milioni di euro. E allarmi per l’infiltrazione criminale nelle grandi opere pubbliche, Alta velocità e Expo 2015 sopra tutto, una pioggia di soldi attesa come una manna perché la crisi si fa sentire anche da queste parti.
Qui, come in gran parte del Nord Italia, la mafia dominante è la ’Ndrangheta. I primi affiliati arrivarono negli anni Cinquanta, poi le ’ndrine crebbero per l’azione combinata dei soggiorni obbligati e dell’immigrazione. Oggi gli investigatori
dispongono di mappe precise. Da Milano, salendo in Brianza, abbiamo: tra Desio, Bovisio Masciago e Cesano Maderno, gli Iamonte-Moscato di Melito Porto Salvo (Rc); a Giussano, Seregno, Verano Brianza e Mariano Comense, i Mancuso di Limbadi, i Cristello di Mileto e gli Iamundo di Joppolo, tutte famiglie originarie del vibonese; e ancora, a Monza, i Mancuso e gli Iamonte, più gli Arena di Isola Capo Rizzuto e i Mazzaferro di Manna di Gioiosa Jonica.
Da Milano, andando invece verso Varese: a Rho, Novate e Bollate, i Mandalari e i Novella di Guardavalle (Cz); a Legnano, i Rispoli di Cirò Marina e i Barranca di Siderno. La provincia di Va¬rese, poi, è spartita tra le famiglie Spinella-Tripepi, Vetrano-Almerico, Fotia e Guzzi. E, tra Lecco e Como, infine, continua a dominare la storica cosca Trovato, il cui padrino, Franco Trovato, sta scontando diversi ergastoli in regime di 41 bis. Un parente di sua moglie,
Francesco Poerio, è stato freddato il 21 novembre a Lecco, mentre stava andando in palestra. Un’esecuzione in pieno giorno, due sicari a volto scoperto armati di pistola, una scena a cui gli abitanti della tranquilla cittadina lariana non sono affatto abituati.
La ”Ndrangheta, per anni sottovalutata rispetto a Cosa nostra e alla Camorra, è diventata una delle organizzazioni criminali più potenti al mondo, specialmente nel traffico di droga e armi. E dopo le grandi operazioni degli anni Novanta, che portarono a centinaia di arresti e condanne in Lombardia, ha seguito la strategia dell’inabissamento. Gli enormi guadagni derivati dal traffico di cocaina, divenuta un consumo di massa, sono stati reinvestiti in attività apparentemente lecite guidate dai figli e dai nipoti di boss. Gli affari sono vari, ma la vocazione più forte è l’edilizia. In particolare, l’attività di base di ogni cantiere: il movimento terra, che non richiede particolari competenze professionali ma soltanto braccia, camion, ruspe e scavatrici.
«Nell’edilizia, persino le minacce estorsive non sono necessarie quando si verte in realtà in una situazione di completo monopolio», si legge nella famosa relazione della Commissione parlamentare antimafia approvata il 20 febbraio scorso, alla fine della precedente legislatura. «In ampie zone della Brianza o del triangolo Buccinasco-Corsico-Trezzano non è nemmeno pensabile che qualcuno con proprie offerte o iniziative porti via il lavoro alle cosche calabresi che hanno le loro imprese diffuse sul territorio». Un monopolio, dice la Commissione antimafia, proprio nel settore che negli ultimi anni è stato l’unico vero antidoto alla stagnazione dell’economia italiana, con i prezzi immobiliari che salivano alle stelle e le amministrazioni comunali pronte a concedere la possibilità di colare ovunque tonnellate e tonnellate di cemento.
«Il settore edilizio è sicuramente il più infiltrato, sia dal punto di vista dell’aggiudicazione delle aree sia da quello dell’esecuzione dei lavori», conferma Antonio Pizzi, procuratore capo di Monza, la capitale brianzola che si appresta a staccarsi da Milano e a diventare provincia a sé. «Dietro l’apparenza di società legali, si celano personaggi certamente riconducibili alla ’Ndrangheta, che quando serve fanno valere i loro metodi: minacce telefoniche, buste con proiettili, spari contro portoni, macchine incendiate». E in Brianza queste organizzazioni «stanno consolidando i loro affari».
Per dire quanto floridi questi affari possano essere, basta una cifra: 100 milioni di euro. il patrimonio che nel settembre scorso la Guardia di finanza, su ordine del procuratore Pizzi, ha sequestrato a Salvatore Izzo, un pregiudicato napoletano residente da anni a Milano. Oltre 70 milioni erano investiti in palazzi e terreni, molti dei quali sparsi tra Desio, Monza, Lissone, Corate, Seregno e Arcore. Un immobiliarista di Lissone coinvolto, Ivan Chiusi, ha già patteggiato una pena di tre anni e due mesi di reclusione per riciclaggio. Gli investigatori ipotizzano rapporti tra Izzo e la Camorra. Attraverso il riciclaggio e l’usura le organizzazioni criminali contaminano l’economia sana. Quando l’imprenditore non ce la fa a restituire il prestito, è costretto a cedere la propria azienda al mafioso oppure a prenderselo in casa come ingombrante socio.
C’è, però, un altro fronte, se possibile ancora più pericoloso: «Negli ultimi anni la Procura si è dedicata soprattutto all’infiltrazione di persone legate alle cosche nella pubblica amministrazione, in particolare nella macchina comunale, un fenomeno ancora poco indagato in Brianza», conclude Pizzi: «Grazie a loro, le associazioni criminose riescono ad aggiudicarsi le aree edificabili e i lavori più appetibili».
L’inchiesta sulla discarica abusiva di Desio, condotta dalla polizia provinciale di Milano, guidata dal comandante Nazareno Giovannelli, descrive bene la doppia faccia dell’ecomomia mafiosa trapiantata al Nord, la sua belluina voracità e la sua connessione con la politica locale.
Il fulcro del business è, ancora una volta, l’edilizia. Le aziende del clan lavoravano a demolizioni residenziali e industriali, i loro camion scaricavano le macerie e ripartivano carichi di «mistone», ovvero il terreno misto a pietre da vendere a società produttrici di calcestruzzo. Altri rifiuti speciali e pericolosi, che per legge dovrebbero finire in discariche autorizzate, arrivavano da imprenditori felici di risparmiare sui costi di smaltimento. I camionisti, per lo più immigrati stranieri, venivano tenuti su nel pesante lavoro notturno con la «vitamina», come veniva definita la cocaina nelle conversazioni intercettate. Un commercio parallelo con la Romania riguardava ruspe e scavatrici obsolete, a volte rubate da altri cantieri. Gli aziendalisti hanno un nome per tutto questo: sinergie.
Il business era gestito dai fratelli Giovanni e Fortunato Stellettano, originari di Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, località di provenienza di molti abitanti di Desio e, soprattutto, del clan Iamonte. Giovanni, 37 anni, con precedenti penali per reati contro il patrimonio, era titolare di un’impresa di movimento terra, regolarmente registrata a suo nome, con sede, un po’ imboscata, nella vicina Seregno, al termine di una strada di terra battuta. Proprio a Seregno, tra 1’altro, nel giugno 2006 fu scoperto un arsenale a disposizione del clan Mancuso: kalashnikov, uzi, skorpion, bombe a mano, munizioni.
I rifiuti non troppo pericolosi venivano sotterrati direttamente in sede: uno spiazzo (anche questo, terreno agricolo), con un paio di prefabbricati bianchi (abusivi) e qualche camion ora sotto sequestro. A volte, i carichi restavano fermi qui in attesa che a Desio si liberasse, è il caso di dirlo, un buco.
L’altro fratello Stellittano, Fortunato, 43 anni, con precedenti per droga, era stato arrestato il giorno di Ferragosto: gli agenti lo trovarono a pranzo in un ristorante di Mariano Comense. Durante un controllo della polizia locale di Desio, Fortunato Stellittano aveva giustificato il via vai di camion zeppi di terra con la necessità di alzare una barriera contro gli zingari, che spesso abbandonavano sul terreno «rifiuti di ogni genere».
II terreno incriminato era destinato dal Piano regolatore a uso agricolo, ma il proprietario, Massimiliano Cannarozzo, lo aveva messo a disposizione dell’organizzazione, «consapevole del suo illecito utilizzo», scrive il gip di Monza Claudio Tranquillo nell’ordinanza di custodia cautelare firmata l’11 luglio scorso, su richiesta del pm Giordano Baggio. Cannarozzo, di origini siciliane, è noto in città come proprietario di una con¬cessionaria d’auto dove campeggiano giganteschi i marchi Ferrari, Porsche, Lamborghini, Bentley e simili.
invece un nordico doc un altro personaggio chiave: il comasco Ivan Tenca, niente a che fare con la Calabria ma perfettamente in grado di ottenere «rispetto». Nel 1999, appena ventunenne, per una controversia sulla vendita di un’auto usata sparò, ferendolo gravemente, a Domenico Quartuccio, lui, sì, uomo della ’Ndrangheta. Negli ultimi anni, Tenta si è dato, anche lui, all’edilizia.
Un altro lumbard arrestato è Fulvio Colombini, di Gravedona, in provincia di Como, che dall’organizzazione traeva un doppio vantaggio: smaltiva rifiuti speciali nella discarica di Desio e impiegava il «mistone» scavato nella sua ditta di calcestruzzo, la Cf Costruzioni di Briosco, paesino nel cuore verde della Brianza. Colombini, incensurato, è anche accusato di aver ordinato l’incendio di un’azienda vicina alla sua, appiccato poi materialmente da Tenca e un complice. Il vicino di Colombini, non solo non era intenzionato a vendergli l’impresa, ma si ostinava a denunciare le malefatte della Cf Costruzioni. La sera del 12 aprile, mentre la ditta Gavo di Briosco va a fuoco, Ivan Tenca telefona a Fortunato Stellittano: «Volevo segnalare un incendio», dice, e scoppia a ridere.
Non è un bell’affare essere vicini di casa dell’organizzazione. L’8 marzo, nella discarica di Desio, le ruspe sfondano una recinzione e affondano i denti nel terreno confinante, di proprietà di una signora, creando «una voragine degna dei lavori della metropolitana», scrive il gip Tranquillo. Le diecimila tonnellate di terra portate via valgono ben 35 mila euro. La signora denuncia prontamente il fatto. L’episodio fa indignare Domenico Cannarozzo, il padre di Massimiliano: «C’è tutta la buca e la cinta giù, avete scavato a casa della gente», grida al telefono a Giovanni Stellitano e agli uomini della polizia provinciale che lo stanno intercettando, «avete buttato dentro porcheria per farvi pagare». Quello che i calabresi scaricano sul terreno di famiglia, dice in un’altra occasione Domenico Cannarozzo, è «merda», con la quale però si guadagnano «soldi»: la «merda» viene da aziende del comasco e della bergamasca. Sono imprese edili impegnate in lavori di demolizione e cantieri stradali, impianti di betonaggio. Gli pneumatici arrivano da aziende di trasporto, i cavi elettrici sminuzzati dallo smantellamento di una fabbrica. Nel giro di carico e scarico erano coinvolte numerose cave della zona.
Poi c’erano i politici. Più volte Fortunato Stellittano fa riferimento ad alcuni contatti buoni per continuare con tranquillità l’attività, nonostante i controlli e i sequestri. Cerca di contattare un «personaggio di rilievo a livello regionale», ma non riesce. Poi, attraverso un intermediario che lo chiama con deferenza «zio», chiede un incontro con un certo Moreno, che le carte indicano come un potente avvocato di Milano «dimessosi dalla segreteria di un uomo politico che ha ricoperto cariche istituzionali a livello nazionale». Nella conversazione, si parla anche della Provincia, che però «purtroppo» adesso è di sinistra, dice l’intermediario, mentre «alla destra ci sarebbe...» I nomi sono coperti da omissis, ma il gip fa un riferimento chiaro: «A riscontro dell’effettiva sussistenza dei rapporti vantati da Stellittano Fortunato con amministratori pubblici, va segnalata l’incredibile tempestività con la quale il Comune di Desio ha emesso l’ordinanza per la bonifica dell’area sottoposta a sequestro, propedeutica al futuro dissequestro dell’area stessa, una volta terminate le operazioni di bonifica». Il sequestro viene disposto il venerdì di Pasqua, «a uffici comunali già chiusi», e il provvedimento voluto da Stellittano arriva il martedì successivo, il giorno dopo Pasquetta. Per portarsi avanti, i membri dell’organizzazione avevano progettato una finta bonifica e magari la costruzione di una casa sul terreno ancora impastato di veleni.
La Procura di Busto Arsizio - e così passiamo nell’area varesotta - ha aperto un’inchiesta sui contatti tra un gruppo di politici di Forza Italia e un gruppo di uomini legati alla ’Ndrangheta, interessati agli appalti dell’Alta velocità e dell’Expo 2015, la cui macchina gestionale sta giusto muovendo i primi passi. Del primo gruppo - Forza Italia - fanno parte Vincenzo Giudice, consigliere comunale a Milano ed ex presidente dell’assemblea di Palazzo Marino; Massimiliano Carioni, assessore all’Edilizia privata, Urbanistica e Viabilità a Somma Lombardo e consigliere provinciale a Varese; Paolo Galli, presidente dell’Aler di Varese. Il secondo gruppo, invece, è capeggiato da Giovanni Cinque, legato secondo gli inquirenti alla cosca Nicoscia-Arena di Isola Capo Rizzuto. Carioni e Galli hanno ammesso di aver conosciuto Cinque in campagna elettorale, in veste di «simpatizzante» in grado di portare voti, una disponibilità prontamente accettata senza troppe domande.
A gennaio comincerà a Varese un processo su mafia e appalti pubblici: secondo un’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Milano, la ditta di Gela che si è aggiudicata la ristrutturazione del Reparto infettivi dell’ospedale è legata a Cosa nostra.
C’è un filo di sangue che lega le due fette di Lombardia a nord di Milano: quello dei recenti omicidi, accomunati dal fatto che le vittime fossero tutte legate alla ’Ndrangheta e che lavorassero nel settore edilizio-immobiliare. Rocco Cristello a marzo, a Verano Brianza. Carmelo Novella a luglio, a San Vittore Olona. Cataldo Aloisio a settembre, a San Giorgio su Legnano, abbandonato cadavere davanti al cimitero dove è sepolto Novella. Su questa scia di morti indagano i pm Mario Venditti e Alessandra Dolci della Direzione distrettuale antimafia di Milano, che si occupano anche delle infiltrazioni mafiose nei grandi appalti pubblici del Nord. Sempre nel Varesotto, sono aperti fascicoli su almeno tre omicidi di calabresi che lavoravano nei cantieri edili, avvenuti negli ultimi anni.
«Questa zona ha una consolidata presenza mafiosa», dice il sostituto procuratore di Varese Agostino Abate. «A differenza della Brianza, questa è una terra di confine, un tempo molto povera, dove interi comuni vivevano di contrabbando, che neppure veniva percepito come un’attività illegale». La posizione strategica è il secondo elemento di attrazione: «La frontiera con la Svizzera è diventata l’unico sbocco dell’Italia al di fuori dell’Unione europea; Milano e il suo hinterland sono a pochi chilometri; Piemonte e Veneto sono facilmente raggiungibili e abbiamo anche l’aeroporto intercontinentale di Malpensa. Per la criminalità organizzata è il massimo».
Tra le belle colline e il lago, il magistrato venuto da Cava de’ Tirreni, Salerno, non immaginava di trovare rappresentanti di tutte le principali organizzazioni criminali: ’Ndrangheta, Camorra, Cosa nostra, Stidda. Negli anni Settanta e Ottanta, quella dei sequestri di persona fu una vera piaga e ancora oggi si cercano i corpi di ostaggi «pagati» e mai restituiti, come Tullio De Micheli e Andrea Cortellezzi. «In questa zona operavano i Grado di Santa Maria del Gesù; Totuccio Contorno ha avuto un processo per droga; e qui è stato ucciso Roberto Cutolo, il figlio di Raffaele», elenca il magistrato. «Fino ai primi anni Ottanta, la Varese bene mangiava con i latitanti al ristorante I quattro mori.» E, vicino all’ippodromo, attende una destinazione definitiva la villa confiscata a Ilario Legnaro, plenipotenziario di Nitto Santapaola all’epoca dell’assalto mafioso ai casinò. La mafia è presente ma ben mimetizzata, «il cittadino benpensante non la vede, non ne sente il controllo perché non è ostentato».
II Varesotto è prima di tutto la frontiera del riciclaggio di denaro sporco, che a dispetto del mondo tecnologico e globalizzato «si fa ancora con gli spalloni che portano in Svizzera valige di soldi», continua Abate. I corrieri del clan hanno trovato la strada già segnata: è la stessa storicamente percorsa dai capitali esportati dagli evasori fiscali.
Lavena Ponte Tresa, piccola località in riva al Lago di Lugano, è un passaggio di questa frontiera. anche un avamposto del clan Ferrazzo di Mesoraca - paesino in provincia di Crotone - attivo nel traffico di droga e armi. Il clan è al centro di una delle più importanti indagini sul riciclaggio degli ultimi anni, Dirty Money, partita dalla Procura di Varese e passata alla Dda di Milano. Secondo l’accusa, il clan aveva creato due società finanziarie a Zurigo, la World Financial Services Ag e la Pp Finanz Service Gmbh, le «lavatrici» da cui, prima che finissero prosciugate in bancarotta, sono transitati in tre anni 87 milioni di franchi svizzeri, pari a circa 56 milioni di euro. Gli uomini del clan prendevano l’aereo per la Calabria e tornavano con valige piene di soldi, ha raccontato una segretaria della Wfs. La sera se li vedeva rientrare in ufficio con la pistola sotto la giacca. Il riciclaggio avveniva anche attraverso compravendite fittizie in cui venivano coinvolti altri calabresi. Una volta ne arrivarono certi così dimessi che, per apparire credibili, dovettero essere rivestiti da capo a piedi. Complice del riciclaggio, secondo l’accusa, un importante e insospettabile avvocato di Milano, Giuseppe Melzi. Una volta ripuliti, i soldi venivano investiti soprattutto in Italia, in attività immobiliari, naturalmente.
uno strano Paese quello in cui il ministro dell’Interno si muove, con vicecapo della polizia al seguito, per l’accoltellamento di uno spacciatore di droga: Roberto Maroni e Nicola Cavaliere si sono precipitati proprio a Varese, l’11 novembre. Certo, l’ucciso e i suoi assassini erano «extracomunitari», per di più hanno avuto l’ardire di regolare i propri conti in pieno centro, sotto gli occhi di tutti. Dunque una questione di Sicurezza, con la esse maiuscola. Omicidi di ’Ndrangheta, discariche abusive, contatti pericolosi tra politici e mafiosi, valanghe di soldi investiti sul territorio, settori economici monopolizzati dalle cosche nel cuore della Padania non meritano altrettanta solerzia.
L’allarme c’è, ma viene dal basso. Non era mai capitato di vedere così tante iniziative antimafia nel Nord della Lombardia. Serate di dibattito sull’assalto delle cosche si sono svolte o sono in programma a Giussano, a Somma Lombardo, a Lecco, a Monza, a Milano. Piaccia o no, sono organizzate dal Partito democratico o da Rifondazione comunista. Dopo la scoperta della discarica, a Desio la maggioranza di centrodestra ha bocciato l’idea di istituire un osservatorio antimafia. «Sono assolutamente contrario», ha chiarito in Consiglio comunale il 29 settembre il sindaco Giampiero Mariani, del Pdl: « solo demagogia». Ai giornali ha poi precisato che «non è il caso di allarmare i cittadini». Desio «non è in balia della criminalità organizzata», ha dichiarato al Giorno, «sebbene purtroppo da tempo si sappia che in Brianza la criminalità ha messo preoccupanti radici».
A guidare la battaglia per l’osservatorio c’è Daniele Cassanmagnago, ex assessore all’Ambiente per Rifondazione. Ricorda che le «preoccupanti radici» sono affondate a Desio ben prima della scoperta della discarica. Nella relazione della Commissione antimafia del 2006 si legge che Natale Iamonte si dava da fare in altre aree del Nord «per cercare di infiltrare gli apparati politico-amministrativi e compiere quelle operazioni che gli erano riuscite con l’amministrazione comunale di Desio». Esattamente 15 anni fa bruciò Villa Tittoni Traversi: qualcuno, mai individuato, appiccò il fuoco nella sala dove si riuniva la Commissione urbanistica che stava lavorando al Piano regolatore.
L’osservatorio antimafia della Brianza, spiega Cassanmagnago, «dovrebbe monitorare giorno per giorno gli appalti pubblici e il governo del territorio per evitare che vengano favorite le imprese delle cosche. Una particolare attenzione andrebbe rivolta ai lavori della Pedemontana, la nuova strada tra Milano, Como e Varese che, con i suoi 4 miliardi di costo, è l’opera pubblica più grande d’Europa».
Milano, Como, Varese. Un’area dove, secondo l’ex assessore, sta avvenendo un mutamento antropologico che la crisi economica potrà soltanto aggravare. «Rispetto al passato, c’è meno sicurezza economica, gli imprenditori si trovano spesso in difficoltà, le famiglie sono molto indebitate per la casa, un terreno fertile per l’usura. In queste condizioni, le istituzioni dovrebbero svegliarsi, invece di minimizzare sempre: se ti si presenta qualcuno con una valigia piena di soldi, non stai neppure a chiederti da dove provengano».